20 Ottobre 2021

Alcune riflessioni circa il ruolo che il legislatore ha affidato al “terzo esperto” nelle procedure preventive di superamento della crisi

LORENZO MARCELLO DEL MAJNO

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Abstract

Il legislatore ha affidato al “terzo esperto” nella composizione negoziata un ruolo centrale per il successo del nuovo strumento per il superamento della crisi. La scelta si pone nel solco di quella che ha caratterizzato la stesura del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza (CCII), dove sono stati previsti gli Organismi di Composizione della Crisi d’Impresa (OCRI). La decisione del legislatore di affidare a “terzi esperti” la gestione della fase di emersione della crisi e di superamento della stessa ha aspetti positivi ma lascia alcuni interrogativi sull’efficacia dello strumento in mancanza di “esperti” realmente competenti e adeguatamente formati.

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La composizione negoziata e il ruolo dell’esperto

Con il d.l. 118/2021, il legislatore ha introdotto il nuovo istituto della composizione negoziata. Si tratta di una procedura di superamento dello stato di crisi, che l’imprenditore potrà attivare volontariamente, a far data dal 15 novembre 2021, nel caso in cui versi in una situazione di squilibrio patrimoniale o economico - finanziario tale da rendere probabile uno stato di crisi o di insolvenza (cfr. d.l. 118/2021, art. 2) ovvero si trovi già in uno stato di insolvenza, ma con concrete prospettive di risanamento (cfr., da ultimo, decreto ministero della giustizia del 28 settembre 2021).

La procedura si sostanzia nella nomina di un “esperto indipendente”, cui è demandato l’incarico di agevolare “le trattative tra l’imprenditore, i creditori ed eventuali altri soggetti interessati, al fine di individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di …squilibrio” (cfr. d.l. 118/2021, art. 2).

Il legislatore affida all’esperto un ruolo decisivo ed essenziale nel percorso di emersione e gestione della crisi: quello di valutare se vi siano concrete possibilità di risanamento dell’imprenditore e, quindi, di avviare e gestire le trattative con i creditori e gli altri stakeholder ovvero di terminare il procedimento, in mancanza di prospettiva di risanamento.

Il successo dell’istituto della composizione negoziata della crisi può, quindi, dipendere anche dalla competenza e dalla qualità dell’opera che l’esperto è chiamato a svolgere.

Ed è evidente che la scelta del legislatore si pone nel solco, pur profonde differenze, di quella già effettuata nel CCII, laddove l’attività dell’OCRI (il collegio degli esperti) sarebbe stata determinante per l’esito della composizione assistita della crisi.

Il legislatore torna quindi a dare dignità al percorso negoziale della soluzione della crisi, affidando ad un terzo il ruolo risolutivo (o quantomeno centrale) per la gestione delle procedure preventive di superamento della crisi.

 

Alcune riflessioni (positive e negative) sul ruolo dell’esperto nella composizione negoziata

La scelta offre alcuni spunti di riflessione.

Da un lato, è positiva la decisione di gestire la fase iniziale dell’emersione della crisi al di fuori del sistema giurisdizionale e in un contesto chiaramente negoziale tra le parti, nell’ambito del quale un terzo è chiamato ad agevolare il confronto al fine di individuare una soluzione (in un certo senso, la procedura richiama molto quella della mediazione, quale strumento alternativo per la risoluzione delle controversie). E’ noto infatti che più è “libera” la fase delle negoziazioni, più è probabile che le parti trovino un punto di equilibrio soddisfacente, da coniugare eventualmente in uno degli strumenti/istituti previsti per superare la crisi.

E’ condivisibile, poi, la scelta di “esternalizzare” l’emersione della crisi, pur nel necessario rispetto della confidenzialità e della riservatezza dell’imprenditore; l’intervento di un soggetto terzo che “certifica” lo stato di squilibrio dell’imprenditore (in un certo senso, togliendogli il velo dagli occhi) è un passaggio, non solo formale, da una “gestione interna”, ad una “gestione esterna” della crisi. Passaggio che è funzionale a spingere tutte le parti coinvolte ad adoperarsi per la ricerca di una soluzione.

Permangono, però, molti dubbi sulla concreta utilità dell’apporto del terzo esperto in una gestione “attiva” del percorso negoziale.

Ed infatti, il ruolo centrale dell’esperto implica un’elevata capacità tecnica e interdisciplinare nonché una significativa esperienza: egli deve, innanzitutto, valutare le prospettive di risanamento dell’azienda al fine di decidere se avviare le trattative e, quindi, “facilitare le trattative e stimolare gli accordi … coadiuv[are] le parti nella comunicazione, nella comprensione dei problemi e degli interessi di ciascuna” insolvenza (cfr. decreto ministero della giustizia del 28 settembre 2021).

Senonché, il legislatore ha previsto che possono essere nominati esperti i seguenti soggetti:

  • i professionisti iscritti da almeno cinque anni agli albi (i) dei dottori commercialisti ed esperti contabili, (ii) degli avvocati (che però devono anche documentare di aver maturato esperienze nel campo delle ristrutturazioni aziendali e delle crisi di impresa) o (iii) dei consulenti del lavoro (che devono dimostrare di aver concorso alla conclusione positiva di almeno tre casi di ristrutturazione dei debiti) nonché
  • i non professionisti purché abbiano ricoperto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in imprese interessate da operazioni di ristrutturazione concluse positivamente.

Tutti i soggetti interessati devono, inoltre, possedere una formazione specifica con la partecipazione ad un corso di 55 ore.

A parere di chi scrive, i criteri qualitativi e quantitativi minimi su cui è misurata la capacità professionale e l’esperienza dei nominandi esperti lasciano più di qualche dubbio.

Si registra, ancora una volta, la tendenza del legislatore ad “abbassare” i requisiti richiesti per l’iscrizione agli elenchi dei soggetti chiamati ad assistere le parti nelle trattative sui piani di ristrutturazione preventiva; tendenza che era iniziata con il decreto correttivo del CCII, d.lgs. 14/2020, che ha modificato i requisiti esperienziali per l’iscrizione all’albo degli incaricati della gestione e del controllo delle procedure ex art. 352 CCII (albo dal quale, come noto, verrebbero scelti i componenti degli OCRI).

Da un lato, la scelta legislativa risponde ad una logica -condivisibile - di politica economica volta ad aumentare la platea dei soggetti che possono essere nominati esperti nelle procedure di composizione negoziata (ovvero di membri dell’OCRI) e, quindi, possono fruire di ulteriori occasioni e opportunità di lavoro.

Dall’altro lato, tuttavia, l’abbassamento della soglia va a discapito dell’esperienza e della formazione richieste all’esperto; competenze che sono invece essenziali per una gestione proficua delle procedure preventive di superamento della crisi. Tanto è vero che la Direttiva europea richiede che gli Stati membri provvedano affinché i professionisti coinvolti nelle procedure di risanamento ricevano una formazione adeguata e possiedano le competenze necessarie per adempiere alle loro responsabilità (cfr. art. 26, Direttiva 2019/1023).

Alla luce di quanto sopra, potrebbe non essere un caso che il legislatore stesso abbia previsto che l’esperto possa “avvalersi di soggetti dotati di specifica competenza” (cfr. art. 4, d.l. 118/2021).

A ciò si aggiunga che il legislatore non ha previsto alcun meccanismo di vigilanza (non giudiziale) sull’operato degli esperti: l’esperto non ha alcun rapporto con la CCIAA che lo nomina, né con l’imprenditore, che è tenuto solo al pagamento del compenso.

L’assenza di vigilanza (non giudiziale), peraltro richiesta dalla Direttiva 2019/1023, è una lacuna rilevante del sistema, che si affianca alla grave assenza di alcuna responsabilità specifica e contrattuale dell’esperto stesso nei confronti dei soggetti con cui è chiamato ad operare.

Per di più, nell’ambito della composizione negoziata, l’ufficio dell’esperto è “monocratico”, a differenza dell’OCRI nella composizione assistita: ciò non consente, quindi, di costituire un collegio nell’ambito del quale nominare contestualmente membri più e meno esperti, al fine di far crescere professionalmente questi ultimi.

Inoltre, il legislatore non ha nemmeno previsto un sistema di praticantato o affiancamento degli esperti “meno esperti” nell’ambito della composizione negoziata.

Estremizzando il ragionamento, ci si chiede quale concreto e positivo contributo può dare un esperto iscritto da 5 anni ad un albo professionale, nel caso in cui gli advisor che affiancano la società e/o i creditori sono significativamente più esperti dell’esperto stesso? Si intuisce che, per quanto possa essere bravo e volenteroso l’esperto, può registrarsi più di qualche distonia nello svolgimento della procedura, salvo ridursi a mero “mediatore”.

 

Alcune proposte in tema di formazione e di competenza dell’esperto

Si ritiene che, per quanto perfetta o perfettibile, una procedura possa funzionare efficacemente solo in presenza di operatori adeguati a svolgere il compito loro affidato e tenuti a rispondere delle loro azioni (principio della responsabilità).

Sotto il profilo dell’adeguatezza degli esperti al compito loro affidato, in una materia altamente tecnica e interdisciplinare come la gestione della crisi di impresa, è quindi necessario che i nominandi esperti abbiano un’idonea formazione professionale (e non bastano certo 55 ore di un corso, per di più senza esame o prova valutativa finale) e abbiano maturato una reale esperienza (a tale riguardo, il limite di un esito positivo di almeno 4 procedure è un dato minimo e, non a caso, previsto nel testo originario del CCII, per il primo popolamento dell’albo degli incaricati della gestione e del controllo nelle procedure ex art. 356 CCII).

Forse, una soluzione alternativa potrebbe essere quella di istituire presso gli ordini professionali competenti (cui dovrebbe rivolgersi anche il “non professionista” che intende essere nominato “esperto”) apposite commissioni per valutare la competenza e l’esperienza dei candidati al fine della loro iscrizione negli elenchi tenuti dalle CCIAA e/o per organizzare dei percorsi di praticantato (tutoring); aspetto da non sottovalutare è l’organizzazione di corsi di formazione che possono essere tenuti da società private specializzate ovvero dagli ordini professionali. Le commissioni dovrebbero, pure, esercitare la vigilanza sugli esperti e sulla loro opera ed, eventualmente, anche al fine di individuare eventuali profili di responsabilità.

La questione e non è di poco conto, in quanto esperti non adeguati rischiano di trasformare la procedura di composizione negoziata (ovvero quella di composizione assistita nel CCII) in una mera formalità propedeutica all’accesso degli altri strumenti di risoluzione della crisi, tra cui, soprattutto, il nuovo concordato liquidatorio semplificato.

In definitiva, se l’intenzione del legislatore è quella di affidare ad un terzo (esperto o OCRI che sia) la gestione delle procedure preventive di superamento della crisi, è necessario che i soggetti terzi incaricati siano effettivamente capaci di svolgere proficuamente l’incarico affidato e, quindi, è necessario elevare la soglia di competenza e di esperienza richiesta all’esperto nonché introdurre meccanismi di responsabilità professionale e di vigilanza (non giudiziale) sull’operato dell’esperto stesso.

E il (fondato) timore che, in fase di avvio della composizione negoziata, non sia disponibile un numero sufficiente di esperti, può essere gestito prevedendo, in sede di primo popolamento degli elenchi, soluzioni speciali funzionali a garantire comunque un’adeguata preparazione degli esperti (quali, ad esempio, percorsi specifici di formazione ulteriori ovvero di praticantato o di co-gestione della procedura).

Diversamente, una soluzione mediana e di compromesso rischia di pregiudicare sin da subito il possibile successo del nuovo istituto della composizione negoziata della crisi e, una volta entrato in vigore il CCII, della composizione assistita.

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