08 Luglio 2021

Il colloquio di valutazione: come uscirne (migliori)

VERONICA GAFFURI

Immagine dell'articolo: <span>Il colloquio di valutazione: come uscirne (migliori)</span>

Abstract

Il colloquio di valutazione, ormai prassi consolidata non solo in azienda, ma anche in molti studi professionali, è un momento che suscita emozioni e aspettative diverse. Di certo c’è la curiosità di ricevere un feedback (possibilmente costruttivo), ma anche a volte preoccupazione e sentimenti contrastanti. Il rischio è di uscirne delusi, essendo partiti magari con aspettative non del tutto corrette.

Sono pochi i consigli davvero utili e a dire il vero non sono poi così diversi da quelli per preparare una riunione di lavoro o una presentazione: l’unica differenza è che dobbiamo parlare di noi, e questo complica un poco la vita. Ecco allora il solito vademecum semi-serio.

***

Formale/informale

Certo molto dipende dal clima che c’è tra le parti, ma va sempre tenuto presente che anche dove la relazione è assolutamente rilassata e confidenziale, si tratta di un momento formale con uno scopo ben preciso. Non è tempo preso per fare una chiacchierata generica su come è andato l’anno scorso, come si farebbe con un amico al bar sgranocchiando un’oliva. Questo porta al secondo consiglio.

 

Preparazione/improvvisazione

Ovviamente la prima, ma come?  Partirei dal caso (auspicabile) in cui abbiate condiviso a inizio anno un documento, una scheda, una tavoletta d’argilla con degli obiettivi chiari, magari alcuni quantitativi e altri qualitativi. Se è così siete fortunati: partite da quelli. E preparatevi a farne una lettura critica, sia che vi si chieda di fare un’autovalutazione scritta prima del colloquio, sia che avvenga solo in forma orale. Qualche consiglio per tipologia di obiettivi:

  • nel caso di obiettivi numerici quello che ci si aspetta non è la semplice affermazione di una percentuale di raggiungimento, ma la lettura che date del vostro risultato: quali situazioni hanno inciso sul raggiungimento o meno dell’obiettivo, quali considerazioni potete fare sul vostro parco clienti, sulle materie che seguite, sull’evoluzione del mercato in cui operate, sulle eventuali difficoltà riscontrate nel seguire i lavori assegnati. Ovvia considerazione: questo vale anche per risultati che hanno superato l’obiettivo: in questi casi si tende spesso a lasciare perdere (se ho fatto il 130% che ci sarà da dire?) e invece è proprio l’occasione per fare un’analisi critica interessante (sono risultati ripetibili? A cosa sono stati dovuti? Possiamo consolidarli?). In sintesi, vanno sempre tenute a mente le due componenti: la situazione esterna (mercato, clienti, pandemia etc) e quella personale (come ho gestito quella situazione specifica: con quali competenze, attitudini, capacità).
  • Per gli obiettivi qualitativi a quanto detto si aggiunge un elemento, che può aiutare e che ripeterò all’infinito: chiedere feedback. Se la collaborazione con i colleghi, il passaggio di competenze, la formazione dei più giovani, la delega, erano vostri obiettivi, forse ha senso chiedere a chi ha lavorato con voi com’è andata.

In generale: se un obiettivo è andato un po’ meno bene del previsto, sarebbe utile chiedersi cosa si sarebbe potuto fare di diverso. O, se volete vederla proiettata nel futuro, se domani avrò lo stesso obiettivo, cosa devo fare perché le cose vadano diversamente?

 

Esempi

Sempre siano lodati. I dati dovrebbero essere alla base di tutto (non entro nella discussione filosofica di cosa è definibile un “dato” né del come andrebbe interpretato – quello è ovviamente il difficile) per cui anche nel nostro caso non ha senso affermare “sono stato molto efficace nel promuovere lo Studio con nuovi clienti” se non abbiamo un caso di successo che sia uno. In poche parole, qualsiasi cosa si sostenga andrebbe corredata da dati (che poi possono serenamente essere oggetto di discussione e confronto, ma insomma, almeno in partenza dovete averli).

 

Considerazioni generali

E’ sempre difficile prepararsi a dare una valutazione generale riassuntiva di “com’è andato l’anno”, tipica (non efficacissima) domanda di apertura colloquio da parte del valutatore, ma può essere utile prepararsi un’idea in questo modo: provate a identificare 2/4 punti/attività/risultati/cose fatte di cui siete orgogliosi, che possono spaziare dal progetto nuovo interessantissimo che vi è stato affidato al fatto di aver imparato a lavorare in squadra o a qualsiasi altra cosa, pratica o di comportamento/attitudine, piccola o grande, ma che per voi ha segnato l’anno passato. Per i più audaci: farlo anche per cose di cui non siete particolarmente soddisfatti.

 

Temperamento

Il nostro “hardware” ci condiziona sempre: ci rende più facili alcune cose e più difficili altre e la cosa bella è che sono tendenzialmente diverse per ciascuno di noi. Essere consapevoli di quello che ci viene meno facile è il punto di partenza per ottenere buoni risultati anche lì: come quegli sportivi che allenano forsennatamente proprio il colpo che non gli viene facile e a volte diventano campioni. Tenere sempre a mente che in questo campo però (quello delle attitudini personali) non c’è nulla di giusto né di sbagliato, solo approcci personali, ma esserne consapevoli aiuta a migliorare.

 

Piace vincere facile

Autovalutarsi non è un compito facile (altrimenti non si spiegherebbero tanti strumenti di assessment) ma anche chi pensa di farlo molto bene rischia di schiantarsi su Scilla e Cariddi: ci ricordiamo solo le cose belle, in cui siamo stati bravi, e comunque, diciamocelo, mettiamo una copertina di giustificazioni alle cose andate così così.

Umano, ma poco utile. Dato che è difficile autovalutarsi bisogna approfittare delle occasioni di confronto, ma ricordiamoci che il colloquio non è un tiro alla fune (io tiro dalla parte “sono bravissimo” così alla peggio atterreremo sul “bravo”) e che riconoscere dove si sono incontrate difficoltà è il modo migliore per superarle. Il che non significa ignorare le condizioni esterne che influenzano i nostri risultati (ci sono, ovviamente), ma sapere che il colloquio è incentrato su di noi e su cosa possiamo fare, non sull’invasione delle cavallette che ci ha impedito di lavorare (John Belushi insegna). Come hanno detto molti, meglio applicarsi sulle cose che possiamo modificare (noi stessi e il lavoro che facciamo) che su quelle su cui non abbiamo possibilità di intervenire (peraltro, la prima delle celeberrime 7 abitudini di Stephen Covey)

 

Comunicazione

Sempre il solito consiglio: ascolto attivo. Darsi il tempo di ascoltare, approfondire e costruire su quanto ci viene detto; cercare chiarimenti, magari pure prendersi appunti. Non è vietato rifletterci anche dopo e cercare un confronto successivo durante l’anno su quanto discusso.

 

Conclusioni (del documento e del colloquio)

Ognuno di noi ha dalla propria carriera professionale aspettative diverse, che peraltro possono (doverosamente, direi) cambiare a seconda delle fasi di vita personale. Il colloquio è l’occasione per condividere dove ci si vede e quali sono i propri obiettivi futuri e le priorità a breve/medio termine e confrontarsi con la nostra organizzazione. Un’occasione da non sprecare.

Altri Talks