25 Gennaio 2019

Subappalto e “contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura”: recente giurisprudenza

ANDREA DI LEO

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Abstract

Il d.lgs. n. 56/2017 ha introdotto la lettera c-bis) al terzo comma dell’art. 105 del Codice dei contratti pubblici; la nuova norma ha previsto le “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell'appalto” tra le “categorie di forniture o servizi” che “non si configurano come attività affidate in subappalto”.  

Operatori economici e stazioni appaltanti si sono così trovati a fare i conti con una ipotesi di sub-contratto non qualificabile subappalto dagli incerti confini definitori.

Alcune recenti sentenze del Giudice Amministrativo hanno individuato alcuni possibili limiti, oggettivi e soggettivi, al fine di impedire un ricorso ai “co.co.co.” indiscriminato e sostanzialmente elusivo dei vincoli che l’art. 105 del Codice pone per il ricorso al subappalto.

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Subappalto e sue “eccezioni”

Come ben noto a chi opera nel settore dei contratti pubblici, quando ci si trova a configurare l’offerta uno dei problemi principali è quello di rispettare la “fatidica” quota del 30% subappaltabile (limite dettato dal comma 2 dell’art. 105 del Codice).

Vi sono, però, alcune ipotesi che il legislatore, per così dire, “tira fuori” da tale computo:

-  le “attività ovunque espletate che richiedono l'impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo” laddove di importo inferiore al 2% dell'importo delle prestazioni affidate o di importo inferiore a 100.000 euro (alla condizione, ulteriore, che il costo della manodopera e del personale sia inferiore al 50% dell'importo del contratto da affidare) (così sempre il co. 2, art. 105);

-  alcune categorie di forniture o servizi che “per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto”, elencate dal comma 3, sempre dell’art. 105.

Il d.lgs. 56/2017 è intervenuto su quest’ultimo elenco aggiungendo alle ipotesi “tradizionali” (già presenti nella legislazione ante Codice 2016), effettivamente connotate da tratti di assoluta specificità “oggettiva” o “soggettiva” (l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi; la subfornitura a catalogo di prodotti informatici; i servizi di importo inferiore a 20.000 euro annui a imprenditori agricoli), la lettera c-bis).

Lo strano caso dei “contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura

La previsione è del tutto eccentrica rispetto a quelle “tradizionali” riferendosi infatti alle:

“prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell'appalto”.

Non è individuato, infatti, dalla norma alcun – evidente – limite “speciale”.

Non a caso, secondo una prima interpretazione (eccessivamente di “manica larga”, ma che risulta aver avuto nella prassi un qualche seguito) la norma consentirebbe, tramite tali “co.co.co.”, di bypassare (o eludere, a seconda del punto di vista)  i limiti quantitativi (la soglia del 30%) e procedurali (l’obbligo della terna quando applicabile o, comunque, di indicare in sede di offerta le parti della prestazione che si intende subappaltare) prescritti dall’art. 105 del Codice e ciò alla sola condizione che i contratti in questione siano anteriori alla indizione della gara e, quindi, prova di un rapporto “strutturato” tra OE partecipante e OE “collaboratore”.

Dunque, in termini ancor più chiari: la stessa attività potrebbe essere considerata un subappalto non ammissibile laddove esternalizzato all’infuori dello schema del co.co.co. e, invece, ammissibile e legittima laddove oggetto di outsourcing tramite il co.co.co.

L’altolà del giudice amministrativo

Qualcosa, evidentemente, non torna, visto che così ragionando ad essere in (potenziale) pericolo è non solo il rispetto dei limiti quantitativi e procedurali imposti dall’art. 105 del Codice, ma anche la regola fondamentale in base alla quale i “soggetti affidatari dei contratti (…) di norma eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto”, da cui consegue l’altrettanto nodale principio secondo cui “il contratto non può essere ceduto” (comma 1 dell’art. 105).

Ecco che in un quadro del genere si inseriscono le prime decisioni del Giudice Amministrativo, tutte nel senso di enucleare limiti stringenti all’istituto del co.co.co.

Si segnala, innanzi tutto, TAR Sicilia, Palermo, Sez. III. 6.12.2018, n. 2583, che si appunta – per così dire – sulla natura delle prestazioni validamente deducibili nei co.co.co. al fine della deroga ex art. 105, co. 3, lett. c-bis) del Codice.

In particolare qui si precisa che:

le prestazioni a cui fa riferimento la lett c-bis del comma 3 dell’art. 105 in questione, debbano essere limitate ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto; diversamente opinando sarebbe talmente vistosa la deviazione rispetto al principio di personalità nell’esecuzione dell’appalto, (…), che non potrebbe non dubitarsi seriamente della congruenza della norma con le disposizioni comunitarie e financo costituzionali incidenti sulla materia”.

Tuttavia, ad avviso di chi scrive, l’approdo del TAR Sicilia non pare del tutto soddisfacente, sia per la genericità del principio (“attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto” pare nozione eccessivamente vaga), sia per l’assenza di un legame di tale sentenza con il dato letterale della norma.

Pare, invece, cogliere molto meglio nel segno la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 27.12.2018, n. 7256, che valorizza, invece, un dato espressamente indicato dalla norma: la direzione delle prestazioni.

Si legge, in particolare, nella decisione che: “Le prestazioni oggetto di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura (…) sono rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico, e non, invece, direttamente a favore di quest’ultimo come avviene nel caso del subappalto (che, non a caso è definito dall’art. 105, comma 2, come “Il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto”)”.

Da cui la regola in base alla quale “quel che occorre verificare, allora, è la direzione delle prestazioni” che, tramite il co.co.co. l’OE partecipante alla gara acquisisce.

Per comprendere, in concreto, la “regola” tratteggiata dal Consiglio di Stato è utile esaminare la fattispecie decisa dalla sent. 7256/2018.

Si trattava di un appalto per servizio di ristorazione scolastica e in una delle offerte si prevedeva l’affidamento, tramite co.co.co. delle seguenti prestazioni:

a) manutenzione dei centri cottura in dotazione all’impresa concorrente;

b) installazione di materiali per la insonorizzazione del refettorio,

c) analisi dei cibi,

d) manutenzione delle apparecchiature presenti nelle cucine degli asili.

Ecco che il Consiglio di Stato, facendo applicazione del principio sopra evidenziato, ha osservato che, salvo per l’attività sub a) “tutte le altre prestazioni sono inequivocabilmente dirette a favore dell’amministrazione committente”, il che configura certamente un subappalto, ammissibile solo nei limiti “ordinari” dell’art. 105, senza che possa rilevare, quale “esimente”, l’ipotesi del co.co.co.

Infine, merita di essere segnalata anche la sentenza del TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 28.5.2018, n. 1366, nella quale è stata escluso che – nell’ambito di un appalto relativo alla manutenzione di autoveicoli – il concorrente possa affidare a terzi sulla base di un co.co.co. parte di tali prestazioni, giacché ciò configurerebbe un vero e proprio subappalto.

 

 

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