11 Marzo 2020

COVID-19: i divieti di mobilità e l'esimente del factum principis

VALERIO PANDOLFINI

Immagine dell'articolo: <span>COVID-19: i divieti di mobilità e l'esimente del factum principis</span>

Abstract

                               Aggiornato all'11.03.2020

L'emergenza coronavirus e l’adozione di provvedimenti governativi per il contenimento dell’epidemia stanno avendo un fortissimo impatto sui rapporti contrattuali delle imprese, causando inadempimenti contrattuali, consistenti in ritardi o impossibilità di consegnare prodotti o effettuare servizi. E’ opportuno esaminare sinteticamente quali conseguenze tale situazione comporta sotto il profilo giuridico e se vi siano delle esimenti da responsabilità.

 

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L’emergenza sanitaria e suoi impatti sui contratti

La recente diffusione del Coronavirus COVID-19 e l’adozione di provvedimenti governativi urgenti per il suo contenimento stanno avendo un fortissimo impatto sui rapporti contrattuali delle imprese, sia interni che internazionali.

Tale situazione comporta il verificarsi di possibili inadempimenti contrattuali, dato che le imprese rischiano di non essere in grado di adempiere alle obbligazioni assunte o, comunque, di farlo entro i termini contrattualmente stabiliti. In particolare, i provvedimenti che impongono misure restrittive della libertà personale e di circolazione (come ad esempio divieti di allontanamento e di accesso, applicazione di quarantene, limitazioni all’accesso o sospensione dei servizi di trasporto, etc.) fanno sì che gli operatori incorrano in ritardi nella consegna di prodotti o nell’effettuazione di servizi, o addirittura possono rendere impossibili tali prestazioni.

E’ quindi opportuno esaminare sinteticamente le conseguenze giuridiche che l’emergenza sanitaria in corso è suscettibile di avere sui rapporti contrattuali pendenti e se essa possa costituire un’esimente da responsabilità.

 

I principi generali sull’adempimento delle obbligazioni

Secondo i principi generali (artt. 1218 e 1256 c.c.), per esonerarsi dalle conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte, il debitore deve provare che l’inadempimento è stato determinato da una causa a sé non imputabile; quest’ultima è costituita non già da ogni fattore a lui estraneo che lo abbia posto nell’impossibilità di adempiere, bensì da eventi non riconducibili a un difetto della diligenza che il debitore è tenuto ad osservare e non rimediabili con la normale diligenza.

Qualora ricorra tale situazione, il debitore non è responsabile dei danni che la controparte possa subìre per effetto del ritardo nell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c., finché perduri la situazione di impossibilità. Nel caso in cui l’impossibilità divenga definitiva, o comunque perduri fino a quando venga meno l’interesse che la prestazione in concreto è diretta a realizzare (ad esempio, le merci che avrebbero dovuto essere consegnate non siano più utili o utilizzabili), l’obbligazione si estingue, con conseguente scioglimento del vincolo contrattuale (artt. 1256 e 1463 c.c.).

Inoltre, relativamente ai contratti a prestazioni corrispettive, in caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, ai sensi degli artt. 1463 e ss. c.c., il contratto si risolve, con la conseguenza che la parte che si trova nell’impossibilità di adempiere non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella già eventualmente ricevuta.

 

Il factum principis quale causa esimente da responsabilità

Sotto il profilo giuridico, i recenti provvedimenti emergenziali possono incidere sulla capacità di eseguire le prestazioni contrattuali, determinando l’impossibilità sopravvenuta di adempiere, ai sensi dell’art. 1256 c.c., in quanto rientrano nella fattispecie del c.d. “factum principis”. Quest’ultima rappresenta una ipotesi di forza maggiore che ricorre quando determinati provvedimenti legislativi o amministrativi, emanati dopo la conclusione del contratto per interessi generali (come appunto la tutela della salute pubblica), rendano oggettivamente impossibile l’esecuzione della prestazione, in modo temporaneo o definitivo, indipendentemente dalla volontà dei soggetti obbligati.

Secondo la giurisprudenza consolidata, gli ordini o i divieti emanati dalle autorità sono suscettibili di determinare l’impossibilità della prestazione qualora:

  • gli stessi siano del tutto estranei alla volontà dell’obbligato (Cass. n. 21973/2007);
  • non siano ragionevolmente prevedibili, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione (Cass. n. 2059/2000);
  • il debitore abbia sperimentato tutte le ragionevoli possibilità per adempiere regolarmente (Cass., n. 14915/2018; Cass. n. 11914/2016).

 

I provvedimenti per l’emergenza sanitaria come factum principis

L’emergenza sanitaria in atto e i conseguenti provvedimenti amministrativi, restrittivi della libertà personale  della circolazione, per le loro caratteristiche di gravità, eccezionalità ed imprevedibilità, costituiscono senz’altro una fattispecie di factum principis. Pertanto, qualora gli stessi provochino l’impossibilità della prestazione, costituiscono causa di esonero della responsabilità da inadempimento contrattuale, a prescindere dalle previsioni contrattuali in essere.  

Occorre, dunque, valutare se la durata delle misure restrittive adottate per limitare la diffusione del coronavirus sia tale da estinguere l’obbligazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1256 c.c., fermo restando che il debitore sarà tenuto ad eseguire la prestazione nel momento in cui la causa dell’impossibilità dovesse cessare - indipendentemente da un suo diverso interesse economico – sempre che la stessa sia non divenuta di utilità per la controparte.

 

L’eccessiva onerosità della prestazione

Diverso è, invece, il caso in cui la situazione emergenziale e i relativi divieti governativi rendano una prestazione contrattuale non impossibile, ma eccessivamente onerosa, ovvero più costosa per il debitore.

Ai sensi dell’art. 1467 c.c., nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero differita, se la prestazione di una delle parti è ancora possibile, ma è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, la parte che deve eseguire tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, salvo che tale eccessiva onerosità non rientri nella sua normale alea.

A differenza dell’impossibilità, l’eccessiva onerosità sopravvenuta non produce un effetto liberatorio automatico per il debitore, ma deve essere accertata e dichiarata in giudizio. Inoltre, la parte cui è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto (art. 1467, comma 3, c.c.).

Il concetto di “eccessiva onerosità” non è definito dal legislatore ma, secondo la giurisprudenza, deve essere valutato alla stregua di criteri rigorosamente oggettivi, e distinto dalla mera difficoltà di adempimento. In particolare, l’“eccessiva onerosità” rileva esclusivamente qualora:

  • sia dovuta ad avvenimenti straordinari ed imprevedibili (e sotto questo profilo i provvedimenti governativi per l’emergenza sanitaria rientrano senz’altro in tale ipotesi);
  • imponga all’obbligato un sacrificio economico che eccede la normale alea del contratto.

Sotto quest’ultimo profilo, occorre dunque valutare, caso per caso, se l’evento straordinario e imprevedibile costituito dall’emergenza sanitaria e i conseguenti provvedimenti restrittivi determinino un aggravio patrimoniale per il soggetto obbligato tale da alterare sostanzialmente l’originario rapporto contrattuale, incidendo sul valore di una prestazione rispetto all’altra, ovvero facendo diminuire o cessare l’utilità della controprestazione.

 

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