26 Febbraio 2020

Il project management legale in Italia

MARIO ALBERTO CATAROZZO

Immagine dell'articolo: <span>Il project management legale in Italia</span>

Abstract

Arriverà anche in Italia la figura del project manager legale? Attecchirà anche da noi la prospettiva dello studio legale come azienda composta da manager e professionisti, dove i professionisti sapranno gestire in modo nuovo, manageriale, integrato le procedure di lavoro? Dal mondo anglosassone arrivano suggestioni ed esempi che dobbiamo cercare di interpretare per capire se possono attecchire nella nostra cultura. Vediamole.

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Prendiamo spunto da una delle ipotesi che il prof. Richard Susskind affronta nel suo testo “L’avvocato di domani” (2016), in cui nel presentare gli scenari futuri della professione forense introduce i nuovi ruoli che si paleseranno negli studi professionali, tra cui quello del project manager. Parliamo di una nuova figura che avrà il compito di gestire una questione giuridica proceduralizzandola. In sostanza, la tesi che è ogni questione giuridica può essere scomposta nelle sue parti principali da un “analista del processo legale” e che le parti del processo in cui è stata scomposta la questione possano essere affidate a fornitori di servizi diversi, anche esterni allo studio. Per la gestione di tale processo legale servirà un project manager.

Condivido personalmente buona parte delle previsioni del Prof. Susskind, qualche dubbio mi sorge sulla applicabilità di determinate evoluzioni al sistema italiano e alla cultura italiana. La trasformazione del mercato legale è sotto gli occhi di tutti e il futuro riserva certamente cambiamenti mai visti e alcuni addirittura difficili da prevedere. Noi italiani, d’altronde, siamo particolari anche in questo e siamo capaci di rimanere quiescenti per lungo tempo, quasi in una fase di letargo evolutivo, per poi fare un balzo in avanti improvviso. Siamo al contempo tendenzialmente tecnologicamente analfabeti e grandi consumatori di tecnologia. Non dimentichiamoci, poi, che il mercato professionale italiano in parte è composto dagli avvocati, in parte dai loro clienti (ci riferiamo in questa sede ai clienti business, più che privati) e in parte dal sistema giudiziario pubblico, le cui dinamiche sono sotto gli occhi di tutti.

Fatte queste doverose premesse, mi piace molto la prospettiva del Prof. Susskind, salvo che l’Italia delle professioni è costituita da un tessuto di mini-studi (studi boutique) un po’ diversi dal tessuto e cultura anglosassone di cui il libro è intriso.

Penso che i servizi legali online spopoleranno, che arriverà il Trip Advisor degli avvocati, che gli studi si struttureranno in forme aziendali sempre più articolate, che vi sia necessità di ottimizzare e razionalizzare i processi e che l’accesso ai servizi legali cambierà radicalmente in questo decennio appena avviato. Che invece la gestione della consulenza legale sia affidata a project manager legali, ho qualche dubbio in Italia, almeno per ancora molti anni. La nostra cultura giuridica è molto radicata e già l’inserimento in studio di figure di staff e manageriali è una conquista culturale, il passaggio seguente verso una managerializzazione della gestione dei servizi legali lo vedo al momento appannaggio solo di grandi strutture, già organizzate come aziende da tempo e con respiro internazionale. Ma quante sono nel panorama dei 244mila avvocati italiani? Quindi che ben vengano queste prospettive di miglioramento della professione in futuro e di adeguamento alle nuove tecnologie e mercati, non dimenticando, però, che il nostro Paese si fonda su iniziative individuali, più che collettive e la mentalità del team deve ancor prendere piede nella nostra cultura, professionale e non.

La sfida è per le nuove generazioni di legali che devono ancora formarsi e che affrontano un percorso di studi che li prepara per il passato, più che per il futuro. I giovani oggi sono ancora preparati dall’Università per il lavoro forense così come era gestito 10-20 anni fa e poco sanno di come andrebbe organizzato uno studio legale moderno, tanto meno di elementi di managerialità e imprenditorialità, che sono parte integrante della professione. A questo gap l’università dovrebbe rimediare con discipline manageriali che darebbero quel bagaglio culturale utile a relazionarsi con i clienti business, organizzare le attività interne, gestire la professione dal punto di vista comunicativo e marketing. La cultura anglosassone inoltre dovrebbe fare da esempio per capire cosa accadrà nei prossimi anni anche da noi, quindi andrebbe coltivata una cultura comparatistica e con respiro internazionale.

A ciò si aggiunga la necessità di conoscere nuove discipline giuridiche e nuove applicazioni del diritto a settori che pochi anni fa non esistevano del tutto. Insomma, di lavoro da fare ce n’è e di sfide non ne mancano. Ciò che serve preliminarmente è la mentalità giusta, la flessibilità e una vision.

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