15 Giugno 2020

Uno sguardo psico-socio analitico sullo smart working

MARA MARIOTTI

Immagine dell'articolo: <span>Uno sguardo psico-socio analitico sullo smart working</span>

Abstract

Il primo grande cambiamento al quale il confinamento per l’emergenza COVID ci ha costretti è quello di lavorare da casa. Si tratta di un’esperienza temporanea o di un cambiamento culturale e come ne usciremo emotivamente?

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Una nuova formula per il lavoro, uguale per tutti

In molti parlano di smart working e del grande cambiamento che le aziende stanno affrontando per tenere il passo con la Fase 2, 2 bis, etc. Capisco e comprendo. Ho fatto lo stesso. Ho proposto una survey e una formazione sull’argomento.

Documentandomi, ho la sensazione che mi stia sfuggendo qualcosa. Che cosa?

Solo nel nostro paese siamo 8 milioni di lavoratori in smart working.

Prima del Covid, (cosi adesso misuriamo il tempo), non esisteva; c’erano forme di lavoro ben contrattualizzate e condivise tra le parti sociali, che davano la possibilità di lavorare anche da casa ma erano semplicemente poco considerate o considerate poco convenienti, circa 500 mila contratti in tutto.

Adesso 8 milioni. Un’enormità.

La storia ci insegna che ciò che accade durante un periodo di emergenza ha un valore circoscritto alla contingenza del trauma che si sta vivendo. Forse proprio per questo, nessuno di noi si rilassa davvero tanto da farsi permeare dalla vita che sta conducendo, come a voler credere che non sia vero, non è reale, è solo per il momento poi tornerà tutto normale.

E’ davvero cosi? Quello che stiamo facendo, sarà un dato lasciato all’archivio della memoria?

Eppure, la storia ci insegna anche che il trauma non scompare ma si appisola dentro di noi per riapparire chissà quando e in quale forma…

Per comprendere meglio cosa sto pensando e scrivendo, ho bisogno di ripartire dalla “a” dell’abbecedario.

Partiamo dalla centralina che assorbe l’energia e lancia l’input, l’inconscio.



Due brevi cenni storici

Carl Gustav Jung nei suoi studi ha distinto l'inconscio personale, formato dalle esperienze e dai vissuti personali del singolo individuo costruiti durante la sua crescita, dall'inconscio collettivo formato invece da costrutti e contenuti innati, che ogni individuo cioè possiede al suo interno sin dalla nascita. Con questo termine egli indica l'insieme dei contenuti psichici universali, legati al complessivo patrimonio della civiltà e in esso consiste, la struttura della psiche dell'intera umanità.

Le definizioni secondo Melanie Klein di determinismi inconsci sono la coscienza di una casualità od eccezionalità nei processi mentali, giacché ogni evento psichico viene determinato dagli eventi che lo hanno preceduto, in cui il fattore tempo, come lo si concepisce coscientemente, non esiste. Oltremodo, il senso di colpa che si riferisce sempre ad un evento psicologico passato, e l'angoscia che si riferisce sempre ad un evento psichico futuro.

Possiamo quindi dire che tutti abbiamo un patrimonio personale e uno condiviso col resto dell’umanità e che il Covid ci ha condizionato a tal punto che indietro non si torna ma abbiamo paura anche di andare avanti?

Questa frustrazione ambigua e ambivalente è pesante da sostenere e ci rende impazienti. Proprio perché insostenibile, è vista come qualcosa che non aiuta anzi, fa perdere tempo, non dà risposte e genera ansia appesantendo ulteriormente il livello di tolleranza in coloro, come noi, abituati ad agire, a decidere e a essere veloci. Rielaborando velocemente morsi da ansia e frustrazione, crediamo di avere già compreso abbastanza sullo smart working e del cambiamento culturale in corso, buttandoci a capo fitto su attività pratiche - vedi la necessità di potenziare e proteggere la rete da remoto, di cambiare l’operatività passando dal compito all’obbiettivo, di stringere regole contrattuali condivise, - per dirci pronti, aggiustando un po’ il tiro tra come era prima e come sarà adesso.
Questo agire è certamente utile al contenimento dell’ansia e a farci sentire fattivi ma insufficiente a mio avviso, se non accompagnato da un’analisi più ampia necessaria a comprendere il cambiamento dell’organizzazione nella sua interezza.

Cresciuti con/nel paradigma il tempo è denaro, fermarsi a pensare sembra avere un prezzo troppo alto per la situazione economica tutt’altro che positiva, del momento.

Ormai paghi anche dello slogan crisi=opportunità rischiamo ancora una volta, di non utilizzare un grandissimo bacino di evidenze utili a ridisegnare l’architettura del mondo del lavoro.

Riconoscere le complessità generate dall’energia vitale di milioni di lavoratori che nel momento di grande paura si sono avvicendati e uniti, è doveroso e necessario soprattutto da parte di chi vede arrivare un tempo in cui è possibile creare un circuito sostenibile, rivedendo i paradigmi su cui si basano le nostre attività professionali, ricordandoci che un’economia sostenibile è quella al servizio dell’uomo e non viceversa.

 

Anche l’uomo è confinato in casa

Chiudo questo mio pensare con voi, con un ultimo interrogativo.

Sento molto dire che per le donne questo è un momento ancora più difficile. Lo smart working è calato tra le mura domestiche creando scosse che la donna lavoratrice, anche mamma, moglie, compagna e amica, ha dovuto gestire con più energia e che su di essa, si abbatterà la scure della crisi. Le più penalizzate saranno le donne. Per noi niente di nuovo sotto il sole, e non sono qui per farne un manifesto femminista. Dico che il dato che più mi ha colpito ascoltando la solita tiritera è quello di cui nessuno parla e che rivela che per la prima volta l’uomo, il marito, il padre, l’amico, il compagno, è a casa! Confinato in casa. Confinato nei ruoli di lavoratore, marito, padre e compagno.

Come è andata?  Ce la facciamo a fare un salto verso la sostenibilità? Hmm...

 

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