19 Ottobre 2020

I poteri istruttori del giudice nel rito del lavoro e la c.d. tutela differenziata

ROSSELLA CIAVARELLA

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Abstract

L’ampiezza dei poteri istruttori conferiti al giudice del lavoro pone numerose questioni in relazione sia alle finalità cui tali poteri devono ricondursi,  sia alle condizioni e i limiti per il loro esercizio, in quanto il legislatore non ha fornito alcuna indicazione a riguardo. In tale contesto, pertanto, è risultato necessario l’intervento interpretativo della giurisprudenza.

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La fase istruttoria nel processo del lavoro si contraddistingue, rispetto a quella del processo civile, per l’ampiezza dei poteri attribuiti al giudice, tale da porre molteplici problematiche in ordine al contemperamento con le rigidissime limitazioni temporali previste dal codice di rito per le iniziative probatorie delle parti.

Partendo da una breve disamina dell’art. 421 c.p.c., si possono così sintetizzare i poteri conferiti al giudice del lavoro:

-  può indicare alle parti, in qualsiasi momento, le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate e assegna, di conseguenza, un termine per provvedervi;

- può disporre in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche al di fuori dei limiti codicistici, eccezione fatta per il giuramento decisorio, il quale può essere deferito su iniziativa delle parti, e dell’accesso sul luogo del lavoro, che costituisce una peculiare tipologia di ispezione e, anche in tal caso, può essere disposto su istanza di parte;

- può disporre, ove lo ritenga necessario, la comparizione personale delle persone di cui, ai sensi degli artt. 246 e 247 c.p.c., non può essere disposto l’interrogatorio libero sui fatti di causa, in quanto non potrebbero essere assunte quali testimoni.

L’ampiezza dei poteri conferiti al giudice del lavoro pone numerose questioni in relazione sia alle finalità cui tali poteri devono ricondursi, sia alle condizioni e i limiti per il loro esercizio, in quanto il legislatore non ha fornito alcuna indicazione a riguardo.

Ebbene, a tali lacune ha dovuto sopperire la giurisprudenza che, nel corso del tempo, si  è occupata di mettere a sistema l’art. 421 c.p.c. con le restanti norme codicistiche che regolano la fase istruttoria nel rito del lavoro.

In primo luogo, la giurisprudenza ha chiarito che l’utilizzo dei poteri del Giudice ex art. 421 cpc, deve contemperarsi con il principio di imparzialità: pertanto, tale potere non può tradursi in una pura e semplice rimessione in termini del convenuto, ed in una sanatoria della decadenza radicale in cui è incorso il convenuto medesimo, in totale assenza di elementi quantomeno indiziari, che consentano al Giudice un’attività di integrazione degli elementi probatori già ritualmente acquisiti (Tribunale Bologna sez. lav., n.522 del 2017).

Per quanto attiene alla finalità cui tali poteri devono ricondursi, unanimemente la giurisprudenza ritiene che i poteri istruttori riconosciuti al giudice del lavoro siano diretti alla ricerca della c.d. verità materiale cui, peraltro, è funzionalizzato in generale il rito del lavoro, che, per inclinazione, è teso a garantire una tutela differenziata in ragione della natura dei diritti che nel giudizio devono trovare riconoscimento (Cass. Sez. Civ. 14081/2020).

In ordine ai limiti dell’esercizio dei poteri istruttorii del giudice, in primo luogo, è necessario precisare che non sussistono particolari limiti temporali, poiché il giudice può disporne anche in appello, ovvero anche quando la richiesta di nuove prove sia preclusa alle parti.

Sul punto la Suprema Corte ha precisato che l’esercizio dei poteri istruttori in grado d’appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze, ad esempio: l’indispensabilità dell’iniziativa ufficiosa o l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti (Cass. Sez. civ. n. 5878/2011).

E' bene precisare, però, che anche nel rito del lavoro permangono alcuni divieti generali, ossia la preclusione per il giudice di utilizzare la propria scienza privata e il principio per cui l’allegazione dei fatti principali è riservata alle parti, pertanto, escludendo che il giudice possa esercitare i poteri istruttori con finalità inquisitorie.

Alla luce di tali considerazioni appare chiaro che i poteri conferiti al giudice del lavoro assumono un ruolo meramente integrativo rispetto ai mezzi di prova esperiti su istanza delle parti, ciò presuppone che il giudice utilizzi tali poteri allorquando si trovi in una situazione di incertezza nella valutazione dei fatti oggetto del giudizio.

In conclusione, una questione di particolare interesse attiene alla sindacabilità del mancato utilizzo dei poteri officiosi. Sul punto la giurisprudenza, per lungo tempo, ha ritenuto che gli stessi avessero natura discrezionale; a tale orientamento se n’è affiancato, più di recente, un altro più garantistico, il quale ritiene che in una situazione di incertezza oggettiva, l’utilizzazione dei poteri officiosi sarebbe doverosa e, pertanto, sindacabile  sotto il profilo del vizio di motivazione.

Infatti, la Suprema Corte ha recentemente precisato che l’uso dei poteri istruttori nel rito del lavoro non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio il giudice è tenuto a dare conto. Ciò nonostante il mancato utilizzo dei poteri officiosi in sede di legittimità è censurabile solamente nel caso in cui si provi di aver sollecitato l’utilizzo degli stessi nei termini previsti per l’espletamento dell’attività istruttoria (Cass. Sez. Civ.,  n. 21204 del 2020).

 

Il presente articolo è stato redatto con la collaborazione dell'Avv. Michele Fatigato, Managing partner presso Fatigato – Avvocati Giuslavoristi e Co-founder partner presso FFT Fatigato Follieri Teta.

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