27 Novembre 2020

Perché i giovani legali sono migliori di un tempo

MARIO ALBERTO CATAROZZO

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Abstract

Si sente spesso dire che i giovani d’oggi sono meno preparati di un tempo, oppure che sono meno motivati. L’esperienza come giudice del Legal Talent e i tantissimi anni come formatore e coach proprio di studi professionali mi porta a dire invece che è esattamente il contrario. Le ragioni per cui appaiono così sono invece da ricercare da altre parti, vediamo perché.

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Non sono i giovani d’oggi ad essere meno preparati, è il mondo in cui si trovano ad affacciarsi ad essere molto più complesso di un tempo. Cominciamo da qui.

Inoltre, non è neppure vero che siano meno motivati di un tempo; il vero punto è che il loro futuro oggi appare molto più nebuloso rispetto a quello di un avvocato che si affacciava alla professione negli anni ’80 o ’90. Non si possono confrontare un giovane che nel 2020 si appresta a calcare le aule giudiziarie (Covid permettendo) con un suo coetaneo degli anni ’80. Sono due realtà completamente diverse che non permettono comparazioni, come invece spesso invece vediamo fare.
Proviamo a pensare cosa si trovava davanti il giovane avvocato degli anni della “Milano da bere” o del decennio meno felice, ma pur sempre prevedibile, che ha chiuso il millennio.
Innanzitutto, sapevano che lavorando sodo avrebbero trovato la loro strada e potevano ispirarsi ad un dominus che aveva qualcosa da trasmettere loro e non solo dal punto di vista giuridico, ma anche organizzativo della professione, dello studio (organizzazione che di fatto non c’era). Avevano qualcuno a cui ispirarsi come modello e sapevano, i giovani, che con la giusta dedizione avrebbero prima o poi ottenuto il successo professionale. Gli studi si presentavano boutique tradizionali del diritto, dove al praticante veniva richiesta la gavetta e di diventare sempre più competente sulle sue materie facendo consulenza legale tradizionale, come le generazioni precedenti. In fondo, tutto era già scritto e abbastanza prevedibile. Il farsi un nome, il passaparola, le capacità relazionali.

E oggi? Proviamo a metterci nei panni dei giovani che oggi dopo la laurea si affacciano alla pratica. Gli studi stanno cambiando pelle e non si capisce quale sarà il loro destino dimensionale: piccoli? medi? grandi? Vedremo studi-aziende? Vedremo studi lavorare in network? E poi: come sarà organizzato il lavoro dell’avvocato tra 5 o 10 anni? Nessuno lo sa ed è difficile anche fare previsioni. Si potrà lavorare in smart working; ci saranno co-working legali specializzati; si vedranno accanto agli studi boutique, studi associati, società tra professionisti, reti, collaborazioni, avvocati in secondment presso le aziende, avvocati free lance per altri studi, of counsel e forse chissà cos’altro. Secondo voi può avere le idee chiare un ragazzo di 24 o 25 anni che si appresta a vestire la toga? A chi si dive ispirare, a modelli che con ogni probabilità tra pochi anni non ci saranno più sul mercato professionale? Cosa riesce a trasmettergli ora il dominus, oltre alle competenze giuridiche, se lui stesso non sta capendo cosa sta capitando intorno?

 

Avvocati: sempre più complesso

Un tempo fare l’avvocato voleva dire fare il consulente legale, punto. Poi potevamo decidere il ramo giuridico, un nostro personale stile e poco altro. E oggi? Sappiamo che l’avvocato è anche un manager, di sé stesso e degli altri e un imprenditore. Ma quanti avvocati oggi già navigati sanno essere buoni manager? Quanti sanno dirigere con leadership lo studio? Quanti sanno fare team? Quanti sanno fare business development oltre il semplice passaparola o usare il web? Di tutto questo il giovane legale ha bisogno, altrimenti non potrà svolgere la professione. E da chi può impararlo? Dal dominus? Difficile. Da corsi, sì ma bisogna avere lungimiranza, tempo e soldi. Inoltre, il giovane ha l’impellente necessità, come nella piramide di Maslow, di soddisfare innanzitutto le sue esigenze primarie: guadagnare e imparare a maneggiare il diritto. Se l’ambiente di lavoro non lo aiuta in tale senso, è naturale che si scoraggi, che veda davanti a sé un percorso tortuoso, non chiaro e infinito. Quindi ci meravigliamo che sia sconfortato? Ci meravigliamo che sia insicuro e appaia impacciato? Non dovremmo, il futuro questa volta è davvero un punto interrogativo. Se poi ci mettiamo anche quest’ultimo anno di pandemia, dove nessuno sa cosa accadrà, lo scenario è completo.

In conclusione, non penso affatto che ci siano oggi giovani meno preparati o meno motivati. Ci sono giovani più spaventati, confusi, incerti sul futuro, in un mercato che sta cambiando le sue regole e che fa da barriera soprattutto per i giovani, che hanno difficoltà a trovare clientela e ad aprirsi uno studio da soli.

Cosa servirebbe? Beh, un ambiente che li prepari al futuro e non al passato; un ambiente che affianchi alla pratica la formazione e non solo giuridica, ma anche con le soft skills, con strumenti che permettano maggior flessibilità, apertura mentale, multidisciplinarietà e capacità di reggere stress e sfide. E poi diciamocelo: quelli svogliati, asini e senza grinta ci sono sempre stati, non è certo una novità di quest’epoca. Non ditemi che a voi, quaranta o cinquantenni, non è stato detto da giovani che la gioventù di allora (quindi voi) non aveva lo stesso mordente della precedente? È la solita storia delle generazioni a confronto.

Cari ragazzi, il problema non siete voi, dunque, ma il fatto che siete arrivati nel pieno di un cambiamento epocale e vi trovate a remare subito in acque agitate senza saper neppure nuotare.

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