19 Luglio 2021

Abuso del diritto (Leveraged cash out): da sentenza CTR Veneto spunti interessanti e considerazioni generali

PAOLO COMUZZI

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Abstract

Il tema “abuso del diritto” in generale e con specifico riferimento alla operazione di “leveraged cash out” è sempre di interesse considerato che oggi abbiamo molte Holding il cui unico scopo è quello di fungere da “patto di sindacato” senza che sussistano costi in quanto ai soci, pur vendendo a debito alla Holding le azioni della società target, non interessa generare costi ma solo mettersi al riparo da situazioni di rischio.

La storia di queste operazioni è complessa ed anche recentemente (istanza di interpello n. 242 del 5.8.2020) e sono operazioni che hanno sempre portato una attenzione dell’Agenzia.

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Una operazione da valutare

La operazione non è certamente gradita in linea generale (ottima sintesi Filippo Maisto, Rivalutazione delle partecipazioni al test dell’abuso del diritto, Rivista di diritto tributario, 2019) e anche secondo lo scrivente una operazione di LBO interno è solo una operazione che consente di mettere in evidenza quello che è un sostanziale avviamento originario e / o una rivalutazione di cespiti e siccome l’operazione in cui vi è assenza di controllo presenta dei profili problematici connessi alla formazione del bilancio della società coinvolta, prima ancora che profili di attenzione con riferimento agli aspetti fiscali, appare evidente che la deduzione dei costi connessi (gli interessi in primo luogo) è un elemento che merita una valutazione attenta. Al contrario, quando abbiamo un cambio di controllo vero nella compagine sociale, allora si ritiene che la operazione sia lecita ma anche qui esistono ampi margini di discussione (vedasi interpello 341/2019 – in senso favorevole possiamo richiamare Assonime Circolare 27/2018).

 

Commenti in merito alla decisione della CTR del Veneto

La fattispecie prospettata alla CTR del Veneto (decisione 30/2021 confermativa di CTP di Vicenza - 627/2018) è molto chiara e consiste in una rivalutazione di partecipazioni con conseguente assolvimento della imposta sostitutiva e poi un di acquisto delle azioni proprie.

L’agenzia delle Entrate contesta il tutto e la sua tesi viene esplicitata con l’affermazione secondo cui “…Tutte le operazioni, come descritte dall'Ufficio, sarebbero state architettate dallo stesso (...) al fine di ottenere un indebito vantaggio fiscale, senza che si possa evincere una ragione diversa da quella fiscale di carattere prevalente, in quanto la cessione di azioni proprie, previamente rivalutate ex art. 5 l. n. 448/2001 è stata effettuata all'unico scopo di corrispondere, a titolo di capital gain, somme che avrebbero potuto essere già erogate al socio cedente a titolo di distribuzione di utili generati dall'attività economica. L'essenza delle operazioni leveraged cash out è quella di far emergere il valore del capitale economico della società e di distribuire al socio controllante parte della liquidità che essa ha, in virtù della sua capacità di produrre reddito. Si monetizzano, dunque, a favore del socio i redditi della società attraverso i relativi flussi di cassa che non è necessario impiegare nella gestione aziendale e che come tali sono utilizzabili per la distribuzione dei dividendi …”.

La CTR risponde che “…Come affermato dal giudice di primo grado, affinché un'operazione possa essere considerata abusiva o elusiva l'Amministrazione Finanziaria deve identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi: a) la realizzazione di un vantaggio fiscale "indebito", costituito da benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario; b) l'assenza di "sostanza economica" dell'operazione o delle operazioni poste in essere, consistenti in "fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali"; c) l'essenzialità del conseguimento di un "vantaggio fiscale …” e prosegue dicendo che “…L'assenza di imo dei tre presupposti costitutivi dell'abuso determina un giudizio di assenza di abusività, confermata anche dal successivo comma 3 art. 37 DPR 600/73, nel testo allora vigente, in forza del quale non possono comunque considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, sono giustificate da valide ragioni extra fiscali non marginali …”.

La conclusione raggiunta è quella per cui “… Nel caso di specie, l'opzione tra cessione di azioni precedentemente affrancate, sulle quali è stato calcolato e pagato, in parte, il corrispondente carico fiscale e distribuzione di utili è lasciata alla libera disponibilità del contribuente. Del tutto condivisibile appare al riguardo quanto sostenuto, sia in primo che in grado di appello dalla difesa del contribuente, e cioè che contestare il diritto di scelta tra diverse soluzioni contrasta con un principio diffuso degli ordinamenti tributari, i quali consentono di regolare i propri affari nel modo fiscalmente meno oneroso …”.

Guardando al tema della elusione fiscale in linea generale la CTR del Veneto assume la posizione secondo cui “…una condotta abusiva presuppone l'identificazione e la prova, da parte dell'Amministrazione finanziaria, della congiunta sussistenza dei presupposti costitutivi …” che devono quindi esistere tutti insieme e questa esistenza deve essere provata (in modo chiaro e non equivoco diciamo noi) dall’ufficio accertatore e non sussiste elusione quando, come nel caso di specie “…tanto la rivalutazione delle partecipazioni quanto l'acquisto di azioni proprie sono state attuate ricorrendo a strumenti ordinari, espressamente contemplati dal sistema ed utilizzati nel pieno rispetto delle finalità e delle motivazioni poste dal legislatore …”.

Si tratta di un punto che assume una sua importanza in quanto appare alternativo rispetto a quello delle ragioni economiche ed infatti la CTR del Veneto afferma che “… sarebbe sufficiente questa considerazione per escludere la fondatezza dell'accertamento da parte dell'Ufficio, ma non è superfluo rilevare che, seppure i negozi posti in essere hanno conseguito anche un risparmio di imposta, né indebito né illecito, la parte ricorrente ha anche adeguatamente esposto le ragioni economiche che hanno determinato la scelta di procedere alla parziale cessione di azioni proprie in alternativa ad altre misure, quali la distribuzione di dividendi o il recesso del socio, che non avrebbero avuto alcun maggiore vantaggio né per il socio né per la società, ma solo un maggior onere tributario …”.

La CTR del Veneto è esplicita affermando che “… l'assenza di imo dei tre presupposti costitutivi dell'abuso determina un giudizio di assenza di abusività, confermata anche dal successivo comma 3 art. 37 DPR 600/73, nel testo allora vigente, in forza del quale non possono comunque considerarsi abusive quelle operazioni che, pur presentando i tre elementi sopra indicati, sono giustificate da valide ragioni extra fiscali non marginali …”.

Ai tecnici non sfugge che la posizione assunta è allineata con la recente Risoluzione 17 maggio 2018, n. 40/E in cui l’Agenzia ha detto che il contribuente può legittimamente perseguire un risparmio d’imposta, purché non sia indebito e ha anche precisato che non può considerarsi tale (rectius,“indebito”) un vantaggio offerto dallo stesso sistema tributario, essendo in “re ipsa” non contrario allo stesso.

 

Conclusioni

Possiamo certamente ritenere corrette le affermazioni della sentenza della CTR del Veneto e possiamo anche concordare con ODCEC di Roma (documento di Aprile 2020) che ha affermato “…Se, da un lato, non si possono certo negare strumentalizzazioni abusive della normativa fiscale e situazioni in cui il ricorso ad operazioni di LCO produce risultati effettivamente “circolari”, con altrettanta nettezza va rifiutata la tentazione di fare di tutta l’erba un fascio e, perciò, di etichettare l’operazione come intrinsecamente elusiva. Non è possibile ritenere soddisfacenti le prime posizioni ufficiali dell’Agenzia delle Entrate, fornite con il principio di diritto n. 20/2019 e nella risposta ad interpello n. 341/2019 (ancorché flebilmente mitigate dalle successive conclusioni contenute nella risposta ad interpello n. 537/2019), le quali - oltre ad apparire palesemente contraddittorie in alcuni passaggi – almeno da quanto si può evincere dagli elementi in esse contenuti non sembrano dare il giusto peso ad alcuni elementi decisivi delle fattispecie sotto scrutinio …”.

In questo senso possiamo dire anche noi che “… ci si augura, in tal senso, che il principio di diritto n. 20/2019 e la risposta ad interpello n. 341/2019 per quanto “rivedibili”, rappresentino solo il primo passo di un percorso che – una volta superate le prime approssimazioni e generalizzazioni, anche stimolate da comportamenti non del tutto lineari da parte di taluni contribuenti, come già pare di cogliere dalla risposta ad interpello n. 537/2019 – possa svilupparsi a attraverso il ponderato apprezzamento della specifica connotazione dei singoli casi concreti …”.

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