13 Settembre 2021

La resa del Fisco sulla creazione dei trust: la segregazione non sconta l’imposta di donazione

RAFFAELE CASTALDO

Immagine dell'articolo: <span>La resa del Fisco sulla creazione dei trust: la segregazione non sconta l’imposta di donazione</span>

Abstract

La recente sentenza della CTR Sardegna (n. 260 del 27 aprile 2021), che ribadisce l’irrilevanza degli atti dotazione dei trust ai fini dell’imposta proporzionale sulle donazioni, non è che uno degli ultimi arresti giurisprudenziali di una lotta tra Giudici tributari e Amministrazione finanziaria durata anni, e (pare) giunta al capolinea.

***

L’origine della contesa

Nel 2006, dopo circa cinque anni dalla sua soppressione, il Legislatore ripristinò l’imposta sulle successioni e donazioni di cui al D.Lgs. n. 346/1990, estendendone contestualmente l’applicazione anche agli atti di “costituzione di vincoli di destinazione” (così l’art. 2 del D.L. n. 262/2006).

A partire da quel momento, l’Amministrazione finanziaria cominciò a ritenere che l’atto di dotazione di un trust, in quanto negozio([1]) a titolo gratuito mediante il quale il disponente trasferisce beni e/o rapporti al trustee (il “vincolo”), affinché questi li amministri nell’interesse dei beneficiari (la “destinazione”), andasse immediatamente assoggettato alla neo-introdotta imposta sulle liberalità.

Sulla base di una lettura statica, invece che funzionale, della norma, secondo cui il “vincolo di destinazione” assumeva rilevanza impositiva in quanto tale, e non già in quanto strumento di arricchimento di un soggetto diverso dal c.d. “settlor”, nessuna importanza doveva attribuirsi alla circostanza – pure estremamente frequente nella casistica dell’istituto – che le regole stabilite dal disponente del trust, al cui rispetto il trustee resta obbligato (magari anche sotto il controllo preventivo dei c.d. protectors), ben potessero escludere qualsiasi godimento immediato dei beni segregati, nonché dei relativi frutti, da parte dei beneficiari.

 

L’evoluzione del conflitto

All’indomani della novella del 2006, l’Agenzia delle Entrate segnò espressamente la propria posizione in un paio di circolari (n. 48/E del 2006, e n. 3/E del 2008): nessun atto di dotazione sarebbe scampato all’immediata tassazione del vincolo apposto sui beni conferiti in trust di qualsiasi tipo, ivi inclusi quelli c.d. “auto-dichiarati” (in cui la figura del trustee coincide con quella del settlor), e quelli c.d. “opachi” (ossia privi di beneficiari determinati, e quindi – precisava l’Amministrazione – con dotazione da assoggettare a imposta con aliquota piena, senza poter ricorrere ai benefici applicabili nel diverso caso di beneficiari individuati entro un rilevante grado di parentela col disponente).

Con una dottrina fin da subito assai critica rispetto ad una simile, intransigente, interpretazione della norma appena introdotta, la questione non tardò ad arrivare sui banchi della Corte di Cassazione, che pure, sulle prime, parve sposare senza riserve la tesi del Fisco. Nelle ordinanze del 2015 (nn. 3735, 3737, e 5322) e del 2016 (n. 3886), gli Ermellini ritennero che, ai fini dell’imposta sulle liberalità, il gratuito arricchimento di un terzo costituisse un presupposto essenziale solo per le donazioni “tradizionali” e i trasferimenti mortis causa; e che, di contro, norma alla mano, nessun elemento “funzionale” fosse richiesto per la tassazione dei “vincoli di destinazione”.

Tuttavia, la mole del contenzioso, persistentemente alimentata da operatori forse più avvezzi all’istituto del trust, ovvero al reale scopo che ne ha segnato la diffusione fin dalla sua genesi nei sistemi anglosassoni, non accennò a diminuire. E non passò molto tempo, prima che la Suprema Corte si mostrasse maggiormente attenta a comprendere la vera ratio ed il concreto funzionamento (nelle loro molteplici manifestazioni) della fattispecie, e, quindi, a giudicarla, senza riserve aprioristiche, secondo una prospettiva organica e costituzionalmente orientata, nell’ambito del nostro sistema (giuridico e) fiscale.

Dapprima, fu il turno dei trust auto-dichiarati, sottratti all’immediata tassazione in virtù della loro inidoneità a “determinare effetti traslativi … che realizzano un incremento stabile di un dato patrimonio con correlato decremento di un altro” (Cass. n. 13626/2018). Quindi, fu la volta dei trust c.d. di scopo, costituiti in funzione della soddisfazione di pretese creditorie di terzi, ed esonerati dall’imposta all’atto della dotazione in virtù della loro “natura transitoria… inespressiva di …alcuna capacità contributiva” (Cass. 31445/2018). Infine, si giunse al radicale mutamento di rotta, con la disapplicazione a qualsiasi atto di dotazione dell’imposta di donazione, ai fini della quale “si deve fare riferimento non già alla – indeterminata – nozione di ‘utilità economica della quale il costituente, destinando, dispone’ (Cass. 3886/2015), ma a quella di effettivo incremento patrimoniale del beneficiario” (Cass. n. 1131/2019, prima di una lunga, fin qui mai riconsiderata, serie).

A quest’ultima - oggi granitica - posizione della Suprema Corte, si affidano, ancora nel 2021, i Giudici tributari sardi, nella sentenza in abstract (n. 260 del 27 aprile 2021), il cui più interessante spunto, ad avviso di chi scrive, non sta tanto nel ribadire “l‘univoco l'orientamento della Corte di Cassazione per cui, in caso di istituzione di trust, l'imposta di donazione deve essere applicata non già immediatamente ma al momento del trasferimento dei beni ai beneficiari finali”, quanto, piuttosto, nel come tale pronuncia costituisca prova provata della impareggiabile capacità (o libertà?) di resistenza sfoggiata dall’Amministrazione finanziaria, fin qui mai doma nel difendere una tesi insensibile al sistema evolutivo del diritto.

 

La resa del Fisco

Eppure, l’11 agosto 2021 è parso compiersi l’ultimo atto dell’annosa diatriba, con l’Agenzia delle Entrate che ha diramato il testo – per ora solo “di consultazione”, ma destinato a divenire circolare il prossimo 30 settembre – di prassi funzionale al proprio, faticoso, “recepimento dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità”.

Dopo una decina d’anni si conclude, finalmente, uno dei tantissimi processi di adattamento delle regole all’esperienza. Percorsi tipici, ma, fisiologicamente, tanto più macchinosi quanto più complessi sono i sistemi chiamati all’adeguamento. Per quanti di tali processi restino ancora lungi dal terminare, si tratta di una notizia da accogliere con grande favore, vista la capacità, oggi rinvigorita, del trust di fungere da interessantissimo strumento di risoluzione delle più variegate esigenze nell’ambito del diritto civile e commerciale.

 

([1]) Atto di dotazione che può essere “integrato” nell’atto di istituzione/costituzione del trust, ovvero essere separato da, e/o successivo a, quest’ultimo.

Altri Talks