19 Dicembre 2017

La rivoluzione digitale, anche nel settore legale

ELIO CATANIA

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Abstract

In un mondo sempre più veloce e interconnesso, avere paura dell’innovazione significa, prima o poi, essere tagliati fuori. Tutto sta cambiando rapidamente, il 4.0 è una necessità ma anche una grande opportunità da cogliere. Anche il mercato legale è in trasformazione: nuovi paradigmi relazionali e più elevati standard di servizio superano le logiche “tradizionali”.

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L’informatica è entrata nelle imprese mezzo secolo fa, ma negli ultimi anni si è verificato un fenomeno nuovo, la pervasività: le nuove tecnologie vengono innestate all’interno di qualunque processo. Lo sviluppo straordinario della sensoristica, delle comunicazioni e soprattutto la capacità di elaborare quantità enormi d’informazioni a costi industrialmente molto ridotti stanno aprendo opportunità applicative senza limiti a qualunque tipo di organizzazione e professione. Cosa significa tutto questo per le professioni legali, siano esse esercitate attraverso uno studio che come funzioni legali dentro l’azienda? E ancora la professione di avvocato è veramente messa a rischio di obsolescenza dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale? Sono tante le domande che emergono e a cui non è semplice dare risposte perché la rivoluzione digitale è solo agli inizi, è profonda, veloce ed è destinata a produrre cambiamenti radicali nel modo di produrre, di lavorare, fare impresa, di fare formazione, di relazionarsi con i clienti, di fare politica. Possiamo tuttavia essere certi che una professione come quella dell’avvocato, in cui i fattori intellettuali, creativi, relazionali, sono prevalenti, non verrà soppiantata dai robot. Ma è certo che, come tutti i campi di attività, verrà profondamente trasformata dall’innovazione digitale. Sappiamo che nei prossimi anni il 50% delle mansioni cambierà in tutti i settori, secondo modelli, funzioni e professionalità che oggi non siamo in grado di immaginare, mentre le competenze digitali di base saranno strumenti indispensabili per svolgere qualunque lavoro e professione. Sono destinati a saltare anche i tradizionali confini tra mercati. Già oggi, con la nascita delle grandi piattaforme di incontro fra domanda e offerta, assistiamo alla creazione di nuovi mercati. Uber, Airbnb sono imprese multinazionali che non hanno asset, ma mettono insieme milioni di consumatori con un’offerta fatta da migliaia di conducent o di proprietari di abitazioni. E ancora, fra qualche anno un’automobile non sarà più tale, ma assimilabile a un computer che si muove.  È chiaro che stanno cambiando proprio i fondamenti su cui finora si sono basati gli economics di una società, di un sistema economico, di un’azienda, di una professione. E prima ce ne rendiamo conto, prima impariamo a cavalcare quest’onda tecnologica, meno avremo da temere dal cambiamento perché diverrà un’opportunità. Una straordinaria opportunità.  Non capirlo, resistere, ritardare, aver paura dell’innovazione, significa essere prima o poi tagliati fuori.  La variabile tempo è cruciale. Prima i cicli economici erano lunghi, c’era il tempo di correggere gli errori, raddrizzare il tiro, rimettere le cose a posto. Oggi non è più così. Vediamo sparire dal mercato aziende leader fino a poco tempo fa, mentre emergono di colpo attori che prima non esistevano.

L’Italia si adegua lentamente e faticosamente

La velocità è cruciale soprattutto per il nostro Paese. Negli ultimi quindici anni abbiamo accumulato, rispetto alla media europea, un ritardo di 250 miliardi di euro non investiti in tecnologie innovative. E lo abbiamo pagato a caro prezzo, con una perdita di due punti percentuali sul PIL ogni anno, la mancanza di reattività del sistema, una carenza complessiva di competitività, di capacità di crescita dell’economia e della produttività. Recuperare il gap nel più breve tempo possibile non è una opzione, è un obbligo imperativo.  Perché quando parliamo di trasformazione digitale, di Industria 4.0, in realtà non stiamo parlando di tecnologia, ma di ridare slancio al Paese, ridisegnandone l’economia, le aziende, le professioni. E aggiungerei anche il modo di concepire e fare le norme. Regolare il digitale oggi, significa mettere mano al futuro. Privacy, diritto d'autore, fiscalità digitale, cybersecurity, reputazione on line. Diritti e doveri nel mondo della rete. Sono temi complessi, terreni inesplorati, con cui le professioni legali, in primis, sono chiamate a misurarsi. Pensiamo, per esempio, ai Big Data, una rivoluzione nella rivoluzione.  Un mercato che cresce del 22% annuo e già oggi in Italia vale più di un miliardo. Basterebbe il titolo della risoluzione presa in materia dal Parlamento europeo – “Risoluzione sulle implicazioni dei Big Data per i diritti fondamentali: privacy, protezione dei dati, non discriminazione, sicurezza e attività di contrasto” -  a far capire l’importanza per gli avvocati di temi del genere. Proprio l’entrata in vigore del regolamento europeo sulla protezione dei dati a maggio del 2018 renderà obbligatoria in ogni azienda, istituzione, struttura professionale che tratta dati personali l’introduzione del Dpo, il Data protection officer, una nuova figura professionale che nasce dall’incontro tra temi giuridici e tecnici.  Ecco, questo è un segnale del cambiamento che è sotto i nostri occhi. E a questo punto va posta con urgenza la domanda se affrontare queste materie oggi lo si può fare con i modi, i tempi, le metodiche, i rituali, le competenze con cui si è fatto in tanti anni. La risposta è necessariamente “non è più possibile o comunque non basta più”. La dinamica rapida dell’innovazione, la vastità e la specialità degli argomenti in gioco richiedono risposte nuove, all’altezza della complessità della sfida.  I modelli sia imprenditoriali che professionali che rimangono statici rischiano in breve di cedere il passo a chi è in grado di leggere e dare valore alle nuove realtà.  

La digitalizzazione al servizio del mercato legale

Piattaforme di incontro domanda e offerta, basate su principi di tracciabilità e trasparenza delle prassi operative, come si propone di essere 4cLegal, rispondono alla necessità di dotare il mercato legale della capacità di intercettare i trend emergenti, ottimizzarne il valore attraverso l’innovazione tecnologica per confezionare nuovi servizi, migliorare quelli tradizionali, innovare le modalità di rapporto con i clienti, accedere a nuovi mercati. Non si tratta di scardinare il tradizionale rapporto di fiducia fra avvocato e cliente, ma di fargli fare un salto di qualità verso una migliore rispondenza ai nuovi pressanti stimoli della digitalizzazione. Oggi per un’impresa concetti come “reputazione aziendale”, “compliance”, ovvero la conformità alle regole cogenti e volontarie, rappresentano asset di importanza strategica di cui i servizi legali sono protagonisti. Nel mondo digitale gestire, sviluppare, valorizzare questi asset richiede capacità e approcci innovativi, vicinanza alle logiche e prassi manageriali. Il confronto competitivo corretto sui servizi legali spinge i professionisti ad offrire la migliore e più equilibrata sintesi fra competenze, prestazioni, organizzazione, costi etc. Allo stesso tempo le imprese sono messe nella condizione di valutare in modo obiettivo le informazioni a disposizione, assumendo così piena responsabilità delle proprie scelte. Consentire alle aziende di individuare tramite procedure concorrenziali trasparenti e lineari, il professionista o lo studio professionale più idoneo a cui affidare la difesa della propria impresa, della sua reputazione o della compliance aziendale, non elimina la fiducia, ma la esalta su più elevati standard del servizio.

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