28 Giugno 2019

Strumenti convertibili e finanziamento delle startup

FRANCESCA REDOANO

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Abstract

L'ecosistema della Silicon Valley si avvale di un ampio ventaglio di strumenti di finanziamento convertibili, studiati in particolare per incontrare le esigenze delle startup in fase seed e early stage. L'interesse verso questi strumenti è crescente anche in Italia. In questo articolo ne citiamo alcuni nella loro versione “originale”, con una riflessione critica sull'applicabilità nel sistema italiano.

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Gli strumenti di finanziamento convertibili sono composti, come noto, da un contratto di mutuo e da un accordo di conversione del credito in quote del capitale sociale dell'impresa finanziata. Il modello tradizionale prevede la maturazione di interessi e la conversione eventuale su richiesta dell'investitore. Si tratta evidentemente di uno strumento di debito.

Gli strumenti convertibili sono particolarmente apprezzati dalle startup in fase seed e early stage, soprattutto perché permettono di posticipare la valutazione della società (unitamente ad altre condizioni) al momento della conversione, con il vantaggio di abbattere i tempi e i costi della negoziazione.

Proprio in ragione di questo, gli strumenti convertibili hanno ampia diffusione in Silicon Valley, sistema di riferimento per tutto l'universo startup.

Le convertible notes, che sostanzialmente corrispondono al modello tradizionale sopra descritto, sono da sempre conosciute e adottate tra successivi round di finanziamento. Dall'inizio del nuovo millennio, alcuni studi legale e incubatori hanno ideato anche nuovi schemi di obbligazioni convertibili, che si allontanano dal carattere di debito per essere declinati in versione equity. Molti modelli sono stati resi disponibili come template standardizzati liberamente scaricabili da internet, in un'ottica di semplificazione. Tra questi, lo strumento di maggiore successo è certamente il SAFE (simple agreement for future equity), lanciato dall'incubatore YCombinator nel 2013 e oggi comunemente utilizzato dai business angels e da vari incubatori, nonché nelle campagne di crowdfunding e persino da alcuni fondi di venture capital. Da ultimo, il SAFE è stato adattato anche al mondo della blockchain e delle ICO, dove è conosciuto con il nome di SAFT (simple agreement for future tokens).

Il SAFE è uno strumento ibrido, né di debito, né propriamente di equity. Come suggerito dal nome, si tratta piuttosto di uno strumento di equity differito. Diversamente dai tradizionali strumenti convertibili su richiesta del finanziatore, il SAFE si converte automaticamente, in occasione del successivo round di finanziamento o di altri eventi concordati. Il SAFE è un documento agile, il cui unico elemento di negoziazione consiste, in buona sostanza, nella pattuizione di uno sconto e/o di un cap sul prezzo di conversione, ovviamente a favore dell'investitore. Ogni altra pattuizione, compresa la valutazione della società, viene posticipata e quindi uniformata alle condizioni del round successivo. Il finanziatore seed ottiene così il vantaggio di avvalersi delle condizioni negoziate dal successivo investitore, che prevedibilmente sarà un venture capital, più sofisticato e con maggior peso contrattuale rispetto al primo finanziatore.

            Poiché non tutto è oro ciò che luccica, è opportuno osservare che l'adozione del SAFE presenta anche svantaggi. Rispetto alle tradizionali convertible notes, il SAFE infatti non prevede la maturazione di interessi e soprattutto non prevede una data di scadenza, con la possibile conseguenza che la conversione non avvenga mai: il finanziatore assume pertanto il rischio di perdere il proprio capitale e proprio questo rischio caratterizza il SAFE come strumento di equity, rispetto ai tradizionali strumenti di debito convertibili. Tuttavia, rispetto agli strumenti di equity, il SAFE non riconosce i diritti tipicamente negoziati dai soci-finanziatori, neppure i diritti di controllo e di informazione, al di là delle generiche dichiarazioni di garanzia dalla startup.

            Gli svantaggi per i finanziatori si traducono evidentemente in vantaggi per la startup: nessuna maturazione di interessi, nessun obbligo di restituzione del capitale. Questi vantaggi, a cui si aggiunge l'abbattimento dei tempi e costi di negoziazione, sono particolarmente strategici nelle fasi seed e early stage, in cui l'ammontare del finanziamento non giustifica il costo di una lunga negoziazione in stile venture capital. Lo strumento può tuttavia comportare svantaggi anche per i founders, soprattutto qualora il successivo round sia negoziato a condizioni poco favorevoli.

In considerazione degli evidenziati svantaggi, in Silicon Valley sono stati proposti nel tempo ulteriori strumenti convertibili, tra i quali il più diffuso è il KISS (keep it simple security). La rassegna degli strumenti ibridi utilizzati nella West Coast non è oggetto della presente riflessione, in ogni caso si registra la tendenza a rafforzare la tutela dell'investitore, con conseguente evanescenza del carattere di equity e ritorno a schemi meno agili.

A prescindere dalle diverse varianti, le obbligazioni convertibili sono comunque sempre più utilizzate.

L'esigenza di snellire la negoziazione e di posticipare la valutazione della startup ad una fase di maggiore maturità, accomuna evidentemente ogni ecosistema. Anche la prassi italiana registra esempi di strumenti ibridi, benché nei limiti imposti dalla minore maturità del sistema e da non poche incertezze applicative.

Lo schema convertibile oggi in uso in Italia è uno schema di natura contrattuale, fortemente sbilanciato a favore dell'investitore. Tipicamente, il finanziatore mantiene il diritto alla restituzione del capitale ad una certa data, maggiorato di interessi convenzionali, e l'operazione viene iscritta al passivo del bilancio della startup alla voce debiti. La conversione, solo eventuale, può avvenire su richiesta del finanziatore in caso di un nuovo round di finanziamento o di una exit prima della data di scadenza concordata, oppure alla data concordata qualora nessun round sia stato medio tempore realizzato. La società non può estinguere il debito anticipatamente, né può cedere il contratto senza il consenso dell'investitore: il che significa che la startup rimane vincolata per tutta la durata dell'accordo di investimento. Il finanziatore, al contrario, si riserva la facoltà di cedere il contratto e negozia inoltre specifici poteri di controllo sulla gestione della società. In sintesi, lo schema in esame ricorda le condizioni delle tradizionali convertible notes, tuttavia sottraendo ad esse i vantaggi dello schema obbligazionario: serialità e parità di condizioni, tra le quali, in primis, il valore del titolo e la data di scadenza.

            L'adottabilità delle obbligazioni convertibili, siano esse strutturate come tradizionali notes o come i più innovativi SAFE, solleva in effetti non poche incertezze nel nostro ordinamento nel caso l'emittente sia una S.r.l. Come noto, la S.r.l. è il veicolo principe per l'avvio di nuove imprese, in ragione del minimo capitale sociale richiesto dalla legge (di fatto azzerato dalle recenti novelle) e dei minori costi di gestioni rispetto alla S.p.a. Non a caso, il legislatore è intervenuto profondamente sulla disciplina delle S.r.l., nell'ottica di abilitare tali società alla raccolta di capitali presso il pubblico.

Il primo intervento risale alla Riforma del 2003,[1] la quale ha eliminato il divieto per le S.r.l. di emettere obbligazioni. Ai sensi del nuovo art. 2483 c.c., le S.r.l. possono pertanto oggi emettere strumenti obbligazionari, tuttavia entro i noti limiti: apposita previsione nell'atto costitutivo, sottoscrizione riservata a soli investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale, assunzione di responsabilità per la solvenza della società, in capo al sottoscrittore che trasferisca l’obbligazione a soggetti diversi dagli investitori professionali o dai soci della società emittente.

            I successivi interventi tra il 2012 e il 2017,[2] che nell'ottica di consentire la raccolta di capitali anche presso il pubblico hanno profondamente modificato la disciplina della S.r.l. startup innovativa, PMI innovativa e infine PMI, non hanno tuttavia toccato l'art. 2483 c.c.

Lo strumento obbligazionario, come (lacunosamente) disciplinato dalla legge italiana in tema di S.r.l., è tuttavia profondamente incoerente con le esigenze del sistema startup.

Nel silenzio della norma, anzitutto non è dato sapere se la startup S.r.l. possa emettere obbligazioni convertibili. La (scarsa) dottrina sul punto è divista tra il diniego e l'ammissione di tale possibilità, in base però ad una apodittica applicazione estensiva delle norme in tema di S.p.a. Il problema astratto può peraltro ritenersi superato dalla marginale utilità che lo strumento obbligazionario potrebbe avere in concreto per le startup (e, in generale, per le S.r.l. italiane). Ai sensi dell'art. 2483 c.c., infatti, la (startup) S.r.l. non può offrire le proprie obbligazioni, siano esse convertibili o meno, in sottoscrizione ai business angels. Posto che le startup in fase seed e early stage sono tipicamente costituite nella forma di S.r.l. ed altrettanto tipicamente finanziate dagli angels, lo strumento obbligazionario risulta nel nostro ordinamento di fatto inutile. A maggior ragione considerando i costi di emissione e le rigide norme di funzionamento previste in tema di S.p.a., che ragioni di coerenza sistematica suggeriscono di applicare anche alle S.r.l., in mancanza di una disciplina obbligazionaria ad hoc.

In conclusione, i vantaggi offerti dagli strumenti convertibili sono ormai evidenti anche alle startup italiane, le quali tuttavia sono limitate da una normativa inadeguata. Una modifica della disciplina delle obbligazioni emesse dalle S.r.l. è perciò auspicabile e necessaria, allo scopo di consentire una crescita efficiente del nostro sistema imprenditoriale.

 

 

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