23 Novembre 2018

Il difficile rapporto che hanno gli avvocati con le immagini e le giuste scelte per una strategia di comunicazione

FEDERICA CORSI

Immagine dell'articolo: <span>Il difficile rapporto che hanno gli avvocati con le immagini e le giuste scelte per una strategia di comunicazione</span>

Abstract

Mentre la professione legale si innova con nuove forme associative, l’utilizzo di tecniche di intelligenza artificiale e l’uso del social media marketing, la rappresentazione visiva del mestiere di avvocato sembra ancora ferma di decenni. Sottovalutando il potere e il significato associato alle immagini, la maggior parte dei siti web degli studi legali perde una preziosa possibilità per comunicare con i propri clienti.

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L’attuale rappresentazione del mestiere di avvocato

Basta fare una ricerca in rete su qualche decina di siti web di studi legali, piccoli e grandi, per rendersi conto dello scollamento tra il reale e il rappresentato. Accanto a termini in inglese di difficile traduzione e contenuti che illustrano le nuove frontiere della contrattualistica societaria o della mediazione si trova tutta una tipologia di immagini che ancora male rappresenta la figura dell’avvocato; dee bendate, martelletti, vecchi codici, tavoli intarsiati, penne stilografiche oltre a sale riunioni deserte, corridoi in plexiglass, telefoni per conference call, dettagli di reception da hotel di lusso. Anche digitando la voce “legal” sui siti che mettono a disposizione immagini libere da copyright, come Pexels o Unsplash, appaiono gallerie di mani che si intrecciano, firme su fogli densamente scritti, tavoli riunioni lucidi e vuoti, toghe abbandonate sulle sedie.

Per quel che riguarda i ritratti dei singoli avvocati che affiancano le biografie e che costituiscono a tutti gli effetti i nuovi biglietti da visita per chi è in cerca di un consulente legale, la situazione non è migliore. Parlando con vari fotografi professionisti incaricati degli scatti da parte di studi legali associati ho potuto appurare come, nella quasi totalità dei casi, la scelta dei colori, degli ambienti, delle pose di scatto - tutto quello che comprende più genericamente il “mood”- venga affidato completamente agli stessi o in collaborazione con il graphic designer che segue la creazione del sito, più di rado con l’office manager del singolo studio. Il risultato è un universo di foto che si somigliano e si sovrappongono, mani che sostengono il mento, mezzibusti alle scrivanie, volti con sorrisi tremanti e un tripudio di nero e di blu.

Se è vero, come diceva Henri Cartier Bresson che “un ritratto è la cosa più difficile. Devi provare a mettere la macchina fotografica tra la pelle di una persona e la sua camicia” e nessuno su questo nutre dei dubbi, è pur vero che la prima responsabilità del fotografo dovrebbe essere quella di rendere al meglio una immagine, senza essere lui tuttavia a gestire completamente la strategia di comunicazione affidata alle immagini.

La relazione con il cliente

Il punto è che sembrano essere pochi, pochissimi, gli studi legali che si siano fermati a riflettere su quale messaggio vogliano far passare dalle immagini che li rappresentano al pubblico che le guarda. Se togliamo gli addetti ai lavori, per cui la visione di un sito o di un profilo può essere guidata dalla semplice curiosità o spirito di competizione, il resto dei destinatari sono tutte quelle persone, tra aziende, privati cittadini ed enti pubblici che sono alla ricerca di qualcuno che possa aiutarli a risolvere un problema o che possa consigliarli come evitarlo. Ecco il nodo della questione latente: il rapporto con il cliente.

In una recente intervista, la professoressa Nadia Olivero - docente di psicologia dei consumi presso l’Università degli studi Bicocca di Milano - ha sottolineato come nella relazione tra avvocato e cliente, tradizionalmente impostata in modo asimmetrico, attualmente “le persone ricercano un rapporto paritetico, di condivisione, di scambio informativo che rende molto più faticoso il rapporto di consulenza”. Nella geometria di questa difficile relazione, sembrano emergere dei meccanismi psicologici che frenano i potenziali clienti, bisognosi di rassicurazioni anche sul piano emotivo e conseguentemente della costruzione di un rapporto di fiducia con il consulente legale. Quello che invece si trovano davanti è spesso una sorta di de-umanizzazione della professione in cui vi è il tentativo di porgere l’elemento tecnico in modo del tutto asettico” senza alcuna attenzione ai bisogni latenti di fiducia e sicurezza che stanno alla base di ciò che il cliente cerca.

Le giuste immagini

Le riflessioni appena citate sono direttamente applicabili anche al significato che le immagini trasmettono. Se alla luce di questi suggerimenti guardiamo di nuovo i tanti siti di studi legali presenti in rete, ci appare sempre più chiaro come sembriamo infatti aver confuso modernità con spersonalizzazione; il rapporto fiduciario tra avvocato e cliente alla base del contratto d’opera intellettuale sembra essersi lentamente trasformato in qualcos’altro, lo studio legale sembra voler assomigliare sempre più ad un’azienda o ad una banca dove la consulenza è cortese ma oggettivamente impersonale.

Senza addentrarsi nelle teorie del Neuromarketing, e avendo ben presente che ciò che l’avvocato offre è una prestazione che non può paragonarsi a un pacco di biscotti, ciò che dunque sembra mancare è una rappresentazione reale e non artefatta di una professione che raramente si chiede che cosa il cliente cerchi davvero e che cosa possa spingere quel cliente a scrivere una mail o alzare il telefono.

Non sto certo consigliando a chi legge di cambiare domani le immagini del proprio sito con scene di vita quotidiana o scatti di gare sportive ma solo di chiedersi come fare la prossima volta ad avvicinarsi meglio al proprio segmento di clientela. Ognuno è senza dubbio libero di indossare la cravatta e il tailleur scuro contro uno sfondo lucido se questo ritratto lo rappresenta, tuttavia sarebbe positivo cominciare a vedere in un prossimo futuro sempre più immagini di avvocati mentre prendono un caffè o che lavorano in remoto dal tavolo in soggiorno, di sale riunioni con pizze ordinate la sera prima di un closing, di uffici dove sono ammessi i cani.

 

Sarebbe il ritratto di una professione che cambia e che non ha paura di sembrare per quello che è: un insieme di persone che aiutano altre persone.

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