31 Dicembre 2019

Il Giovane Holden

LUCIO BONGIOVANNI

Immagine dell'articolo: <span>Il Giovane Holden</span>

Abstract

Qual è il rapporto tra l’essere umano e la società? Dalla risposta che daremo a questa domanda, dipenderà il concetto che avremo della Giustizia.

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Prima o poi giunge il momento delle domande fondamentali, quelle a cui non ci si può sottrarre. Cruciali e irrisolvibili al tempo stesso. Ecco, in materia di Giustizia domande di questo tipo si presentano spesso e vengono sollecitate da personaggi controversi della letteratura. Uno di questi è il Giovane Holden, l’adolescente protagonista dell’omonimo fortunatissimo romanzo di Salinger, uno di quei racconti che vengono contrassegnati con la dicitura ieratica di “romanzo di formazione”, per dire che descrive la crescita del protagonista verso la sua maturazione.

Ricorderete che Holden trascorre una nottata impalpabile e sconclusionata, dopo essere stato espulso dalla scuola e aver abbandonato il gruppo dei suoi compagni. Cerca di ricontattare vecchi conoscenti, ma invano. Va a trovare qualche professore di cui nutre una certa stima, ma ne rimane deluso. Torna a casa, ma non ha il coraggio di presentarsi ai suoi genitori. Fin quando decide di abbandonare la città e non si capisce se lo farà o meno.

Ecco, la domanda che necessariamente si presenta alla fine della lettura del romanzo è più o meno la seguente: Holden è il prototipo dell’adolescente intelligente e autonomo, proprio per questo insofferente alle regole e quindi inidoneo a restare imbrigliato in qualunque agglomerato sociale, sia esso la scuola, la famiglia o anche solo la comitiva dei suoi compagni? Oppure Holden è solo un ragazzino disadattato? Detto in altro modo: è un modello da seguire o è un povero sfigato?

Attenzione, questo genere di domande ha molto a che fare con la materia della Giustizia, perché la Giustizia presiede ai rapporti tra gli esseri umani e ne regola le dinamiche; quindi, ogni volta che il singolo si muove nell’ambito di un gruppo sociale - qualunque esso sia - si pongono necessariamente questioni di Giustizia. E Holden ha il merito di inchiodarci a una domanda che oggi è attualissima. Come dobbiamo giudicare chi è talmente insofferente a ogni regola da risultargli indigesto qualsiasi contesto sociale?

Credo che, per cercare di capire come si ponga il Giovane Holden di fronte alla Giustizia, bisogna fare un passo indietro e domandarsi qual è il rapporto tra l’essere umano e la società. Bisogna chiedersi, cioè, se la società risponda a un’inclinazione naturale dell’uomo (come pensavano Aristotele, Cicerone e San Tommaso), oppure sia una creazione artificiale, una semplice convenzione, il risultato di un contratto sociale finalizzato a evitare che gli uomini si ammazzino a vicenda (come tanti filosofi hanno sostenuto negli ultimi secoli).

Dalla risposta che daremo a questa domanda, dipenderà il concetto che avremo della Giustizia.

Infatti, se si pensa che la società non sia una dimensione connaturale all’uomo, neppure la Giustizia lo sarà, perché - esprimendosi in norme poste a tutela della società - sarà anch’essa frutto di una creazione artificiale e verrà percepita come una pressione insostenibile sull’essere umano, che vedrà nei suoi simili soltanto degli avversari. Ogni legame tra gli uomini si spezzerà e rimarrà solo antagonismo.

Se, al contrario, si ritiene che l’inclinazione alla vita in società sia connaturata all’essere umano - perché solo nella società è possibile sviluppare i rapporti di amicizia che realizzano l’esistenza - allora la Giustizia verrà percepita in maniera non opprimente.

Vivere serenamente - o meno - il proprio rapporto con la Giustizia dipende principalmente da come si considera la società, se cioè la si considera una realtà connaturale all’uomo, oppure un’artificiosa costruzione di carattere convenzionale che limita la natura individuale dell’uomo.

E allora il giudizio che daremo alla figura del Giovane Holden dipende solo da noi, da come cioè avremo affrontato e risolto la questione preliminare che riguarda l’idea di società (e di Giustizia) che noi stessi abbiamo maturato, se cioè siamo d’accordo con Sartre, quando dice che “l’inferno sono gli altri”, oppure concordiamo con Aristotele nel definire l’uomo “animale sociale, più delle api”. Cicerone - uno che di Giustizia se ne intendeva - affermava che “la stessa natura, per mezzo della ragione, lega l’uomo all’uomo … gli ispira soprattutto l’amore per quelli che sono nati da lui, lo spinge a fare riunioni, assemblee di uomini, a frequentarle”.

Ecco, forse la fortuna letteraria che il romanzo di Salinger ha ottenuto si deve proprio a questa sua impalpabilità, a questa gassosità che trasuda da ogni pagina, quasi a volerci provocare, a volerci suggerire che siamo noi stessi chiamati a dare consistenza a quella storia, a dovere cioè affrontare e risolvere un dilemma che si rivela centrale per la nostra vita, perché tutti i rapporti nei quali spendiamo la nostra esistenza dipendono dal concetto di società che noi stessi abbiamo maturato. Potremo scegliere di essere luminosi o oscuri, fonte di gioia o di sofferenza.

 

 

 

 

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