16 Aprile 2020

Le due facce dell'impresa digitale nell'emergenza: intervista a Cesare Avenia, Presidente di Confindustria Digitale

GIACOMO GIUDICI

Immagine dell'articolo: <span>Le due facce dell'impresa digitale nell'emergenza: intervista a Cesare Avenia, Presidente di Confindustria Digitale</span>

Abstract

Il tema della digitalizzazione, soprattutto nel mondo dell'impresa, è diventato fondamentale nell'emergenza coronavirus e lo rimarrà sia nella "fase 2" sia oltre. Abbiamo fatto il punto con Cesare Avenia, Presidente di Confindustria Digitale, su quali sono i punti di forza e le criticità del settore.

***

Presidente Avenia, cominciamo dalla digitalizzazione nel mondo dell'impresa così come è emersa nella situazione attuale di emergenza: in cosa abbiamo dimostrato di essere pronti e all'avanguardia? In cosa invece abbiamo dimostrato di avere margini di grande miglioramento?

La risposta a questa domanda esige una premessa e delle cifre per orientarsi. Com’è noto il nostro tessuto produttivo è formato per il 99% da PMI, che generano  il 69% del valore aggiunto impiegando in media il 79% del totale occupati. Questa estrema frammentazione genera una geografia della digitalizzazione a macchia di leopardo, che è fonte di squilibri sul territorio e nell’ambito delle filiere. Accanto ai molti casi di eccellenza, frutto soprattutto della dinamicità delle medie imprese, siamo in presenza di una larga maggioranza di piccole e micro aziende che per lo più hanno grosse difficoltà ad accedere alle competenze necessarie per introdurre nell’organizzazione tecnologie innovative: dal Cloud all’intelligenza artificiale, dall’Internet of Things all’Industria 4.0. A riprova basti pensare che nel 2019 circa il 33% dei lavoratori italiani ha seguito corsi di aggiornamento, contro una media OCSE intorno al 60%; che solo il 10 % delle PMI vendeva online, ben al di sotto della media UE pari al 17 %; e che solo il 35% possedeva un sito web con funzionalità sofisticate legate all’e-commerce, a fronte di una media UE del 58%. Difficoltà che avevamo ben presenti prima dell’emergenza sanitaria, rappresentate da un grave ritardo d’innovazione che ci porta a occupare il 24° posto su 28 paesi nell’ambito del Desi (Digital Economy & Society Index), l’indice elaborato dalla Commissione Europea per monitorare lo stato della digitalizzazione dell’economia e della società nell’Unione Europea.

Così, nel momento in cui il Paese si è dovuto fermare per contrastare l’epidemia, le aziende che avevano già intrapreso percorsi di trasformazione digitale hanno avuto la capacità di reagire tempestivamente ricorrendo a un uso più intenso delle tecnologie e piattaforme online. Sappiamo, per esempio, che praticamente tutte le grandi imprese avevano già introdotto in azienda modalità di  smartworking, con la conseguenza che allo scattare delle misure di distanziamento sociale sono state in grado di far lavorare con efficienza da remoto decine di  migliaia di lavoratori. Per il solo settore dell’Information & Communication Technology in pochi giorni si è arrivati a coinvolgere circa 70.000 addetti. Diversa la realtà delle PMI. Non ci possiamo nascondere che  la grande maggioranza è stata colta impreparata dall’emergenza: solo il 30% delle imprese, infatti, si è trovata nelle condizioni di potersi immediatamente avvantaggiare del lavoro agile. Il fatto positivo è che, per non soccombere, molte imprese  hanno dovuto compiere in pochi giorni quel salto culturale e organizzativo verso l’innovazione che non era stato fatto negli anni precedenti. Ora dobbiamo far sì che gli sforzi, le nuove energie emerse per affrontare questa grave contingenza, si trasformino in nuove capacità progettuali, facendo diventare  la trasformazione digitale  un processo strutturale per ridisegnare in una chiave più efficiente e competitiva i modelli di business, organizzativi e di fare rete. Oggi il Governo ha messo in campo il DL liquidità. Il mio appello alle imprese è di usare queste risorse per fronteggiare l'emergenza, ma di incominciare anche a mettere le basi per la fase 2, perché il dopo non potrà che essere digitale. 

Ha avuto un grande successo l'iniziativa "Solidarietà digitale" del Ministero dell'Innovazione, che è stata salutata con grande favore sia dagli addetti ai lavori che in generale dall'opinione pubblica. In che modo questo esempio può aiutare a promuovere l'agenda di Confindustria digitale?

Si tratta di un’iniziativa molto importante, che ha chiamato le aziende dell’ICT a rispondere con grande senso di responsabilità e con una sensibilità non indifferente. Le nostre imprese sono impegnate 24 ore su 24 per garantire e assicurare al mondo dell’economia, dell’istruzione e della PA  la prosecuzione delle attività, garantendo la tenuta delle reti di Tlc, mettendo a disposizione gratuita connettività, competenze  e piattaforme tecnologiche per lo smartworking,  la didattica a distanza, per  la sanità. Colgo l’occasione per invitare tutti a visitare il sito del Ministero dell’Innovazione proprio per rendersi conto dell’ampiezza delle iniziative nell’ambito di “Solidarietà Digitale”. Confindustria digitale è nata nel 2011 per promuovere e sviluppare l’Agenda Digitale in Italia, la cui finalità è quella di fare dell’innovazione digitale  “efficace leva per la crescita occupazionale, di maggiore produttività e competitività, ma anche di risparmio e coesione sociale” .

In questi anni molti sono stati i percorsi aperti in questa direzione, ma il ritardo digitale in cui il Paese si trova sta a dimostrare che c’è ancora molta strada da percorrere. Diciamo che l’emergenza ha fatto cadere le resistenze sulla trasformazione digitale di quella parte di PA, di imprese e di sistema Paese che ha frenato fino ad oggi la rivoluzione 4.0 italiana. Oggi, purtroppo sotto la spinta di una tragedia, si possono vedere i segnali di cosa porta la trasformazione digitale: i cittadini italiani stanno finalmente scoprendo in concreto i vantaggi dello smartworking o della didattica online. L’emergenza sta spingendo il Paese ad accelerare i processi di digitalizzazione  per colmare il ritardo accumulato. E’ paradossale ma questi sono i segnali di fiducia che ci servono in questo momento non solo per superare l’emergenza, ma soprattutto per guardare a un futuro migliore.

C'è qualcosa di questa congiuntura emergenziale che può essere di lezione, e che andrebbe portato nel post-emergenza?

Sì, la voglia e la capacità di progettare un Paese nuovo, partendo dalla consapevolezza che i modelli organizzativi e normativi tradizionali hanno dimostrato elementi di grande rigidità, incompatibili con la complessità raggiunta dalla nostra società. Già l’allarme sui cambiamenti climatici aveva messo in evidenza che l’impatto di questi modelli è insostenibile per l’ambiente. Ora, purtroppo, abbiamo anche scoperto che i modelli di lavoro e di studio che obbligano tutti in una unica sede sono estremamente vulnerabili, che la frammentazione della Sanità è un elemento di estrema debolezza e che il persistere della visione analogica nelle norme costituisce un freno all’evoluzione della società. Abbiamo bisogno di andare verso sistemi flessibili, interconnessi, capaci di mettere in contatto diverse persone da diversi luoghi con piattaforme di accesso ai dati non legate a una specifica sede. Per questo è strategico portare a compimento in tempi rapidi i grandi progetti di piattaforme nazionali di interconnessione, come l’ANPR, lo SPID, PagoPA, il fascicolo sanitario elettronico pienamente operativo su tutto il territorio nazionale, per poi concentrare gli sforzi sulla migrazione dei servizi della PA verso il Cloud e l’App IO, nonché sulle infrastrutture e sulla formazione digitale. Come l’emergenza da Covid-19 ci ha obbligati a verificare, lo si può fare in fretta.

Infine, c'è qualche messaggio che vuole dare specificatamente al nostro network composto principalmente da giuristi d'impresa e avvocati di studi professionali? Qualcosa sia per il presente che per il futuro?

Oggi l’emergenza sanitaria ci costringe a toccare con mano ciò che era evidente anche prima: le società odierne, complesse, articolate e sovraffollate, non possono fare a meno delle infrastrutture e dei servizi messi a disposizione dalle tecnologie digitali che, però, per dispiegare il loro potenziale, hanno bisogno di regole, normative e procedure snelle, semplici, chiare. È ciò che sta accadendo in questo momento: l’urgenza sta imponendo di superare eccessi burocratici stratificati, districando il labirinto delle norme e procedure che imbrigliano il digitale nell’organizzazione analogica.  Ma la transizione va gestita considerando che il progresso umano e l’evoluzione tecnologica devono essere inscindibilmente connessi. Non è un risultato scontato, bisogna perseguirlo con le giuste strategie, che devono tener conto della dimensione globale, planetaria, della rivoluzione digitale.

La riflessione sui temi etici, dei diritti, della privacy, del welfare, della sostenibilità è in un certo senso il cuore di questa rivoluzione. In questo contesto il contributo che i professionisti del diritto sono chiamati a offrire è cruciale. Pensiamo, per esempio, al GDPR (General Data Protection Regulation), regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali, già diventata una best practice a livello mondiale  e che trova sempre più applicazioni da parte  di paesi extra UE e di imprese multinazionali. Dietro l’emanazione della nuova norma vi è una potente evoluzione della cultura e delle competenze giuridiche, avvenuta grazie a un enorme lavoro di collaborazione internazionale e interdisciplinare. Lo stesso vale per la Direttiva sul Copyright e, tanto più, per temi complessi e tutti da esplorare, come l’uso dei Big Data e dell’Intelligenza Artificiale. Accompagnare l’innovazione con regole in grado di interpretare i cambiamenti, che non ostacolino l’innovazione, ma l’incanalino sui binari dell’etica e del rispetto dei diritti fondamentali, è un compito primario a cui i giuristi, a tutti i livelli professionali, non possono mancare.

Altri Talks