27 Aprile 2020

La conversione del settore della ristorazione e l’attività di Food delivery al tempo del coronavirus

MARA FANCIANO

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Abstract

                                Aggiornato al 25.04.2020

La chiusura al pubblico di bar e ristoranti è stata una delle prime misure decise per il contenimento dell’epidemia di coronavirus nel nostro Paese. Dopo lo spaesamento iniziale, quando è diventato chiaro che i tempi per la riapertura di queste attività saranno ancora lunghi, molti locali hanno deciso di dedicarsi per la prima volta alle consegne a domicilio. Ma in questa situazione delicata anche per il food delivery è necessario prendere alcune precauzioni in più per tutelare clienti e dipendenti.

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Quali le soluzioni adottate da ristoranti e bar?

La maggior parte dei ristoranti e bar si stanno convertendo alla consegna di pasti pronti a domicilio e buona parte di quelli che stanno cominciando a farlo sfruttano i servizi delle piattaforme di food delivery.

Alcuni esercizi, invece, hanno introdotto un servizio di consegna in proprio, spesso convertendo il personale di sala rimasto senza lavoro a ruolo di fattorini.

 

Quali, in questo particolare contesto, le regole da osservare?

Il principio generale e fondamentale, che regola le norme sulla sicurezza e l’igiene del cibo, stabilisce che tutti gli operatori che intervengono nella filiera produttiva garantiscano che i prodotti siano trattati in modo da evitare qualsiasi contaminazione o trasformazione tali da renderli pericolosi o inadatti al consumo umano.

Questo, quindi, vale anche per chi consegna gli alimenti al cliente finale.

Molti sono stati i provvedimenti che si sono succeduti in breve tempo nel corso dell’emergenza sanitaria sul tema (si pensi, i vari DPCM, al protocollo del 19 marzo per l’esperimento delle attività in regime di sicurezza, alle Raccomandazioni del Ministero della Salute, alle linee guida del Ministero dei Trasporti, al decalogo FIPE – Assodelivery, alle Linee Guida ULLS Pedemontana) e il principio cardine resta sempre lo stesso: il rispetto e l’osservanza della tutela della sicurezza dei propri dipendenti, sempre in aderenza e in aggiunta alla normativa HACCP, che si sostanzia nel distanziamento interpersonale di almeno un metro e nell’assenza di contatto diretto del fattorino sia dal personale del ristorante sia dal cliente finale, preferendo i pagamenti elettronici, nell’uso dei DPI (guanti, mascherina, gel disinfettanti, prodotti per la pulizia dei supporti, ….), etc.

 

Quali sono gli aspetti da non sottovalutare nella scelta inerente le modalità di  consegna?

Occorre in primo luogo operare la distinzione tra le attività di delivery mediante personale proprio e quella mediante operatori terzi:

In proprio

Si pensi al ristoratore o al gestore del bar che ricorre al proprio personale (solitamente di sala, che al momento è evidentemente inoccupato) per adibirlo ad attività di fattorino per la consegna, garantendogli pertanto la conservazione del posto e il mantenimento della retribuzione.

L’art.2103 c.c., nella versione così come modificata dal D.Lgs. 81/2015, ha ampliato la possibilità per il datore di lavoro di modificare unilateralmente le mansioni del dipendente.

Nelle condizioni di eccezionalità ed emergenzialità legate al Covid-19, peraltro, si può pensare che il ristoratore sia ancor più giustificato nel realizzare tale conversione, dovendo necessariamente modificare l’assetto organizzativo della propria azienda se non vuole trovarsi nelle condizioni di chiuderla per totale inattività.

Attenzione però: tale operazione deve essere cautelativamente e preventivamente vagliata dal datore di lavoro nonché opportunamente, idoneamente ed efficacemente realizzata nell’alveo di quanto normativamente consentito.

La normativa di riferimento che regola il c.d. “ius variandi”, infatti, ovvero il potere del datore di lavoro di modificare le mansioni della propria forza lavoro, riportandosi a quanto più specificamente stabilito dai CCNL di lavoro, pone dei precisi limiti a tale facoltà, oltrepassati i quali è passibile di gravi contestazioni da parte del dipendente.

Fermi restando i limiti e i dettami di cui all’art.2103 c.c., per evitare possibili azioni risarcitorie del dipendente per demansionamento illegittimo, quindi, è sempre consigliabile sottoporre al dipendente in forma scritta le ragioni che comportano la necessità di variazione ed acquisire la sua adesione scritta a riprova dell’accettazione da parte dello stesso della conversione e delle sue modalità.

Perfezionata la conversione, sorge in capo al ristoratore sia di provvedere alla formazione del lavoratore alla nuova mansione sia di controllarne la sicurezza ai sensi dell’art.2087 c.c. (dovrà quindi dotare il fattorino di tutti i DPI individuali e di un mezzo di circolazione sicuro, regolarmente revisionato e manutenuto).

Attraverso una piattaforma digitale

Il ristoratore che, diversamente, decida di utilizzare le piattaforme digitali per le attività di consegna a domicilio del food è sicuramente più agevolato sotto l’aspetto giuslavoristico perché non legato ad un rapporto di diretta dipendenza con il lavoratore ad essa addetto.

In questo caso, il rapporto di collaborazione si instaura esclusivamente tra la piattaforma digitale/committente e il rider/fattorino iscritto ad essa.

E’ di pochi giorni addietro il provvedimento d’urgenza con cui il Tribunale di Firenze non solo ha ordinato alla piattaforma digitale al quale il fattorino è iscritto di mettere a disposizione dello stesso i DPI ovvero “mascherina protettiva, guanti monouso, gel disinfettanti e prodotti a base alcolica per la pulizia dello zaino”, stabilendo che è onere dell’azienda committente reperire e fornire ai propri fattorini i dispositivi individuali di protezione, ma ha altresì chiarito, con un richiamo sia alla sentenza di Cassazione n.1663/2020 sia alla normativa del D.lgs. n.81/2015, che, benchè si tratti di una collaborazione etero-organizzata e non di un rapporto di lavoro subordinato, sono da estendere ad essa le tutele del lavoro in materia di sicurezza applicabili al lavoratore in regime di subordinazione e, nello specifico, quelle dettate dall’art.71 del D.lgs. n.81/2008.

Anche in questo caso, peraltro, il ristoratore non può ritenersi completamente immune da responsabilità.

Le regole generali che disciplinano la responsabilità del committente nella scelta dell’operatore cui affidare i servizi, invero, impongono al primo una diligente verifica circa la comprovata idoneità tecnica e professionale di quest’ultimo nonché un puntuale controllo sulla effettiva osservanza della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.

Laddove il committente sia anche solo nelle condizioni di percepire situazioni di pericolo rispetto all’incolumità del lavoratore e non lo abbia fatto, invero, in caso di infortunio ne risponde sia in sede civile che penale (cfr. tra le altre Cass.Civ.,Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012).

E’ chiaro che, di fronte ad una situazione di grave emergenza sanitaria quale quella attuale, sorge in capo al gestore del ristorante un più puntuale onere di scegliere una piattaforma di food delivery qualificata, autorizzata e in linea con il sistema HACCP e di controllarne l’operato, anche con stretto riferimento ai mezzi che il fattorino è costretto ad utilizzare per la consegna che devono essere adeguati, ben manutenuti e sempre igienizzati.

E’ opportuno, pertanto, che gli operatori di settore, soprattutto in questo periodo storico in cui i controlli da parte delle Autorità Competenti sono ancor più forti per le note ragioni legate alla pandemia,  si accostino al mondo del food delivery con una cautelativa conoscenza della normativa, soprattutto giuslavoristica e in materia di sicurezza sul lavoro, al fine di non incorrere in specifiche violazioni di legge, con le relative conseguenze punitive e sanzionatorie sia in sede civile, che penale, che amministrativa.

 

 

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