13 Novembre 2018

Cosa rende un professionista tale? In base a che cosa decidiamo di dare la nostra fiducia?

MARCELLO MANTELLI

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Abstract

Oggi partirei, legandomi per qualche verso al nostro articolo precedente, da questa semplice domanda: “Cosa rende un professionista (nel nostro caso specifico si parla di avvocati ovviamente) tale? O meglio, in base a che cosa noi decidiamo di dare la nostra fiducia, di mettere nelle mani di una persona che reputiamo preparata quella preziosa e complicata porzione della nostra vita o dei nostri affari da tutelare?

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La risposta più semplice ed immediata a tale domanda è: “Ho controllato il CV di questo avvocato…ottime qualifiche e specializzazioni, ha fatto Giurisprudenza nella tale Università…non c’è dubbio, è preparato!”

Questa risposta è assolutamente vera…in parte. Il professionista deve essere qualificato ma siamo sicuri che sia tutto qui? Ciò che determina il sapersi muovere in certe situazioni, il saper spaziare e fare un passo oltre a ciò che è strettamente e tecnicamente inerente al proprio mestiere deriva dall’esperienza che non sempre coincide interamente con le qualifiche legali. Con esperienza infatti intendo non solo quella specifica del proprio settore (quella dovrebbe essere scontata) ma quella che il professionista, in quanto persona, si porta sulle spalle. Quella “nascosta” che spesso erroneamente viene considerata da alcuni “spreco di tempo” perché non strettamente collegata allo specifico mestiere appunto.

Facciamo un esempio per essere più chiari.

Se il nostro avvocato, chiamiamolo Avv M, avesse alle spalle anni di tutt’altra esperienza? Non so per esempio come imprenditore…Agli occhi dell’ipotetico cliente questo che cosa potrebbe significare? Ci potrebbero essere essenzialmente due tipi di risposte…

  • Cliente A: “Guarda qui, questo non va proprio bene, non sapeva cosa fare della sua vita, ha sprecato un sacco di tempo e magari poi il lavoro da imprenditore è andato male e si è messo a fare l’avvocato”
  • Cliente B: “Interessante…Guarda qui, questa persona prima di diventare il professionista che è ha spaziato in quest’altro ambito che sicuramente lo ha portato ad avere una visione più completa del mondo del business …potrebbe davvero andare bene per me”

Quello che intendo dire è che è questione di sguardo. Questione di ribaltarlo lo sguardo.

C’è un artista torinese che dagli anni Settanta va alla ricerca di questo sguardo. Si chiama Giuseppe Penone, arte povera e fa delle cose straordinarie, un po’ difficili da capire ma straordinarie. Per esempio una volta si è fatto fabbricare delle lenti a contatto a specchio. Avete presente quegli occhiali da sole che specchiano? Ecco così, solo che invece di occhiali erano lenti a contatto. L’opera d’arte consisteva nel fatto che lui si metteva queste lenti e andava in giro per la città. L’artista diventa qualcuno che puoi guardare negli occhi e vedere te stesso e quello che sta intorno, la realtà, le persone. Ecco è qualcosa del genere che si tratta di fare. Cercare di andare oltre, cercare di vedere nel riflesso delle esperienze del professionista quello che ci appartiene, quello che può aiutarci anche se non strettamente legato ad un discorso legale. È proprio questo sguardo che può permetterci di fare la scelta giusta e scoprire che la vita del professionista, in quanto persona, è utile anche alla nostra.

Facciamo un altro esempio parlando di sguardo “attento” e “recettivo”.

A Cracovia c’è il grande altare di Veit Stoss, uno scultore tedesco che lavorava in Polonia alla fine del Quattrocento. L’altare di Veit Stoss è molto importante, è tutto in legno, e chi lo guarda ha l’impressione che rappresenti l’intero universo dell’autore. Verso la fine degli anni Cinquanta i preti che custodivano l’altare videro che in diversi punti il legno stava per essere aggredito dai tarli così avvertirono la sorveglianza che spedì una schiera di restauratori. L’altare era composto da diverse lastre a bassorilievo e ad altorilievo, fissate con chiodi e viti. I restauratori svitarono e schiodarono e videro quello che non era mai stato visibile, semplicemente perché rivolto verso l’interno. Videro che anche il retro delle tavole era scolpito. Come se le figure che si stagliavano dal lato visibile dei pannelli non fossero che l’accenno alle scene che trovavano compimento sul retro, nella parte invisibile. La facciata dei pannelli, quello che si credeva l’universo di Veit Stoss, non era altro che un trenta, quaranta per cento della sua opera. Il lato visibile di un mondo che occultava la sua parte più interessante.

Ecco, tornando a noi, l’errore del nostro cliente a) è non vedere il retro ma solo ciò che sta davanti. Non rovesciare lo sguardo e non capire che senza il suo “bagaglio personale nascosto nel retro della vita” l’Avv. M non avrebbe mai risolto quel caso di tanti anni fa, così bene, in un modo così preciso…Non avrebbe potuto dare consigli così completi e dettagliati a quell’altro suo cliente o al suo collega…Senza tutto quel tempo efficacemente ed intelligentemente “sprecato” l’Avv. M oggi non sarebbe l’Avv. M.

 

Articolo redatto insieme alla co-autrice Dott.ssa Barbara Bosio

Barbara Bosio, Laurea triennale in Linguaggi dei media (Univ.Cattolica, Milano), Master in Scrittura e Produzione per la fiction e il cinema (Univ.Cattolica Milano), è co-autrice dell’articolo e collabora con Mantelli Davini Avvocati Associati per la creazione e comunicazione digitale di contenuti legali.

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