15 Dicembre 2023

I driver del cambiamento e la «giusta transizione». Intervista al professor Stefano Pogutz, docente di Practice Corporate of Sustainability

FRANCESCA TOTA

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Abstract

Pubblichiamo l'intervista, tratta dal sesto e ultimo numero del nostro ESG Magazine, al professor Stefano Pogutzdocente di Practice of Corporate Sustainability presso la SDA Bocconi School of Management, con cui ci siamo confrontati e al quale abbiamo chiesto le ragioni per le quali la sostenibilità può dirsi un fattore in grado di generare valore per l’economia ed è una «corretta» e redditiva strategia di investimento.

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In un contesto caratterizzato da rapidi cambiamenti socio-economici e regolamentari, la sostenibilità sta emergendo come fonte di nuove opportunità di business. In primo luogo bisogna specificare che è innegabile che le sfide ambientali e sociali abbiano ormai un impatto significativo sul nostro mondo. L’attenzione agli aspetti ESG da parte delle imprese cattura altresì l’attenzione di una crescente fetta di consumatori, quella delle nuove generazioni, molto più attente e sensibili a clima e società. Questa transizione verso un'economia più sostenibile si delinea in maniera inevitabile e le imprese che sono in grado di abbracciarla e adattarsi alle nuove normative e alle aspettative dei consumatori sono in grado di posizionarsi in modo vantaggioso sul mercato.

 

Quali sono le opportunità di business che la sostenibilità sta generando in questo periodo?

In primo luogo, ci sono nuove opportunità di business perché vi sono delle rapide trasformazioni che stanno caratterizzando il contesto socio-economico, legate all’impianto del nuovo sistema di regolamentazioni, che discende dal fatto 

che la scienza ci dice, in maniera esplicita e inequivocabile, che abbiamo messo a dura prova le condizioni di resilienza del pianeta – parliamo delle trasformazioni legate al cambiamento climatico, come la delicata questione della biodiversità, l'acidificazione degli oceani, piuttosto che l’abuso di sostanze chimiche e di plastica. Le criticità emergono anche dal punto di vista sociale dove in questi ultimi decenni, nonostante a livello complessivo vi sia un progresso evidente e una crescita considerevole del livello di benessere diffuso nel pianeta, si registra una sempre più elevata sperequazione della ricchezza con forme di malessere sociale anche nelle economie più avanzate. Si aggiunga che l’interazione della dimensione sociale e quella ambientale, determineranno nei prossimi anni, a detta degli esperti, ulteriori fattori di stress e di volatilità delle condizioni socio-economiche e questo impatterà in maniera ulteriore su quella quota della popolazione mondale che vive nelle condizioni più complesse e disagiate – due temi su tutti:  i cd. “migranti climatici” e gli effetti indiretti di una nuova condizione geopolitica caratterizzata guerre e tensioni in alcune parti del mondo.

In secondo luogo, le opportunità di business ci sono perché le policy stanno intercettando queste nuove istanze socio-ambientali  e stanno definendo un impianto volto a orientare i comportamenti del mercato. Paesi come gli Stati Uniti e il Nord America, il Medioriente o la Cina stanno investendo in maniera significativa a livello di impulso pubblico nella transizione ecologica. Nello specifico in Europa il palinsesto di norme ha alcuni pilastri: clima ed energia, con una forte implicazione a livello della creazione di mercati per le soluzioni più sostenibili e al contempo forme di supporto alla trasformazione delle tecnologie; c’è una parte importante sulla biodiversità – e, quindi, gestione del territorio; c’è anche una parte sul tema del riutilizzo e del recupero delle materie prime - che di fatto si caratterizza per inequivocabile scarsità a prescindere dalla nostra capacità tecnologica di moltiplicarne l’utilizzo nel tempo. Un altro pilastro importante legato al tema della trasparenza, è volto a disciplinare come il mercato finanziario alloca le proprie risorse. L’Europa sta realizzando un sistema di regole molto articolato, che va dalla CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) al tema della Taxonomy, fino ad arrivare alla SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation), con i peculiari articoli 8 e 9 e complementari; si aggiunga poi un set di normative relativamente nuove, per esempio quella sulla Due Diligence legata alla Supply Chain e quella contro il greenwashing. Tale sistema di regole è rilevante perché si tratta di un driver fortemente impattante: le opportunità si generano perché a livello cogente ci sono delle nuove regole e dei nuovi obiettivi. Anche a livello di investimenti vi sono iniziative che hanno iniettato nell’economia ingenti risorse per la cd. “transizione sostenibile” – tanto a livello europeo quanto a livello globale, si pensi alla statunitense IRA (Inflation Reduction Act) che ha stanziato un significativo quantitativo di risorse sottoforma di incentivi e di sussidi alle imprese.

Le opportunità si materializzando anche perché da un lato c’è una trasformazione estremamente significativa per la quale tutte le ricerche ci confermano che quelli che chiamiamo Millennials e la Generazione Z hanno attitudini e comportamenti sia sociali sia di acquisto e consumo diversi da quelli delle generazioni precedenti, che si esplicitano in una maggiore attenzione alla sostenibilità. Già oggi queste generazioni rendono il mercato dei prodotti e dei servizi sostenibili un mercato reale e non più marginale, che tende a crescere in maniera considerevole.

Un’altra componente importante di questa trasformazione è legata alla finanza, che negli ultimi anni ha abbracciato l’espressione ESG come una forma di supporto al portafoglio di investimento, con una logica prevalente legata al tema del rischio (cd. stranded asset). Una parte della finanza sta spostando l’accento dalla logica del rischio alla logica delle opportunità e questo elemento si coniuga con un altro grande driver che è la trasformazione delle tecnologie. Naturalmente, per sviluppare nuove tecnologie bisogna iniettare competenze e risorse finanziarie. In quest’ottica, le cd. clean technologies, che hanno per oggetto nuovi materiali più sostenibili, allargano nuovi modelli di business, cambiando la logica d’impresa e di approccio al mercato, e offrono e offriranno nei prossimi anni grandi opportunità di investimento (si pensi, ad esempio, del caso Tesla, piuttosto che tutte quelle le aziende che fanno delle energie rinnovabili un elemento distintivo). Dunque, possiamo dire che le imprese più evolute e capaci di guardare al futuro sono quelle che approcciano con le proprie risorse e i propri investimenti queste trasformazioni, rendendole opportunità. È in questo senso che si può parlare di una transizione  «giusta».

 

Si dibatte spesso sulla “convenienza” della sostenibilità, cioè se il business ESG sia di fatto un vero investimento o meno. Tenendo presente che spesso si leggono cose che fanno venire qualche dubbio, ad esempio il recente attacco repubblicano agli investimenti ESG per i fondi pensione americani: si tratta, dunque, anche di un fatto politico? Qual è, allora, la verità?

In primo luogo bisogna distinguere due dimensioni: una manageriale -organizzativa e anche finanziaria, legata al valutare se un investimento in sostenibilità paga e in quale condizione paga, e una componente ideologica legata alla contrapposizione tra alcuni fondi e alcuni player istituzionali che stanno oggi lanciando una campagna aggressiva contro il tema ESG e la sostenibilità. 

In chiave accademica, ormai è acclarato il  fatto che la sostenibilità, se gestita in maniera strategica, paga. Bisogna fare una premessa tanto banale quanto necessaria legata al discorso dei trend: se sono cambiate le condizioni del mercato in cui operano le imprese, le imprese che fanno una buona strategia non possono che leggere questi fenomeni e con diversi gradi di intensità, incorporarli nelle scelte di posizionamento competitivo, di gestione del portafoglio aziendale, arrivando fino alle logiche di crescita – cd. corporate strategy. Se, dunque, queste sono le condizioni, si può fare una buona o una cattiva strategia. In maniera provocatoria, dico sempre agli studenti che in più del 60% delle operazioni di M&A il valore della fusione è inferiore al valore della somma delle parti; le innovazioni, nell’80% dei casi falliscono, ma vengono attuate perché rinunciare all’innovazione significherebbe essere fuori mercato.

Dunque, in questo nuovo scenario, la sostenibilità e l’innovazione sono fenomeni indissolubilmente legati che si alimentano a vicenda in un circuito virtuoso. Stando a quanto detto, è evidente che fare una buona strategia genere valore - che può essere legato all’ingresso, come opportunità, in nuovi mercati, nei quali si riesce a inserirsi grazie: a prodotti che sono più allineati rispetto alle aspettative dei nuovi consumatori; ai temi reputazionali; alle capacità di attrarre i talenti; l’efficienza nell’uso delle risorse; alla minore esposizione alla volatilità dei prezzi (poiché vi è maggiore controllo della propria filiera). Tutti questi elementi giustificano l’investimento nella la sostenibilità.

A livello finanziario, anche in questo caso la ricerca mostra una relazione positiva: un portafoglio di aziende più sostenibili ha anche una maggiore redditività. Subentrano, in questo caso, alcuni elementi di complessità legati a come si misura la sostenibilità in un portafoglio di investimento: vi sono due componenti 

congiunte (un primo tema di complessità intrinseca alla misura e all’attività che fanno le agenzie di rating e un tema di assenza di competenze) che determinano incertezza e lasciano spazio a interpretazioni non pienamente mature e corrette. Bisogna specificare che massimizzazione del valore del portafoglio non significa creare il valore. Per la massimizzazione, infatti subentra il tema del tempo ed è evidente che in un orientamento al breve vi sono molti più trade off: una strategia di sostenibilità richiede un investimento in termini di tempo, oltre che di risorse. La visione della sostenibilità nella prospettiva dell’impresa, rispetto alla visione dell’operatore di mercato non è la stessa. Sicuramente, in sintesi, sia la ricerca manageriale organizzativa sia quella finanziaria, ha dimostrato che a certe condizioni la sostenibilità paga ed è di fatto oggi il punto di arrivo.

L’elemento ideologico è un altro tema: sulla base di studi e osservazioni accademiche emerge che, quando alcune scelte politiche vanno a impattare la cd. agency, ovvero la libertà di scelta, negli USA si viene a creare una spaccatura politica. Prima dell’accordo di Kyoto sul clima (1997), negli Stati Uniti non c’era una dicotomia forte tra sostenitori e negazionisti del cambiamento climatico, che successivamente si è ancorata alle due fazioni politiche democratica e repubblicana. Infatti, a valle di questo accordo, che ha avuto il fine di regolare il mercato in funzione della disciplina del clima per ridurre le emissioni e, di conseguenza,  riorientare le scelte di investimento, la società americana ha reagito e c’è stato uno spaccamento nella politica americana perché si andati al di là dalla logica della tutela dell’ambiente e si è entrati in una dimensione prettamente politico-economica. Oggi, nel momento in cui la SEC (il regolatore americano), interviene imponendo agli investitori l’adozione di principi ESG per la comunità finanziaria, e quindi l’allocazione delle risorse, in automatico commette un’ingerenza nella agency e avviene la spaccatura nei due colori della politica americana. Tale frattura rischia di arrivare anche in Italia, laddove c’è una scarsa comprensione di questo tipo di argomenti poiché vi è una visione ideologica su temi  che sono invece oggettivi dal punto di vista scientifico - a questo proposito notiamo una crociata a evidenza a-scientifica che sta riportando in auge il dibattito negazionista sul clima e che è legata al fatto che la transizione ecologica sposta gli interessi, mette in difficoltà alcuni settori obsoleti e gestiti senza politiche industriali e al contempo provoca, a livello sociale, delle inevitabili trasformazioni.

 

Ha parlato di “giusta transizione”. Cosa bisogna fare per abbracciarla?

In primo luogo, riconoscere gli obiettivi in maniera chiara e quindi avere un piano e una politica a livello nazionale per poter affrontare la transizione. Il secondo elemento sta nell’ identificare gli strumenti di compensazione, perché una transizione presuppone inevitabilmente un cambio di tecnologie che comporta, a  sua volta, che alcune aziende e alcuni operatori di mercato vengano posti a margine: per questo vi deve necessariamente essere una certa forma di compensazione. Questa forma di compensazione, e siamo dunque al terzo elemento, si deve tradurre in azioni che devono prevedere sia un supporto al reskilling delle competenze per gli operatori sia un supporto agli imprenditori, tanto a livello di competenze quanto finanziario.

Nel mercato attuale c’è una quota di 20-30% di imprese che ha già abbracciato questo cambiamento, con imprenditori che guardano al futuro e che hanno investito nelle proprie aziende, in competenza e soluzioni tecnologiche. Questa è una giusta transizione, che si fa con una buona politica industriale e, soprattutto, senza ideologia.

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