23 Marzo 2022

La risoluzione del contratto di leasing traslativo

LUIGI CRITELLI

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Abstract

L'art. 1, commi 136-140, della legge n.124/17 ha fornito una tipizzazione legale del contratto di leasing finanziario in termini di fattispecie generale e unitaria. Tale disciplina non può avere carattere retroattivo ma solo pro-futuro.

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Con pronuncia (n.2061) a Sezioni Unite del 28.01.2021, la Corte di Cassazione ha disciplinato e composto un recente contrasto sorto in ordine alla discussa applicazione retroattiva della L. n.124/17 (art.1 commi 136/140).

Come noto, prima della codificazione del contratto di leasing, vi era distinzione tra leasing di godimento (con previsione di canoni su base corrispettiva di tale scopo con marginale ed accessoria pattuizione relativa al trasferimento del bene dietro pagamento del prezzo d'opzione) e leasing traslativo (indirizzato anche al trasferimento del bene, in ragione di un apprezzabile valore residuo di esso al momento della scadenza contrattuale, notevolmente superiore al prezzo d'opzione, e di canoni/corrispettivi del trasferimento medesimo) così come diversità di regole applicabili all'una o all'altra fattispecie negoziale, quali gli effetti della risoluzione per inadempimento (ex art. 1526 c.c. per il leasing traslativo ed ex art. 1458 c.c. per il leasing di godimento).

Nulla veniva mutato anche a seguito dell'introduzione, ad opera del d.lgs. n.5/06, dell'art. 72-quater L.F., ascrivendosi la disciplina di tale norma non già al profilo della risoluzione del contratto di leasing, bensì a quella del suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell'utilizzatore.

Tale costante e risalente orientamento è stato contrastato da una serie di pronunce più recenti (a partire da Cass. n.8980/19) inclini a valorizzare, in via interpretativa, proprio la novella legislativa del 2017, giungendo alla conclusione che, in ragione dell'innovazione del quadro normativo di riferimento (già inciso dal citato art. 72-quater L.F.) l'art. 1526 c.c. non possa trovare applicazione nel caso di risoluzione per inadempimento dei contratti di leasing, traslativi o di godimento, in quanto è stata superata con regolamentazione unitaria tale tradizionale distinzione.

Con l’arresto a Sezioni Unite qui commentato, la Corte ha disatteso tale ultimo orientamento affermando che il procedimento analogico esige che la disposizione o il principio generale dell'ordinamento che a quel caso forniranno la regula iuris in quanto si possa ravvisare la eadem ratio devono essere presenti all'interno dell'ordinamento nel momento in cui il Giudice si trova a doverli applicare.

L'efficacia retroattiva di una norma è, infatti, attributo eccezionale di essa, che deroga alla regola posta dall’art. 11 delle preleggi ed a valori di civiltà giuridica, tra cui, il rispetto del principio di ragionevolezza, la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto, la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico, il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

Sulla scorta di tali premesse occorre, quindi, considerare che, sino al momento dell'entrata in vigore della legge n.124/17, il leasing è rimasto sostanzialmente un contratto soltanto socialmente tipico, articolato in distinte forme e strutture dalla pratica commerciale, unificate dall'operazione di finanziamento volta a consentire ad un soggetto (utilizzatore) il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all'apporto economico di un soggetto abilitato al credito (concedente).

Nel leasing di godimento, la risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, secondo quanto disposto dall'art. 1458 primo comma, secondo periodo, c.c., in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica, riscontrandosi piena sinallagmaticità tra le reciproche prestazioni, sicché, l'utilizzatore è tenuto a restituire il bene, mentre il concedente ha diritto a mantenere le rate riscosse, oltre al risarcimento del danno per l'inadempimento verificatosi.

Nel leasing traslativo, la risoluzione resta soggetta all'applicazione in via analogica delle disposizioni di cui all'art. 1526 c.c., con riguardo alla vendita con riserva della proprietà, per cui l'utilizzatore è obbligato alla restituzione del bene e il concedente alla restituzione delle rate riscosse, avendo, però, diritto ad un equo compenso per la concessione in godimento del bene e il suo deprezzamento d'uso, oltre al risarcimento del danno.

In assenza di una regolamentazione transitoria, deve ritenersi che l'applicazione della nuova legge è consentita, nei confronti di contratto di leasing finanziario concluso antecedentemente alla sua entrata in vigore allorché, ancora in corso di rapporto, non si siano ancora verificati i presupposti della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore: ossia non si sia verificato, prima dell'entrata in vigore di detta legge, il fatto generatore degli effetti giuridici derivanti dalla applicazione del diritto previgente. In altri termini, il "fatto compiuto" che genera la responsabilità del debitore (l'utilizzatore) ovvero il suo inadempimento.

Il comma 137 che tipizza l’inadempimento è norma imperativa. Per l’effetto, ne consegue l'inefficacia ex nunc della clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.), apposta a contratto di leasing in corso che non abbia ancora maturato i presupposti della risoluzione ai sensi del citato comma 137, ove calibrata in termini diversi e meno favorevoli per l'utilizzatore di quanto previsto dalla legge.

Non può, dunque, la legge n.124/17 trovare applicazione per il passato, ossia per i contratti di leasing finanziario in cui si siano già verificati, prima della sua entrata in vigore, presupposti della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore.

Né è consentita l’applicazione analogica della disciplina dettata dall'art. 72-quater L.F., in caso di scioglimento di contratto di leasing ad opera del curatore nell'ambito di procedura fallimentare.

Si ricorda che l'art. 72-quater L.F., introdotto dal d.lgs. n.5/06 è norma, di natura eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale, che presuppone lo scioglimento, per volontà del curatore e quale conseguenza del fallimento, del contratto ancora pendente a quel momento sicché tale norma mantiene salda la distinzione strutturale esistente tra la nozione di risoluzione contrattuale e quella di scioglimento del contratto.

Per i contratti di leasing traslativo, che non siano soggetti, ratione temporis, alla regolamentazione della legge anzidetta, resta, dunque, valida la soluzione adottata dall’orientamento più risalente e consolidato che individua, per analogia legis, nella disposizione dell'art. 1526 c.c. la disciplina della risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore.

Concludendo la Suprema Corte, ponendo presumibilmente fine al contrasto di cui sopra, ha enunciato il seguente principio di diritto:

La legge n. 124 del 2017 (art. 1, commi 136-140) non ha effetti retroattivi e trova, quindi, applicazione per i contratti di leasing finanziario in cui i presupposti della risoluzione per l'inadempimento dell'utilizzatore (previsti dal comma 137) non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore; sicché, per i contratti risolti in precedenza e rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell'utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, dovendo per quest'ultimo social-tipo negoziale applicarsi, in via analogica, la disciplina di cui all'art. 1526 c.c. e non quella dettata dall'art. 72-quater L.F., rispetto alla quale non possono ravvisarsi, nella specie, le condizioni per il ricorso all'analogia legis, né essendo altrimenti consentito giungere in via interpretativa ad una applicazione retroattiva della legge n. 124 del 2017”.

Principio che è stato recentemente ribadito, sempre dai Giudici di legittimità, con le pronunce n.26531 del 30.09.2021 e n.31834 del 4.11.2021.

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