20 Luglio 2020

Licenziamento illegittimo: non solo l’anzianità di servizio per determinare l’indennità risarcitoria

ROBERTO LAMA

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Abstract

La Corte Costituzionale con la recente pronuncia n. 150/2020 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del meccanismo di quantificazione dell’indennità risarcitoria previsto dall’art. 4 del D. Lgs. n. 23/2015 che, come noto, disciplina le ipotesi di licenziamenti intimati in violazione dell’obbligo di motivazione o in violazione delle regole sul procedimento disciplinare di cui all’art. 7 L. n. 300/1970.

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La violazione del principio di uguaglianza e quella del principio di ragionevolezza intesa come adeguatezza dei rimedi

Ponendosi in dichiarata linea di continuità con la pronuncia n. 194/2018, la Corte Costituzionale ha rilevato l’illegittimità costituzionale del meccanismo congegnato dall’art. 4 del D. Lgs. n. 23/2015, il quale, come noto, commisura al solo criterio dell’anzianità di servizio l’ammontare dell’indennità risarcitoria spettante al lavoratore illegittimamente licenziato. Tale previsione di legge realizza “un’indebita omologazione di situazioni che, nell'esperienza concreta, sono profondamente diverse” ed entra così “in conflitto col principio di uguaglianza”. Per di più, ha osservato la Consulta, nei casi di licenziamenti che interessano lavoratori con un’anzianità ridotta, il rimedio apprestato dal Legislatore non si traduce in una sanzione efficace, idonea a dissuadere il datore di lavoro dalla violazione delle norme di legge che, nel procedimentalizzare il potere datoriale di recesso, sono poste a tutela di principi giuridici fondamentali.

 

L’importanza delle regole che sanciscono l’obbligo di motivazione dei licenziamenti e che scandiscono la procedura disciplinare

Ripercorsa la recente evoluzione normativa delle disposizioni in materia di sanzioni per i casi di licenziamento illegittimo, la Corte Costituzionale ha innanzi tutto rimarcato la significatività dell’obbligo datoriale di motivare in maniera sufficientemente circostanziata le ragioni poste a fondamento dell’atto espulsivo. L’obbligo di motivazione del licenziamento di cui all’art. 2 L. n. 604/1966, ha rammentato la Consulta, è una diretta derivazione del principio della immutabilità delle ragioni del licenziamento, il quale principio è a sua volta un corollario del fondamentale principio di buona fede e correttezza.
Tale ultimo principio impone alle parti di un qualsiasi rapporto contrattuale di adottare comportamenti univoci e trasparenti nell’esecuzione del contratto, e, nell’ambito del rapporto di lavoro e tra i vari contenuti obbligatori in cui esso può declinarsi, non consente al datore di lavoro di modificare le ragioni poste a base del recesso in base a valutazioni di convenienza mutevoli e sopravvenute.
Analogamente, viene esplicitamente riconosciuta la rilevanza costituzionale delle regole di cui all’art. 7 della L. n. 300/1970 che disciplinano e procedimentalizzano l’esercizio del potere disciplinare: tali garanzie sono poste a tutela del fondamentale valore della dignità del lavoratore, consentendo peraltro “un esercizio più efficace del diritto di difesa nel corso della fase giudiziale che il lavoratore più scegliere di instaurare successivamente”. La possibilità per il lavoratore di conoscere le regole di condotta la cui violazione potrebbe comportare l’irrogazione nei suoi confronti di sanzioni disciplinari, la necessità che l’irrogazione di sanzioni disciplinari sia preceduta da una contestazione specifica e tempestiva, la facoltà del lavoratore di formulare proprie giustificazioni prima che il datore di lavoro decida o meno circa l’esercizio del potere disciplinare, “non sono vuote prescrizioni formali”, ha osservato la Corte, ma sono “riconducibili al principio di tutela del lavoro, enunciato dagli artt. 4 e 35 Cost., che impone al legislatore di circondare di doverose garanzie e di opportuni temperamenti il recesso del datore di lavoro”.

 

La rilevata illegittimità costituzionale dell’art. 4 D. Lgs. n. 24/2015

Poste queste premesse valoriali e affermato l’importante principio che consente di escludere – in linea astratta e generale – l’illegittimità costituzionale di disposizioni di legge che sanzionino l’illegittimità del licenziamento con la sola tutela indennitaria, dato che, “anche in considerazione delle diverse fasi storiche”, il Legislatore può “modulare la tutela del lavoratore in chiave eminentemente monetaria, attraverso la predeterminazione dell’importo spettante al lavoratore”, con la pronuncia n. 150/2020 la Corte Costituzionale passa ad esaminare l’aderenza ai richiamati valori costituzionali della disciplina di cui all’art. 4 D. Lgs. n 23/2015. Viene quindi affermato che la commisurazione dell’indennità risarcitoria spettante al lavoratore illegittimamente licenziato alla sola anzianità di servizio del medesimo si traduce in un meccanismo ‘rigido e uniforme’ che, in quanto tale, non è in grado di tenere nella dovuta considerazione le multiformi, possibili specificità del caso concreto. Tale criterio, infatti, finisce per realizzare un’ingiusta omologazione tra vicende di fatto che, invece, al di là dell’anzianità di servizio dei lavoratori interessati dal recesso datoriale, presentano significative ed apprezzabili differenze. La norma oggetto di esame realizza quindi una violazione il principio di uguaglianza, in base al quale, come noto, situazioni diverse devono essere regolamentate in maniera difforme, mentre situazioni uguali devono essere regolamentate in maniera uniforme. Per altro verso, esaminata la disposizione di cui all’art. 4 D. Lgs. n. 23/2015 sotto l’angolo visuale della ragionevolezza – “che questa Corte, nell’ambito della disciplina dei licenziamenti, ha declinato come necessaria adeguatezza dei rimedi, nel contesto di un equilibrato componimento dei diversi interessi in gioco e della specialità dell’apparato di tutele previsto dal diritto del lavoro” – essa finisce per trascurare il fatto che l’indennità risarcitoria del licenziamento illegittimo, oltre a ristorare il lavoratore dell’illecito contrattuale posto in essere dalla controparte, deve poter esplicare un’adeguata efficacia sanzionatoria, che, in quanto tale, sia effettivamente in grado di dissuadere il datore di lavoro dall'intimare licenziamenti in violazione di quelle regole – di cui si è detto – poste a presidio e garanzia di fondamentali valori della dignità del lavoratore.

 

L’intervento di tipo sostitutivo

E’ dunque necessario, ha affermato la Corte, che il rimedio apprestato dal Legislatore contro il licenziamento illegittimo sia in grado di rispecchiare le specificità del caso concreto, dovendo peraltro esprimere un’effettiva efficacia deterrente contro licenziamenti che realizzino violazioni di fondamentali principi di civiltà giuridica. Da qui la decisione della Consulta “manipolativa di tipo sostitutivo”, qual è appunto la pronuncia n.150/2020 qui brevemente commentata, con cui è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 4 D. Lgs. n. 23/2015 nella parte in cui eleva l’anzianità di servizio del prestatore di lavoro illegittimamente licenziato ad unico criterio per la determinazione dell’indennità risarcitoria al medesimo spettante. Tale criterio, invece, dovrà fungere da “base di partenza della valutazione”, destinata ad essere compiuta dal giudice avvalendosi di “altri criteri desumibili dal sistema, che concorrano a rendere la determinazione dell’indennità aderente alla particolarità del caso concreto”, quali quelli inerenti la gravità della violazione ascrivibile al datore di lavoro, le dimensioni dell’impresa, il comportamento e le condizioni economiche delle parti del rapporto di lavoro.

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