26 Febbraio 2019

Quota cento: quando l’avvicinarsi della pensione è un’opportunità, ma nessuno la coglie

SOFIA BARGELLINI

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Abstract

Dopo essere stato a lungo criticato per il decreto dignità, l’attuale governo riceve timidi applausi dal mondo delle aziende per “quota cento”, il provvedimento che consente di andare in pensione a 62 anni, per chi ha 38 anni di contributi.

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Il governo Conte fa un passo indietro a prima della Fornero, tornando ai lustri che caratterizzavano questo Paese per essere uno degli Stati dove si andava in pensione prima rispetto agli altri Paesi europei. La riforma Fornero aveva semplicemente allineato l’età pensionabile italiana a quella degli altri Stati europei, innalzandola lentamente fino a giungere ai 67 anni di età nel 2019.

L’età pensionabile è una specie di boomerang che torna indietro a tutti i governi che lo lanciano. L’innalzamento dell’età pensionabile aiuta lo Stato, e soprattutto i conti dello Stato, ma rende scontenti sia i datori di lavoro, che i lavoratori. I primi, perché devono tenere in forza lavoratori ormai stanchi e poco motivati, che attendono semplicemente il giorno in cui poter andare in pensione; i secondi, perché senza reali prospettive e annoiati da un lavoro che spesso fanno da più di trenta o trentacinque anni, non possono però ritirarsi sebbene il loro impiego non regali loro né soddisfazioni, né crescita professionale.

La soluzione ampiamente più condivisa è quella di trovare accordi economici che cerchino di far avvicinare quanto più possibile i lavoratori all’età pensionabile: tali soluzioni, invece che win-win, sono spesso lose-lose, perché estremamente costose per le aziende, che versano parecchie mensilità, e non soddisfacenti per i lavoratori, che il più delle volte si avvicinano, ma non raggiungono l’età pensionabile, con il rischio di colmare il gap contributivo accollandosi il costo dei contributi volontari.

L’abbassamento dell’età pensionabile viene, quindi, immediatamente visto come lo strumento di flessibilità che consente alle aziende di “liberarsi” di quei lavoratori così vicini all’età pensionabile da poter assaporare il gusto dell’uscita e che solitamente ben convengono con il proprio datore di lavoro l’opportunità di lasciare il posto alle generazioni successive.

La “quota cento”, dopo le ristrettezze del decreto dignità, è finalmente uno strumento di respiro, che consente alle aziende di fare un progetto a breve termine di riorganizzazione che coinvolga coloro che erano a due passi dalla pensione e che oggi si trovano ancora più vicini alla meta.

Del resto, già oggi, tra gli strumenti a disposizione dei datori di lavoro, quello del “prepensionamento” o del “pensionamento” è di certo quello più utile e più utilizzato per riorganizzare la struttura e per iniettare nuova linfa all’interno della azienda, apportando modifiche all’organizzazione e magari sfruttando l’occasione per eliminare alcuni ruoli e inserirne di nuovi.

Negli ultimi anni tra Ape, aziendale e sociale, e part-time agevolato, sono stati introdotti strumenti a supporto della necessità di pre-pensionare o comunque accompagnare alla pensione i dipendenti che non hanno ancora maturato il requisito pensionistico, ma sono abbastanza vicini da poter fruire delle descritte agevolazioni.

In realtà, mentre l’Ape è ancora in vigore ed è uno strumento a cui potranno accedere coloro che saranno interessati e che hanno i requisiti, il part-time agevolato non è più fruibile a partire da gennaio 2019.

Si è discusso, in sede di approvazione della manovra, se rinnovare o meno il part-time agevolato anche per quest’anno, ma alla fine il Governo ha deciso di non riproporre l’istituto nel futuro, per ragioni prettamente pratiche. In sede di valutazione si è notato come lo strumento fosse stato meno utilizzato del previsto: i casi in cui lavoratore e il datore di lavoro hanno utilizzato tale strumento sono molti esigui rispetto alle iniziali prospettive.

A onor del vero, il part-time agevolato era apparso, anche a chi scrive, uno strumento molto utile per consentire di sfruttare al meglio il periodo di necessario passaggio di consegne tra la vecchia e la nuova generazione. Consentire di sfruttare una riduzione dell’orario di lavoro a chi sta per andare in pensione, avrebbe garantito alle risorse in uscita una complessiva riduzione dei propri impegni lavorativi, senza però farli uscire dal mercato del lavoro in maniera improvvisa. Ciò avrebbe dovuto consentire l’inserimento – magari ancora con un contratto part-time - delle nuove leve che, dopo un periodo di affiancamento, si sarebbero trovati pronti a ricoprire ruoli e assumere responsabilità.

Tale strumento, sulla carta socialmente utile, si è poi rivelato complicato e forse un poco dispendioso in termini economici per l’azienda e quindi meno praticabile di quello che prometteva sulla carta.

Adesso attendiamo di vedere quanti saranno i lavoratori a chiedere di beneficiare della “quota cento”, e se effettivamente i conti dello Stato riusciranno a sostenere pensioni anticipate a 62 anni, auspicando però che nel futuro si possa introdurre nuovamente uno strumento simile a quello del part-time agevolato già dimostratosi utile a favorire lo scambio generazionale sul posto di lavoro.

 

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