24 Luglio 2019

Il passaggio generazionale dell’impresa e l’imposta sulle successioni e donazioni

ANTONIO FIORENTINO MARTINO

Immagine dell'articolo: <span>Il passaggio generazionale dell’impresa e l’imposta sulle successioni e donazioni</span>

Abstract

Quello del passaggio generazionale è sempre un momento delicato nella vita dell’impresa: gli strumenti giuridici a disposizione dell’imprenditore sono diversi, e la scelta dipende da molteplici fattori. Un aspetto di indubbia rilevanza concerne il carico fiscale corrispondente: ci soffermeremo molto in sintesi sull’imposta sulle successioni e donazioni gravante su aziende, quote o azioni di società che vengano trasmesse per eredità o mediante un atto di liberalità, ovvero attraverso un patto di famiglia o infine con la istituzione di un trust.

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La successione e la donazione di aziende, quote o azioni

La disciplina dell’imposta sulle successioni e donazioni prevede che il trasferimento di aziende, di quote o di azioni effettuato a favore dei discendenti e del coniuge non venga tassato, entro determinati limiti:

  1. nel caso di società soggette ad Ires, le quote o azioni scontano questo beneficio a condizione che oggetto di trasferimento sia una partecipazione mediante la quale è acquisito o integrato il controllo;
  2. in ogni caso, per godere del beneficio è necessario che gli aventi causa continuino l’attività di impresa (o ne mantengano il controllo) per almeno cinque anni dalla data del trasferimento.

E’ evidente, quindi, la ratio sottesa al trattamento di favore: escludere da imposizione non già qualsiasi trasferimento mortis causa o qualsiasi atto di liberalità a favore del coniuge o dei discendenti, ma solo quelli realmente funzionali alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale.

In tutti gli altri casi, i trasferimenti sconteranno l’imposta con le regole ordinarie, sempre con le aliquote e nel rispetto delle franchigie previste dalla legge. In ogni caso, l’avviamento resta comunque escluso dalla determinazione della base imponibile.

 

L’applicazione dell’imposta sui patti di famiglia

Identiche regole, ai fini dell’imposta in esame, valgono anche nell’ipotesi in cui il passaggio dell’azienda, delle quote o delle azioni avvengano attraverso un patto di famiglia.

Si tratta di uno strumento previsto dal codice civile a vantaggio dell’imprenditore che voglia trasferire l’azienda, le quote o le azioni (in tutto o in parte) nei riguardi di uno o più discendenti (dunque, non anche del coniuge); con il patto di famiglia si attua una sorta di “anticipazione della successione”, attraverso la conclusione di un contratto mediante il quale si attua il passaggio generazionale. Il ricorso al patto di famiglia consente all’imprenditore di evitare le problematiche di lesione della quota di legittima: è infatti previsto che al contratto (da redigersi per atto pubblico a pena di nullità) debbano partecipare anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se in quel momento di aprisse la successione.

Quelli, tra questi soggetti, che non risultino assegnatari dell’azienda, delle quote o delle azioni hanno diritto a essere liquidati con il pagamento di un importo pari al valore della rispettiva quota di legittima, e possono anche rinunciarvi.

In tal modo, il trasferimento dell’impresa acquisisce stabilità nel tempo, poiché alla morte dell’imprenditore non sarà soggetto né a collazione, né a riduzione.

Come si diceva, ricorrendo i presupposti indicati al paragrafo precedente (integrazione del controllo e prosecuzione dell’attività per cinque anni), al patto di famiglia non verrà applicata l’imposta sulle successioni e donazioni. In tutti gli altri casi, varranno le regole ordinarie.

 

Trust, passaggio generazionale e imposta sulle donazioni

L’imprenditore potrebbe anche avere interesse a evitare (anche solo temporaneamente) il trasferimento dell’impresa agli eredi al momento della propria morte; pensiamo, ad esempio, a ipotesi di discendenti in età molto giovane o con attitudini differenti rispetto alla prosecuzione dell’attività; oppure al caso in cui l’imprenditore preferisca mantenere l’unità dell’impresa, anziché suddividerla più successori; o escludere che questi, una volta divenuti titolari, cedano la propria quota a terzi estranei alla famiglia. Ma gli esempi potrebbero proseguire.

Una risposta a queste esigenze potrebbe essere la istituzione di un trust, al quale trasferire l’azienda o le partecipazioni. Senza in questa sede soffermarci sugli elementi e sulle caratteristiche di tale strumento, basti ricordare che si tratta di un istituto molto flessibile e oggi – dopo un periodo di diffidenza iniziale – guardato con estremo interesse dagli operatori. Con esso, l’imprenditore/disponente si “spoglia” della titolarità della propria attività, assegnandola a un trustee che avrà il compito di amministrarla secondo le istruzioni contenute nell’atto istitutivo, e se del caso, nei tempi e alle condizioni ivi descritte, di assegnarla infine a determinati beneficiari.

Limitando l’analisi fiscale alla imposta sulle donazioni, è da tempo dibattuto se il tributo debba trovare applicazione:

  1. al momento del conferimento di un bene nel trust; ovvero
  2. al successivo momento in cui il bene è devoluto ai beneficiari.

Sia l’Agenzia delle Entrate già dal 2007, sia la Corte di Cassazione in talune sentenze successive, si sono espresse a favore della prima soluzione.

Peraltro, ove oggetto di conferimento nel trust siano aziende o partecipazioni, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito con la risoluzione n. 110/E del 2009 che non si applica l’imposta di donazione neppure al momento iniziale ove:

  1. il trust abbia una durata non inferiore a cinque anni a decorrere dalla stipula dell’atto;
  2. i beneficiari finali siano necessariamente discendenti e/o coniuge del disponente;
  3. il trust non sia discrezionale o revocabile;
  4. il trustee prosegua l’esercizio dell’attività d’impresa o detenga il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento.

Tuttavia, negli ultimi due anni in giurisprudenza sembra prevalere la tesi della tassazione “differita” al momento dell’assegnazione dei beni ai beneficiari, come chiaramente affermato dalla Cassazione ancora nella recentissima sentenza n. 16703 del 21 giugno 2019. Ci si potrebbe chiedere, quindi, se e come operi in tal caso l’esclusione dall’imposta. Sull’argomento sarà dunque necessario monitorare l’evoluzione della giurisprudenza, confidando in un intervento delle Sezioni Unite, o della stessa Amministrazione finanziaria, volto a dirimere ogni dubbio.

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