14 Marzo 2018

Anticorruzione, da misura di prevenzione a strategia di business. Il caso del Rating ESG

ELENA DE FRANCESCHI

Immagine dell'articolo: <span>Anticorruzione, da misura di prevenzione a strategia di business. Il caso del Rating ESG</span>

Abstract

All’alba dei recentissimi fatti di cronaca che vedono quali attori di condotte corruttive noti avvocati e consulenti legali d’impresa, parlare di etica nel mondo del business, con particolare riferimento ai processi di acquisto dei servizi legali, è d’obbligo. Essa, infatti, non è una mera operazione di maquillage del fare impresa costituendone, piuttosto, il nocciolo duro, in grado di comprometterne, laddove violata, i capisaldi: la conformità alle norme, la reputazione e il posizionamento sul mercato.

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Per definizione al legislatore spetta il compito di rendere cogente, attraverso l’imperatività del dictat normativo, l’ottemperanza a quelle specifiche regole di condotta che, nel sentire comune, sono invalse in quanto “etiche”. È così che, a fronte di una presa di coscienza sempre più radicata circa la dannosità sociale (e il conseguente disvalore) del fenomeno corruttivo in ambito corporate, si assommano adempimenti ed oneri procedurali non solo squisitamente normativi o frutto di una co-regolamentazione Stato-privato ma risultato, altresì, di una vera e propria auto-nomìa interna.

In questa prospettiva, la selezione dei consulenti legali da parte di P.A. e/o di privati non può che essere un fenomeno da guardare con circospezione da parte delle direzioni legali in quanto a rischio corruzione. I recenti fatti di cronaca giornalistica, in tal senso, nulla fanno se non confermare ciò di cui, in verità già da tempo, il legislatore aveva dimostrato una certa consapevolezza attraverso interventi normativi tanto di hard quanto di soft law.

È proprio in questa direzione che si muovono tanto il D.Lgs. 231/2001 quanto il D.Lgs. 254/2016 lì dove prescrivono, il primo, un modello organizzativo idoneo, il secondo, la precisa indicazione degli “strumenti”. I provvedimenti sono volti - ambedue - a prevenire proprio tale fattispecie di reato tra le cui condotte, quantomeno pregresse, si posiziona anche l’affidamento di incarichi legali attraverso modalità non propriamente cristalline nei termini della trasparenza e della tracciabilità della scelta.

Parallelamente, anche la ISO 37001, facendo rientrare l’avvocato nella macro-categoria del “socio in affari”, ne sottopone la selezione alla disciplina dei “controlli non finanziari” proprio in chiave di prevenzione del fenomeno corruttivo.

Quando l’etica diviene oggetto di rating

In un contesto normativo (hard e soft) siffatto, che vede quale proprio innesto culturale di partenza il concetto di CRS (Corporate Social Responsibility), intesa quale responsività virtuosa dell’impresa alle aspettative di buona condotta del tessuto sociale di appartenenza, non poteva non maturare una nuova declinazione del tradizionale rating, il c.d. “rating etico” orating ESG” o, ancora più dettagliatamente, rating di legalità; trattasi, per l’appunto, di rating non finanziario.

Questo, ultimo prodotto del fil rouge di scandali che nel bene o nel male hanno segnato il nostro tempo, declina il linguaggio squisitamente finanziario in chiave etica o socialmente responsabile; sicché, terminologie quali “investimento responsabile”, “investimento etico”, “finanza etica” o “alternativa”, “Social Responsibile Investment (SRI), sono ormai invalsi nel mondo business e non.

 Trattasi di un giudizio di valore, nell’alveo dei rapporti tra shareholders e stakeholders, sull’attività d’impresa svolto avvalendosi di precisi indicatori (c.d. non financial KPI – Key Performance Indicators), che affondano le proprie radici in tre macro-aree valoriali, c.d. “Triple bottom line” (3BL)(1): ambiente, società e corporate governance; Enviromental Social Responsibility, ESG, appunto. Il rating di legalità, in particolare, prendendo in considerazione i più svariati fattori tra cui il rischio di corruzione, l’indipendenza decisionale delle figure apicali e la modalità di selezione dei consulenti esterni, si pone ad ulteriore stimolo, non più derivante da una cogenza normativa ma frutto di un virtuosismo prasseologico di determinati centri di potere, all’adozione da parte delle imprese di specifiche procedure interne di contrasto alla corruzione.

Insomma, che si stia diffondendo sempre più una nuova forma mentis nell’investitore il quale, prospettivamente, decide di abbracciare e premiare un modo di fare impresa “responsabile” non in quanto semplicemente etico ma poiché, proprio in ragione di tale connotazione, considerato vincente sul mercato in una prospettiva di medio-lungo termine, è chiaro! Ne è prova l’articolo della prestigiosa rivista Harvard Business Review, dal titolo “The Best-Performing CEOs in the World 2017” che, a seguito di un’analisi condotta sui migliori CEO del mondo, stila il suo ranking basandosi proprio sugli indicatori ESG. 

Un efficace programma anticorruzione è in grado, dunque, di rafforzare la reputazione, consolidare la fiducia e il rispetto dei dipendenti ed aumentare la credibilità verso gli stakeholders; è così che l’impianto CRS fonda una nuova politica idonea a creare valore per l’impresa, divenendone, conseguentemente, anche la sua strategia. 

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Proprio in ragione della crescente responsività che il tema etico riscuote nel mondo imprenditoriale, il beauty contest digitale ovvia al conclamato problema, non più semplicemente a rischio 231, costituito dalla selezione di professionisti legali tramite modalità deficitarie nei termini della trasparenza, della tracciabilità e della competitività. Attraverso il beauty contest digitale è possibile, infatti, presidiare attivamente tale rischiosità con la certezza che la scelta del professionista avverrà attraverso procedure trasparenti, tracciabili e competitive sì da fungere quale elemento di pregio non solo da un punto di vista di compliance, ma anche di reputation nonché quale indice distintivo della propria etica aziendale, elemento di posizionamento chiave nel rating ESG.  

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(1) “Cannibals with forks: the triple bottom line of 21st century business”, John Elkington, 1997.

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