24 Aprile 2018

Un nuovo concept di "compliance"? Ai consulenti oneri e onori

ELENA DE FRANCESCHI

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Abstract

Se siamo qui e oggi a parlare dell’importanza del modello organizzativo e gestionale (MOG), a distanza di quasi vent’anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 231/2001, è perché, inutile negarlo, ce n’è ancora bisogno.

* * *

Adottare un modello organizzativo significa anzitutto normare le proprie procedure interne, con la diffusa sensazione che questo voglia dire anche “ingessarle”.

«Quando non vi è una sufficiente formazione e sensibilità dei vertici aziendali sulla normativa» la percezione generale è quella -spiega Gallo, di Fiordellisi Gallo- di «una pastoia in cui rischia di incagliarsi il ciclo produttivo aziendale». Lo stesso avvocato esterno, quando entra nell’Organismo di Vigilanza dell’impresa, «si trova di fronte un muro di diffidenza e i referenti aziendali, pur avendo funzioni, ruoli ed età diverse, lo percepiscono come un controllore, un estraneo, forse addirittura un “delatore”», osserva.

La cosmetic compliance. E i suoi rischi

Se questo è, in molti casi, il feeling dell’impresa con il sistema della compliance 231, naturale è che molti cerchino di dotarsi di un modello organizzativo “tanto per”, e di dedicare le minime energie possibili alla materia.

È così che si arriva alla c.d. “cosmetic compliance” -chiosa Puccio, di Puccio Giovannini Penalisti Associati- che certo non potrà «garantire i canoni (minimi) di legalità né tantomeno esimere da responsabilità amministrativa l’ente in sede giudiziale».

E difatti, non è facile rinvenire pronunce che abbiano riconosciuto la valenza esimente del modello organizzativo a vantaggio dell’impresa. Numerose, al contrario, «sono le sentenze che hanno dichiarato l’inidoneità di quei modelli aziendali non attuati o –per la maggiore- carenti sotto il profilo dell’individuazione e gestione del rischio», precisa Grassi, di LCG -Lecis Cannella Grassi.

Eppure in molti aprono gli occhi soltanto di fronte a un giudice. «Per quanto possa essere comprensibilmente vissuto con preoccupazione e disagio, il coinvolgimento in un contenzioso dinnanzi all’autorità giudiziaria fa emergere con immediatezza l’importanza del lungo lavoro posto alla base dell’implementazione di un compliance program, delle verifiche periodiche e dell’attività di aggiornamento», rileva Levrino, di KPMG.

Verso il valore. La ISO 37001 e le informazioni “non finanziarie”

Gli operatori attivi nel settore della consulenza e dell’assistenza in materia di 231 sottolineano tuttavia come il modello organizzativo debba essere visto non come un “freddo” onere ma come un vero e proprio asset per l’azienda.

C’è chi sottolinea la valenza organizzativa di ordine generale del modello e delle attività necessarie a implementarlo e manutenerlo. Attività che -spiega Trabucchi, di SZA Studio Legale, offrono all’azienda l’opportunità di «riorganizzarsi al meglio anche sotto il profilo della revisione e/o formalizzazione dei processi aziendali, che spesso beneficiano in termini di chiarezza ed efficienza».

Altri sottolineano il valore del modello «anche sotto profili diversi da quello strettamente giuridico, come quello reputazionale e quello economico, dato che una politica aziendale trasparente ed incentrata sul rispetto delle regole diventa un asset spendibile anche di fronte al mercato, ai concorrenti e alla clientela» (così Lucev, di Cagnola & Associati).

Al riguardo, pensiamo per esempio all’attenzione oggi ricevuta, su più fronti, dal tema della lotta alla corruzione, evidentemente centrale nell’ottica del modello organizzativo.

La recente ISO 37001, relativa ai sistemi di gestione per la prevenzione del fenomeno corruttivo, è oggi sempre più ambita dai maggiori operatori: presto, sostengono gli addetti ai lavori, diventerà standard come la ISO 9001. Prevenire e combattere la corruzione diventerà un must, certificare questo sforzo una logica conseguenza.

Ma c’è di più.

È lo stesso legislatore a imporre alle maggiori società, con il D.Lgs. 254/2016 sulle “informazioni non finanziarie”, di indicare nella propria relazione sulla gestione gli «strumenti» di lotta contro la corruzione, sia attiva sia passiva, adottati con riferimento alle aree di rischio dell’attività imprenditoriale.

È interesse degli investitori e degli stakeholders -sembra dire il legislatore- conoscere il DNA dell’impresa sotto profili ulteriori rispetto alle performance finanziarie, perché questo può / deve essere tenuto in considerazione da chi vanta interessi connessi a quelli dell’impresa. A parità di performance finanziarie, l’attenzione per la legalità e, in specie, alla prevenzione della corruzione, farà sempre più la differenza.

In questa prospettiva, «un modello organizzativo efficiente e, soprattutto, un organismo di vigilanza diligente sono un solido supporto per l’impresa determinandone un fattore di credibilità sociale», afferma Rubino, di Morri Rossetti. Per non dire, come suggerisce ancora Grassi, che il modello dovrebbe essere «un tutt’uno con l’organizzazione aziendale».

Non sfugge quindi come i già citati “compliance program”, di cui il modello organizzativo è asse portante, abbiano oggi un significato ben più ampio di quello originario.

Trascurare «gli acquisti, gli appalti, le consulenze, ove la mancanza di sistemi di gestione codificati può ingenerare» -spiega ancora Rubino- «terreno fertile per attività criminose», significa prestare il fianco a rischi reputazionali talvolta ben più pericolosi di quelli giuridici. Ma non solo, trascurare la necessità di una «corretta gestione delle tematiche di salute e di sicurezza sui luoghi di lavoro ed ambientali» comporta «rischi estremamente rilevanti quando non, addirittura, inaccettabili», chiosa Grassi.

Cambio di rotta? Gli esperti possono fare la loro parte

Forse un cambio di rotta potrebbe basarsi sulla presa di conoscenza da parte del top management dell’equazione compliance = valore.

Chi lavora con il settore pubblico ormai lo sa bene, posto che, come rileva Pitruzzella, titolare dell’omonimo Studio Legale, «sempre più il management aziendale percepisce la rilevanza attribuita dalle P.A. alle aziende dotate del Modello 231». L’assenza di un modello o -più in generale- una scarsa attenzione per la compliance è già oggi un minus nella competizione imprenditoriale rivolta all’ottenimento di utilità pubbliche.

Nel privato comincia a essere la stessa cosa, ma una spinta decisiva può derivare proprio dal modo di proporsi degli esperti della compliance aziendale. A loro sta far percepire ai clienti, comprensibilmente affaccendati nel business di tutti i giorni, quanto un adeguato supporto consulenziale possa non soltanto far dormire sonni (più) tranquilli ma, soprattutto, creare vantaggi competitivi rapidamente monetizzabili.

Se riusciremo nell’impresa, un nuovo concept di compliance potrà certamente affermarsi. Non per obbligo ma per scelta.

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