13 Marzo 2020

Coronavirus, le aziende tra temi di sicurezza dei lavoratori e privacy

MAURIZIO BORTOLOTTO

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Abstract

                              Aggiornato al 13.03.2020

Le misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID – 19 sono note a tutti e sono sottoposte a modifiche sostanzialmente giornaliere, come insegna l’esperienza di questi ultimi giorni.

Si tratta di provvedimenti e misure nuove e dirompenti, che condizionano ogni aspetto della vita privata e sociale di ogni cittadino.

Questo stravolgimento, necessario nell’interesse dei singoli e della collettività, porta con sé evidenti difficoltà organizzative anche, e forse soprattutto, all’interno delle imprese, siano esse piccole, medie o grandi.

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Ovviamente per le piccole e medie imprese le difficoltà trovano la loro origine in aspetti organizzativi e in aspetti legati al business che richiedono la presenza in azienda ovvero rendono difficile l’organizzazione del lavoro a distanza.

I problemi e le conseguenti scelte organizzative trovano il loro fondamento non solo negli atti emanati a livello nazionale, regionale e locale, ma anche negli obblighi che il datore di lavoro è tenuto a rispettare nell’ambito della prosecuzione delle attività, seppur in regime di “emergenza”, ovvero gli obblighi previsti dal d.lgs. 81/08.

Sin dai primi provvedimenti emessi a seguito dell’insorgere del problema, ovvero a far data dal 21 febbraio scorso (che oggi sembra lontanissimo), l’argomento che ha interessato i soggetti che sono tenuti ad adempiere agli obblighi del Decreto 81 (Datori di lavoro, Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione, Medici Competenti, Dirigenti, Preposti) è stato quello relativo alla necessità/obbligatorietà di integrare il proprio Documento di Valutazione dei Rischi, trattando l’emergenza nell’ambito del “rischio biologico”.

A mio avviso, non vi erano e non vi sono dubbi sul fatto che la scelta corretta sia quella di procedere in tal senso.

Infatti, già con la circolare Ministero della Salute 3 febbraio 2020 espressamente si chiariva che “si rappresenta preliminarmente che, ai sensi della normativa vigente (d.lgs. 81/2008) la responsabilità di tutelarli dal rischio biologico è in capo al datore di lavoro, con la collaborazione del Medico Competente”, parole riprese, per citare un atto certamente molto discusso, dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali nel provvedimento 2 marzo 2020 ove si legge: “resta fermo l’obbligo del lavoratore di segnalare al datore di lavoro qualsiasi situazione di pericolo per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. (…), permangono altresì i compiti del datore di lavoro relativi alla necessità di comunicare agli organi preposti l’eventuale variazione del rischio “biologico” derivante dal Coronavirus per la salute sul posto di lavoro e gli altri adempimenti connessi alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori per il tramite del medico competente”.

Sia consentita una riflessione sul provvedimento appena citato.

Chi scrive ha appreso con stupore quelle che sono state le indicazioni del Garante, che, a fronte dell’impegno di tantissime aziende nel porre sin da subito dei presidi atti a ridurre i rischi di contagio - dalle “famigerate” autodichiarazioni agli apparati costosi quali i termoscanner – ha ricondotto tutto al supino adeguamento alle disposizioni generali impartite per tutta la collettività.

Tale atteggiamento pare contrastante, da un lato, con i principi di bilanciamento degli interessi, costituzionalmente protetti, che vogliono sempre prevalente il “diritto alla salute” declinato in ogni sua forma, e, dall’altro, con i principi che regolano la sicurezza sul lavoro, citati, come sopra riportato, proprio nel testo del provvedimento.

È noto, infatti, che il datore di lavoro debba proteggere i suoi lavoratori dai rischi derivanti dalle sue attività lavorative, come si evince non solo dall’interno Decreto 81, ma anche dagli 2087 e 2050 c.c.

A fronte della “chiusura dell’Italia” e del tentativo di garantire la sopravvivenza alle Imprese, citando – lo si ripete - norme che impongono maggiori cautele a tutela dei lavoratori, il Garante sembra aver minimizzato gli sforzi di tutti nel tentare di proteggere le persone, i lavoratori, le loro famiglie e tutti i contatti interpersonali.

Tornando al merito della valutazione dei rischi, ed al di là del dato letterale riportato in molti provvedimenti tra cui quelli citati, la posizione di coloro che non aderiscono all’orientamento che vuole l’emergenza come elemento da considerarsi nell’ambito del rischio biologico e che si fonda sull’esposizione diffusa di tutta la popolazione italiana, non pare dirimente.

Sia consentito un esempio, seppur banale: anche quello di contrarre il tetano è un rischio comune e diffuso, tant’è che esiste per tutti la vaccinazione obbligatoria. Ma nessuno mai si azzarderebbe ad andare contro il disposto normativo che prevede obblighi specifici per alcune categorie di lavoratori proprio perché esposti ad un maggiore rischio di esposizione a questo agente patogeno.

Ebbene, questo ragionamento è quello che dovrebbe essere seguito nell’affrontare la grave emergenza che sta modificando in modo così forte e tangibile il nostro stile di vita, differenziando tra lavoratori esposti ad un rischio comune a tutti, ad esempio il personale della funzione amministrativa/contabile, rispetto a soggetti esposti a rischio maggiore, come commerciali, operatori sanitari ed assistenziali che si recano a domicilio per la somministrazione di cure o terapie, addetti agli sportelli, etc.

Certamente tutte le aziende sono in grado di diversificare l’esposizione del proprio personale e, conseguentemente, adottare le misure di tutela ritenute opportune.

In particolare, e senza finalità esaustive ma meramente esplicative, si citano:

  • applicazione delle modalità di lavoro agile;
  • criteri applicati nella valutazione della non sospensione di alcuni reparti aziendali e delle ragioni per le quali questi sono “indispensabili” alla produzione (Art., nr. 7, lett. d, DPCM 11 marzo 2020);
  • descrizione dei protocolli di sicurezza anti – contagio a seconda del lavoro svolto dai gruppi omogenei di lavoratori;
  • misure adottate per la sanificazione dei luoghi di lavoro (bagni, spogliatoi, ma anche scrivanie, maniglie ed altri oggetti di uso diffuso).

Molte aziende, poi, fanno correttamente discendere dall’aggiornamento del Documento di Valutazione dei Rischi, l’aggiornamento del Modello 231.

Quest’argomento merita qualche osservazione.

Sotto il profilo dell’aggiornamento del Modello vero e proprio, non si ravvisa una precisa esigenza: infatti, l’articolo 30 del d.lgs. 81/08 prevede che il Modello debba assicurare un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi relativi “(…) b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti”.

Inoltre, per interpretazione costante ed uniforme, l’aggiornamento del Modello, compito affidato ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett b), d.lgs. 231/01, all’OdV, deve essere effettuato a fronte di:

  • modifiche normative in tema di responsabilità amministrativa degli Enti, ivi incluse eventuali significative innovazioni nell’interpretazione delle disposizioni in materia derivanti da nuovi orientamenti giurisprudenziali e/o autorevoli e condivisibili orientamenti dottrinari;
  • modifiche dell’assetto societario;
  • identificazione di nuove attività sensibili, o variazione di quelle in precedenza identificate, anche eventualmente connesse all’avvio di nuove attività d’impresa, modificazioni dell’assetto interno e/o delle modalità di svolgimento delle attività d’impresa;
  • commissione dei Reati Presupposto o, più in generale, in caso di gravi violazioni del Modello;
  • riscontro di carenze e/o lacune nelle previsioni del Modello a seguito di verifiche sull’efficacia del medesimo.

Pertanto, l’aggiornamento del DVR non deve essere recepito come aggiornamento del Modello, posto che, peraltro, quest’ultimo, in ossequio al disposto dell’art. 30 d.lgs. 81/08, deve contenere al suo interno una procedura specifica che riguarda le modalità ed i casi di aggiornamento della valutazione dei rischi.

Altro aspetto largamente discusso è quello relativo ad un dovere dell’Organismo di Vigilanza di impartire disposizioni all’Azienda sull’adozione delle misure volte al contenimento del “rischio coronavirus”.

Come ampiamente visto, il primo passaggio per fronteggiare il rischio è quello di porre mano alla valutazione dei rischi, compito primario del datore di lavoro, unitamente al RSPP ed al Medico Competente.

Ebbene, l’OdV non deve e non può sostituirsi ai garanti della sicurezza, ma deve verificare che sia garantita la compliance aziendale rispetto all’emergenza, letta alla luce del citato articolo 30 ed in conformità ai poteri allo stesso attribuiti dall’art. 6 d.lgs. 231/01.

 

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