06 Luglio 2021

Il difficile distinguo tra il contratto di affitto d’azienda e il contratto di locazione commerciale: gli approdi della giurisprudenza

OLGA ALDINIO

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Abstract

Il problema della distinzione tra l’affitto d'azienda e la locazione commerciale rileva sotto molteplici profili: si pensi, a titolo esemplificativo, al privilegio relativo al “credito delle pigioni e dei fitti”  degli immobili, riconosciuto al locatore dall’art. 2764 del Codice Civile ed escluso nel caso di affitto; all’inapplicabilità della Legge n. 19/1963, sulla tutela dell'avviamento commerciale, in ipotesi di affitto d’azienda e, in generale, alle differenze tra la disciplina, più rigida, prevista dalla Legge n. 392/1978, per i contratti di locazione commerciale, rispetto alla disciplina, più flessibile, applicabile all’affitto d’azienda.

Al fine di chiarire i contorni incerti tra i due istituti in esame, la giurisprudenza, nel corso degli anni, ha delineato una serie di “indici” finalizzati a guidare il giudice nell’accertamento dell’una o dell’altra fattispecie contrattuale.

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Il criterio distintivo: il requisito dell’organizzazione

Nella ricerca di un criterio distintivo tra l’affitto d’azienda e la locazione commerciale, la giurisprudenza, di merito e di legittimità, ha attribuito un ruolo centrale al “requisito dell’organizzazione”, ritenendo necessaria, per la qualificazione del contratto di affitto d’azienda o di ramo d’azienda, la preesistenza di un'organizzazione “finalistica”, in forma di azienda, dei beni oggetto del contratto.  Di talché, al momento della stipulazione del contratto, il concedente deve già aver destinato i beni all'esercizio dell'impresa e, dunque, verso un “fine produttivo.

Il “fine produttivo”, quale requisito necessario per l’applicazione della disciplina dell’affitto d’azienda, non richiede l’effettivo svolgimento, da parte del concedente, dell’attività di impresa, in quanto la “produttività” può essere una conseguenza meramente potenziale e, dunque, non ancora attuale, dell’organizzazione dei beni. In altre parole, l'insieme dei beni, oggetto della regolamentazione contrattuale, deve avere l’“attitudine a produrre” e, tale produttività, deve risultare dalla stessa organizzazione impressa, a monte, dal concedente.

Di talché, per la configurabilità di un contratto di affitto d’azienda non è di ostacolo il fatto che l'affittuario si assuma l'onere di incrementare l'attitudine del complesso di beni a conseguire una finalità produttiva, utilizzando nuove attrezzature e/o ristrutturando l'immobile e le sue pertinenze, purché tali attività siano collegate, da un nesso di accessorietà, con il quadro organizzativo preesistente (cfr. Cass. n. 3888/2020 e Cass. n. 5989/2007). Né è sufficiente, ad escludere l'affitto d’azienda, l'eventuale soluzione di continuità con l'attività precedente o la non identità dei servizi offerti, potendo il nuovo titolare modificarli o ampliarli rispetto ai precedenti (cfr. Cass. 3973/2004); altrettanto irrilevante è la circostanza che l’affittuario non subentri nei contratti in corso per l'esercizio dell'azienda, non essendo imperativa la norma sul trasferimento automatico di essi (cfr. art. 2558 c.c. e Cass. n. 11318/2004). Invece, per la configurabilità della locazione di immobile con pertinenze è necessario che la concessione in godimento, per effettiva e comune intenzione dei contraenti, abbia ad oggetto principale un immobile, anche se avente destinazione commerciale, che, pur dotato di accessori, non sia un'entità produttiva.

L'affitto d’azienda non è, dunque, impedito dalla circostanza che l'azienda, al momento della conclusione del contratto, non fosse in grado di funzionare per la necessità di una diversa e più efficiente organizzazione o dell'apporto di altri beni, essendo sufficiente che il complesso finalisticamente organizzato dei beni sia dedotto nel contratto nella sua fase statica.

 

Gli “indici” giurisprudenziali della preesistenza di un’organizzazione

La giurisprudenza ha, altresì, individuato alcuni “indici” della preesistenza di un'organizzazione, ancorché embrionale, in forma di azienda dei beni oggetto del contratto. Segnatamente:

  1. il luogo in cui è ubicato l'immobile e la particolarità del contesto ove si esercita l’attività aziendale (cfr. Cass. n. 8076/2007). La mera circostanza che il locale oggetto del contratto sia inserito all’interno di un centro commerciale non è, tuttavia, da sola, sufficiente a qualificare il contratto come cessione o affitto d’azienda, essendo invece necessario che il cedente-affittante abbia, in precedenza, impresso ai beni, interessati dall'accordo, un’organizzazione con finalità produttiva (cfr. Cass. n. 3888/2020, nella specie, la Suprema Corte ha cassato, con rinvio, la decisione del giudice di appello, per aver quest’ultimo ritenuto sussistente la cessione d’azienda sul presupposto che, da un lato, l'immobile, oggetto del contratto, era situato in un centro commerciale e, dall’altro, che il cedente aveva trasferito in godimento, assieme al locale, alcuni beni, di carattere accessorio, quali un massetto e un registratore, di per sé ritenuti insufficienti a costituire un'azienda);
  2. la destinazione dell’immobile ad una clientela indeterminata o determinata (sotto quest’ultimo profilo, la giurisprudenza ha ritenuto che la preesistenza di un’azienda non è esclusa dalla circostanza che ai beni e ai servizi da essa offerti possa accedere solo una clientela determinata, costituendo, per contro, tale circostanza “causa certa di produttività dell'attività commerciale”, cfr. Cass. n. 3950/1997);
  3. l'avviamento (cfr. Cass. n. 10154/ 2016);
  4. la licenza d’esercizio, la quale, anche se rilasciata a soggetto diverso dall'effettivo esercente, può essere valorizzata dal giudice come “sicuro sintomo” della preesistenza di un'azienda (cfr. Cass. n. 3950/1997).

Criterio distintivo tra locazione di immobile ad uso non abitativo e affitto d'azienda è anche la valenza attribuita all’immobile concesso in godimento:

  1. nella locazione commerciale, l'immobile deve essere specificamente considerato dalle parti, nell'economia del contratto, come l'oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi ad esso accessori e funzionalmente collegati, che rivestono una posizione di subordinazione e coordinazione;
  2. nell'affitto di azienda, per converso, l'immobile non deve essere considerato nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili ed immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicché l'oggetto del contratto è costituito dall'anzidetto complesso unitario[1].

In applicazione di citato criterio distintivo, il contratto, con cui una parte ha concesso in godimento all’altra un locale, sito all’interno di un centro commerciale, è stato qualificato come affitto d’azienda e non locazione commerciale, poiché, secondo il giudice, l'attore ha ottenuto, per espressa previsione contrattuale, non solo il godimento dell'immobile, ma anche la possibilità di esercitare l'attività commerciale a lui affidata in gestione, in  forza dell'autorizzazione di cui era titolare la cooperativa concedente, sicché oggetto del contratto non era l’immobile in quanto tale ma l’insieme del complesso produttivo a cui ineriva l’immobile affittato (cfr. Tribunale di Pisa, sentenza n. 214/2018).

 

Conclusione

Tutto quanto esposto e considerato ha importanti ricadute anche sul versante processuale, in quanto colui che contesta, innanzi all’autorità giudiziaria, la natura giuridica del contratto di affitto d’azienda o del contratto di locazione commerciale, deducendo la simulazione, totale o parziale, ex artt. 1414 e ss c.c., in violazione di norme imperative, è tenuto alla prova, anche tramite l’utilizzo di testimoni e presunzioni, di tutti gli elementi caratterizzanti dell'uno o dell'altro tipo contrattuale, nonché  dell'accordo simulatorio, dovendo disvelare la volontà effettiva dei contraenti.

 

[1] Cfr. Cass. n. 23851/2019; Cass. n. 5984/2007; Cass. n. 20815/2006; Cass. n. 16068/2002 e Cass. n. 9354/2002.

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