20 Gennaio 2022

Comunicazione: dal "lei" generalizzato al "tu" reciproco

ELVIRA SCIBETTA

Immagine dell'articolo: <span>Comunicazione: dal "lei" generalizzato al "tu" reciproco</span>

Abstract

Dare del "lei" e dare del "tu". Spunti di riflessione sulle evoluzioni (ed involuzioni) del linguaggio quotidiano.

***

Alcuni anni fa, Umberto Eco in una lectio magistralis  pubblicata su Repubblica affrontava un argomento che continua ad essere di grande attualità: l’uso generalizzato del “tu”. Per lo scrittore e semiologo si tratta di “una finta familiarità che rischia di trasformarsi in insulto e di contribuire alla “perdita della memoria nazionale”. Non solo, quindi, indice di mancanza di rispetto ma di scarsa memoria storica e di basso livello culturale.

Fino al Cinquecento si usava il tu per i rapporti di confidenza e il voi per quelli di rispetto. A questo proposito, Umberto Eco fa l’esempio di Dante che pur utilizzando il tu con molti personaggi, per i più autorevoli di cui nutriva particolare stima e ammirazione - prima tra tutti Beatrice - preferiva il voi. L’abitudine di rivolgersi ad una persona di riguardo con il lei si diffonde a partire dal Cinquecento, per la moda arrivata dalla Spagna di parlare in terza persona e con deferenza, come se si parlasse “alla sua signoria”. Nel periodo fascista, il lei viene abolito e sostituto dal più “italiano” voi, per poi essere abbandonato nel secondo dopoguerra, tranne che in alcune regioni del sud Italia, dove tuttora viene utilizzato per rivolgersi agli anziani e alle persone più importanti.

 

Lei come forma di cortesia, tra rispetto e giusta distanza

Complice anche l’uso dei social media e di una comunicazione più “fluida”, il tu si sta diffondendo a macchia di leopardo in tutti gli ambienti, a detrimento del lei. L’idea di fondo è quella di sembrare “tutti amici”, anche quando nemmeno ci si conosce.

Quando si fa parte di una comunità ci sono delle regole da rispettare, sia per quanto riguarda il comportamento, sia per l’uso della lingua e delle sue formule. Sono diversi gli elementi da prendere in considerazione: il luogo in cui ci troviamo, la persona con cui parliamo, di cui dobbiamo considerare l’età, il ruolo e il grado di confidenza, e l’argomento che stiamo trattando. In ambito lavorativo ha un peso determinante il contesto, in quanto le consuetudini possono essere diverse tra professionisti (pensiamo ad esempio ai medici che convenzionalmente danno del tu ai propri colleghi, anche al primo contatto), in una grande azienda, in uno studio legale o in una start-up.

Si pensa che il tu abbia il pregio di essere informale, più confidenziale, più giovane e che contribuisca ad abbattere le barriere sociali, facendo sentire gli interlocutori allo stesso livello. In realtà l’uso del lei ha a che fare con il garbo e il rispetto reciproco. Nel lavoro ci consente di essere più incisivi, salvaguardando il nostro ruolo e creando quella giusta distanza che, in un’epoca senza limiti d’orario, in cui siamo tutti connessi e reperibili, può essere utile anche per mantenere un sano equilibrio tra vita privata e lavoro.

L’uso del tu dovrebbe, quindi, essere riservato alle relazioni in cui ci sia realmente confidenza e intimità, come tra parenti, appartenenti ad uno stesso gruppo culturale, sportivo o politico e tra colleghi che collaborano abitualmente, tenendo presente che dare del tu non significa sentirsi liberi di utilizzare un linguaggio inadeguato, irrispettoso o addirittura violento.

È sempre preferibile mantenere il lei tra persone appena conosciute, superiori di ruolo e anziane, almeno fino a quando non ci si accordi sul passaggio al tu che sancirà un momento cruciale nell’evoluzione della relazione, divenuta a quel punto di maggiore confidenzialità.

Impariamo prima a conoscerci e, nel dubbio, diamoci del lei.

 

Il tu nelle comunicazioni private

Nelle comunicazioni scritte che indirizziamo a nuovi collaboratori, clienti e fornitori-lettere, e-mail, chat ed sms- non si dovrebbe mai usare il tu la prima volta che si prende contatto. Dare del tu in prima battuta può essere considerato dal nostro interlocutore come indice di scarsa professionalità e, addirittura, come un espediente per poter trarre qualche vantaggio, rimandando a una familiarità di fatto inesistente. La decisione di darsi del tu è, anche per le conversazioni scritte, il risultato di una negoziazione. In ogni caso, è meglio che sia il cliente a proporcelo per primo. 

 

Al lavoro ci diamo del tu? Sì ma solo se reciproco

In ambito lavorativo, chi ha un ruolo gerarchico superiore potrebbe dare del tu a tutti o dare del tu solo ai pari grado, riservando il lei allo staff e ai nuovi arrivati. Qualsiasi sia la situazione in cui ci si trova, come sottolinea l’Accademia Nazionale del Galateo , quando si sceglie di usare il tu, questo deve essere simmetrico: non si può chiedere di darci del lei e poi dare del tu, anche se siamo Presidenti della Repubblica. Quella che in passato era la prassi della padrona di casa rispetto al proprio personale e continua ad accadere oggi in alcuni ambienti lavorativi, scolastici e universitari, per l’Accademia ha solo l’effetto di rimarcare non “la propria posizione, ma la propria presunzione”.

 

L’uso del lei sta diminuendo in Italia?

Non accade nello stesso modo in tutte le regioni italiane, ma l’uso del lei nel linguaggio parlato sta scomparendo progressivamente. Oggi gli impiegati danno del tu ai dirigenti d’azienda, cosa impensabile una ventina d’anni fa, le commesse dei negozi spesso si rivolgono ai clienti come se fossero amici (un atteggiamento che più che altro è frutto di un discutibile approccio commerciale), si dà del tu agli stranieri, anche quando useremmo il lei se fossero italiani. L’evoluzione per alcuni (o involuzione per altri) è in corso.

E se il lei sparisse, come potrebbe succedere vista l’evoluzione in corso, avremmo perso qualcosa?

Altri Talks