02 Aprile 2020

COVID-19 e smart working: aspettative vs realtà e la tecnica del pomodoro

VERONICA GAFFURI

Immagine dell'articolo: <span>COVID-19 e smart working: aspettative vs realtà e la tecnica del pomodoro</span>

Abstract

Lo smart working è rapidamente diventato l’argomento più dibattuto del momento (a parte il Covid e le teorie complottiste sui laboratori cinesi). Girano foto, video, barzellette, corsi, suggerimenti, analisi più o meno serie…e siccome è uno sporco lavoro, ma qualcuno lo doveva fare, ho cercato di vedere, leggere, ascoltare un po’ e fare un compendio.

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Trova le differenze

Dopo aver fatto tutto questo ho capito un paio di cose.

La prima è che praticamente tutti i suggerimenti e le considerazioni si possono raggruppare sotto delle macrocategorie, precisamente queste:

  • tecnologia
  • tempo
  • ambiente
  • relazioni
  • distrazioni

Ovviamente tutte sono interdipendenti: l’ambiente genera distrazioni, le distrazioni incidono sulla gestione del tempo, la tecnologia e le relazioni sono spalmate su tutto. Inoltre, non si può dimenticare che in questo momento non si parla semplicemente di smart working, ma di smart working in quarantena: quindi rigorosamente a casa (non particolarmente smart, in effetti), tutti i giorni (non modulabile su esigenze e tipologia del lavoro da fare), con una pressione emotiva e psicologica inusuali.

 

Viva lo smart working

La seconda cosa che ho capito è che, dopo aver visto 50 minuti di videocorso e letto 5 o 6 articoli sullo smart working efficiente, l’insegna che lampeggiava furiosamente nella mia mente era “la fiera delle banalità”, anche con risvolti umoristici interessanti: in un articolo, (ma era in inglese, forse è politically uncorrect dirlo, ma spiegherebbe alcune cose), il consiglio era «non eccedere con l’alcool», ma anche con gli zuccheri (e qui invece potrebbe adattarsi anche a noi mediterranei). Ciononostante bisogna ammettere che, proprio perché banali, spesso sono cose che non si fanno, esattamente come nei corsi per la gestione del tempo tutti si aspettano la bacchetta di Harry Potter che miracolosamente li fa svoltare, mentre in realtà esistono solo tecniche che fanno capo comunque a rigore e autodisciplina.

 

Aspettative vs realtà

Un altro problema dei corsi, soprattutto dei video, è che sembrano non tener molto conto della realtà. Nel mio preferito, un corso su Linkedin, interessante nei contenuti e fatto bene assai, il protagonista, giovane e atletico il giusto, sembra vivere in California e gestire il suo lavoro tra una corsetta in riva all’oceano e una pausa al caffè ipermoderno cui arriva in bici e dove continua a lavorare insieme ad altri giovani in canottiera. Quindi: teniamo a mente che nessuno dei suggerimenti proposti è una panacea e a volte non si riesce neppure ad avvicinarsi a quanto ti dicono. Però: probabilmente mettere in pratica tutti i consigli al 100% è impossibile, ma alcuni in parte sicuramente si può fare.

 

Postazione e convivenza

Sulla postazione tutto diventa molto chiaro se “googlate” smart working e andate sulle immagini: chi non ha una casa con design stile “Ikea per ricchi” con vista mare, tavolo dedicato e bici sullo sfondo in totale solitudine o bambini buonissimi che stanno in braccio alla mamma manager senza fiatare per 9 ore di fila?

La realtà è spesso leggermente diversa: spazi stretti, gente che gira, cani che abbaiano durante le call (il mio), figli che piangono o reclamano cibo (o devono essere scollati a forza dal tablet).

Soluzioni? Per i miracoli ci stiamo attrezzando, ma nel frattempo qualche suggerimento:

  1. Cercare di creare angolo dedicato, anche se piccolo: se bisogna rubarlo ad altri componenti della famiglia, negoziare orari e modalità.
  2. Cercare di costruirsi una routine, non solo nel lavoro, ma anche nella relazione con i famigliari: essere a casa di solito alimenta richieste fuori contesto da parte degli altri ospiti del penitenziario casalingo. Cercare di farsi un piano può aiutare tutti, programmando anche momenti di pausa in cui darsi retta reciprocamente. Come sempre però, la flessibilità anche qui è la soluzione vincente. Programmare va bene, ma evitare di far prendere un appuntamento anche ai figli affamati per dirgli dove sono i biscotti.
  3. Non farsi condizionare troppo dall’ambiente: tutti concordano sul fatto che bisogna tassativamente vestirsi come se (si andasse in ufficio). Il pigiama è considerato dai più il massimo dell’abiezione, sulla tuta si inizia ad avere una certa varietà di opinioni. Il mio personale buon senso dice: il pigiama proprio no, almeno distinguere giorno e notte sembra opportuno, per il resto moderazione e spirito di adattamento, rispetto a due cose:
  • Cosa dovete fare (video call con clienti? tête-à-tête con file excel tutto il giorno?)
     
  • Cosa vi stimola di più. C’è chi ha bisogno che anche il contorno sia professionale e chi invece sta meglio in una modalità «diurna» (quello sempre, abbiamo detto), ma comoda.

Messaggio conclusivo: non sottovalutate il potere dell’ambiente che ci circonda nel condizionarci. Cercate di ricreare un sotto-ambiente «lavoro», senza per questo far finta di essere in ufficio

 

Informazioni ed emozioni

Anche questa è una tentazione fortissima, io sono consapevole di esserne vittima costante (sono compulsiva con Twitter). Controllare continuamente siti di aggiornamento, giornali, social alla ricerca di notizie è abitudine poco sana in generale, ora ancora di meno. Anche per preservare un decente equilibrio mentale, è meglio cercare di limitare; l’ideale è darsi dei momenti fissi in cui leggere le notizie.

Aggiungo: a volte è necessario cercare le buone notizie; per quanto sembri difficile trovarle, ce ne sono sempre.

Credo anche che sia il momento di essere (moderatamente) indulgenti con se stessi: se in certi momenti è difficile essere concentrati, se il pensiero corre ai famigliari, a quanto succede, etc, diamoci del tempo. Forse non è il momento di pretendere la perfezione, ma di scegliere con cura cosa richiede il nostro massimo sforzo e cosa può aspettare.

 

La solitudine professionale

Ognuno di noi potrebbe probabilmente illustrare una serie di ragioni, condite da aneddoti, per cui la vita in ufficio è difficile: interruzioni, chiacchiere ad alta voce, gente che si muove e distrae, telefonate a volume direttamente proporzionale alla distanza dall’interlocutore…eppure anche la solitudine professionale ha i suoi svantaggi. Tutte le relazioni devono passare dalla tecnologia, che certo ci aiuta e in gran parte sostituisce degnamente gli incontri dal vivo. Di sicuro però i contatti professionali e personali (ma che avvengono nel luogo di lavoro), che a volte così tanto ci disturbano, sono fondamentali per mantenere vivo il clima complessivo e la collaborazione. Molte buone idee e buoni risultati nascono dal dialogo, dalle due chiacchiere scambiate davanti al caffè, dall’incontro casuale in corridoio. Con la tecnologia tutto questo non è impossibile, ma molto più difficile (“passavo davanti al tuo ufficio e mi è venuto in mente di chiederti questa cosa” è difficilmente replicabile con “guardavo il tuo indirizzo email e mi è venuto in mente…”).

Sintetizzando, come viviamo questa situazione dipende da due variabili principali:

  • cosa dobbiamo fare (anche qui la tenzone con il file excel potrebbe non farvi sentire troppo la mancanza dei colleghi)
  • le nostre attitudini caratteriali. C’è chi soffre la mancanza del contatto con i colleghi, soprattutto quello non programmato (quando bisogna telefonarsi necessariamente diventa tutto meno spontaneo, se non altro perché è buona educazione chiedere la disponibilità altrui) e chi invece soffre l’affollamento casalingo (stava meglio nel suo loculo in ufficio).

Il saggio quindi conclude: cercate di capire quali sono i vostri bisogni e quelli degli altri e regolatevi di conseguenza. Nota: molti strumenti di assessment sugli stili cognitivi evidenziano la differenza tra chi è più orientato al compito e chi alle persone. I primi tendono a innervosirsi dopo i primi 30 secondi di convenevoli, i secondi si offendono se non gli chiedete come stanno (estremizzando). E’ utile quindi, per una comunicazione di successo, cercare di intuire l’attitudine altrui e adattarsi almeno un po’.

Infine, in questa situazione in cui siamo tutti lontani e forse un po’ più fragili, prendiamoci cura gli uni degli altri: darsi tempo di sentirsi e ascoltare come stiamo è non solo umanamente meritorio, ma alla lunga – e anche al medio/breve - pure produttivo.

 

Le distrazioni

Lavorare da casa porta distrazioni diverse da quelle in ufficio. Magari non c’è il collega seduto di fianco che urla al telefono, ma l’ambiente in cui si vive porta automaticamente la nostra mente a sintonizzarsi anche sulle altre attività che di solito sono riservate all’ambiente di casa (nel mio caso, lavare e cucinare).

Anche qui, l’autodisciplina vi salverà, ma dovete aiutarla: togliete o regolate le notifiche del cellulare (o comunque imponetevi di non guardare per un po’), datevi obiettivi raggiungibili (almeno una cosa che oggi devo fare) e orari ragionevoli.

Rifuggite anche dal lato oscuro della forza: non mi stacco mai. Imponetevi delle pause.

Poi esiste una simpatica teoria che forse avete già incrociato, definita la tecnica del pomodoro. Inventata da tale Francesco Cirillo, che durante gli studi aveva sempre la sensazione, a fine giornata, di non avere fatto nulla di quanto si era proposto. Sounds familiar? Decise di fare una prova: 10 minuti di studio senza interruzioni (usando timer da cucina a forma di pomodoro). Poca roba apparentemente, ma in realtà non così facile (e negli anni ‘80 non c’erano i cellulari).

Alla fine sono diventati 25 minuti di concentrazione e 5 di pausa. Ogni 4 pomodori, pausa lunga (15/30 minuti).

Considerazioni:

25 minuti non sembrano tanti, ma qui significa proprio non fare null’altro che lavorare (NO mail, NO occhiata al telefono, NO guardo Internet, NO mi faccio un caffè). Molti dicono che all’inizio non ci si riesce. Per resistere alle tentazioni: se è sotto forma di un pensiero (“devo vedere se tizio mi ha risposto”) scriverselo su un foglio, lo farete dopo; se sono richieste esterne: informa, negozia e richiama. Quasi tutto può aspettare 25 minuti.

 

Le relazioni e i conflitti

A distanza la relazione passa da mail, telefono e – più pericolosa ancora – video call. Le regole di etichetta non cambiano, ma si esasperano, con alcune aggravanti. Per esempio, se ci si lascia male dopo una riunione non puoi contare sul fatto di incontrarsi al caffè per riprendere l’argomento. A distanza non esiste la casualità, più o meno creata ad arte. Se devo parlare con qualcuno devo cercarlo attivamente e non sempre se ne ha voglia (se poi siete introversi e con tendenza orso, non ne avete MAI voglia). Con le video call poi la situazione è ancora diversa. Ci si vede, per cui rispetto al telefono si può interagire almeno un po’ anche con il body (o face) language: sorriso, espressione etc. Però offriamo all’altro una visione limitata e possibile fonte di equivoci, quindi, alcune regole:

  • nei limiti del possibile, se parliamo con qualcuno non distogliamo lo sguardo per guardare il cellulare pensando che l’altro non se ne accorga; meglio chiedere scusa se è cosa urgentissima;
  • gesti controllati, attenzione alle mani, come sempre;
  • evitare sarcasmo o battute che possono generare incomprensioni: sarà più difficile chiarirsi;
  • attenzione al microfono aperto, fonte di figuracce epocali;
  • attenzione al labiale, come sopra

E se proprio succede, cercare subito un chiarimento. Anche con una video call.

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