20 Febbraio 2022

Il metaverso e la “corsa” alla copertura merceologica dei marchi nel digitale

MATTEO DI LERNIA

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Abstract

Di “Metaverso” si parla oramai in continuazione, quantomeno lo si fa da quando Mark Zuckerberg ha annunciato di avervi “fatto rotta”, modificando in “Meta” il nome della holding di Facebook, Instagram e WhatsApp.

L’“esempio” di Meta è stato poi seguito da altre big tech, come Microsoft, che ha dichiarato voler integrare il Metaverso nella sua piattaforma Teams, tramite un’integrazione chiamata “Mesh”.

In realtà, di “Metaverso” si parla da molto tempo. Il termine è coniato dal romanzo di inizi anni ’90 dello scrittore statunitense Neil Stephenson “Snow Crash”, che per primo fece riferimento ad uno spazio di realtà virtuale in cui persone fisiche siano in grado di interagire tramite propri avatar.

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Oggi il concetto di Metaverso si sta velocemente trasformando in una nuova opportunità di business per le società, che corrono a digitalizzare i propri beni e servizi per farsi spazio in questo nuovo mercato virtuale.[1]

Le opportunità di mercato del Metaverso, tuttavia, generano anche preoccupazioni, con riferimento, in particolare, alla tutela dei diritti di proprietà intellettuale, che seguono la digitalizzazione dei prodotti/servizi verso cui concedono diritti di esclusiva. Questa preoccupazione si è rivolta, innanzitutto, ai marchi registrati, i cui titolari si sono chiesti se le registrazioni (pensate con riferimento alla realtà “fisica”) fossero valide ed efficaci anche nel contesto virtuale.

 

La tutela dei marchi: copertura merceologica e territoriale

La caratteristica fondamentale del diritto di marchio consiste nell’attribuire al suo titolare un diritto di esclusiva sul segno; esclusiva che (i) riguarda soltanto i prodotti o servizi indicati nella registrazione, nonché quelli ad essi affini (salvo il caso di marchio che goda di rinomanza, a cui è concessa una tutela “extra-merceologica”)[2], e (ii) è relativa al territorio dello Stato che ha concesso la registrazione.

Tutti i casi in cui terzi facciano uso di segni all’interno del perimetro dell’esclusiva senza il consenso del titolare (e senza che ricorrano le ipotesi di usi leciti espressamente previste dall’ordinamento[3]) interferiscono con i suoi diritti sul marchio e danno vita a ipotesi di contraffazione (o violazione) del marchio medesimo.

 

La digitalizzazione dei beni/servizi: i primi casi

Con la digitalizzazione dei beni/servizi nel Metaverso, è sorta la questione se gli stessi si “trasformassero” in entità distinte e diverse dal loro corrispondente “fisico”, oppure mantenessero la loro natura (rimanendo parte della medesima categoria merceologica).

Le società che per prime hanno deciso di investire nel Metaverso, si sono quindi chieste se per mantenere i diritti di esclusiva sui propri marchi, e estendere la tutela al nuovo “territorio” virtuale, fosse necessario procedere con il deposito di nuove domande di marchio che prevedessero una copertura merceologica specificamente indirizzata ai prodotti/servizi “digitalizzati”.

Per prima si è mossa Nike, che lo scorso 23 ottobre ha depositato presso l’Ufficio Marchi e Brevetti statunitense nuove domande di marchio per i suoi “swoosh” e “Jumpman”, rivendicando espressamente prodotti in versione digitale da vendere nel contesto della realtà virtuale. E ciò pur essendo titolare di tali marchi con riferimento alle versioni “fisiche” di questi prodotti. Questa strategia è stata poi implementata in Canada, Singapore, Svizzera e Messico.

Sulla scia di Nike, altri colossi del mondo della moda hanno incominciato a muoversi in direzione del Metaverso (sempre negli Stati Uniti). È il caso di Balenciaga e Gucci, che hanno depositato domande di marchio che rivendicano “software” e “virtual and augmented reality handsets”, così da impiegare i propri marchi nel contesto della nuova tecnologia di realtà virtuale. Anche Yves Saint Laurent ha depositato una domanda di marchio rivolta alla vendita di abbigliamento e accessori “smart” (lasciando quindi intendere un interesse verso la realtà digitale).

La “digitalizzazione” dei prodotti e servizi non rileva, poi, con riferimento al solo Metaverso. Nel “mondo” degli NFT[4] sono infatti già sorte le prime controversie. È ormai nota la vicenda che ha visto Hermès contestare la commercializzazione di una collezione di “Meta-Birkin” (ovvero la versione NFT della sua celebre borsa contraddistinta dal marchio “Birkin”) all’artista Mason Rothschild. In questo caso, ci si era appunto chiesti se la tutela conferita dal marchio “Birkin” fosse sufficiente per identificare un’esclusiva anche verso la versione digitale della nota borsa di Hèrmes[5].

 

Conclusioni: ancora tutela nel Metaverso (?)

Se da un lato è lecito ritenere che la digitalizzazione di un prodotto/servizio non impedisca di ritenerli comunque appartenenti alla medesima categoria merceologica di riferimento del corrispondente bene/servizio “fisico” (o, comunque, di riconoscere – quantomeno – un’affinità), dall’altro lato è altrettanto lecito chiedersi se un mancato tempestivo intervento possa generare criticità applicative nella tutela dei marchi nel nuovo contesto del Metaverso.

Sotto il profilo territoriale, salvo sviluppi, potrà farsi applicazione delle regole e dei principi definiti con riferimento alla contraffazione online.

Sarà interessante monitorare l’atteggiamento delle aziende nel breve periodo, e verificare quali saranno le prime risposte della giurisprudenza

 

[1] Stando alle previsioni di Bloomberg, il Metaverso dovrebbe essere in grado di generare un giro d’affari pari a 800 miliardi di dollari al 2025 (https://www.bloomberg.com/professional/blog/metaverse-may-be-800-billio…).

[2] Le tre fattispecie che rendono illecito l’uso del marchio altrui da parte di un terzo sono disciplinate, a livello italiano, dall’art. 20 c.p.i., e, a livello europeo, dall’art. 9 Reg. 2017/1001 UE.

[3] A livello italiano, le ipotesi di uso lecito di un marchio altrui sono disciplinate dall’art. 21 c.p.i., mentre, a livello europeo, la norma di riferimento è l’art. 14 Reg. 2017/1001 UE.

[4] Gli NFT (acronimo di non-fungible token) sono dei certificati che attestano l'autenticità, l'unicità e la proprietà di un oggetto digitale. I token non fungibili vengono registrati in una blockchain e non possono essere scambiati tra loro né copiati.

[5] https://www.thefashionlaw.com/metabirkins-creator-says-he-received-a-ce…

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