19 Aprile 2021

Tra albergo e abitazione privata: la figura del condhotel

LINDA RIZZI

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Abstract

Con il D.L. 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. Decreto Sblocca Italia), convertito dalla L. 11 novembre 2014 n. 164, è stata introdotta la figura del condhotel o del condominio alberghiero. Il contributo si propone di analizzare questa figura, che ha come obiettivo quello di migliorare e diversificare l’offerta turistica, favorendo al contempo gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti sul territorio nazionale.

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Il quadro normativo

Inizialmente, la disciplina del condhotel è stata dettata dall’art. 31 rubricato “Misure per la riqualificazione degli esercizi alberghieri del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con L. 11 novembre 2014, n. 164. Le condizioni di esercizio della figura del condhotel, invece, sono state demandate all’emanazione di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, pubblicato in data 22 gennaio 2018, n. 13 e contenente il regolamento di tale struttura.

Il D.P.C.M. n. 13/2018 fornisce, dunque:

  • la definizione delle condizioni di esercizio del condhotel;
  • la definizione dei criteri e delle modalità per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera.

 

La definizione e le condizioni di esercizio

Viene definito condhotel un esercizio alberghiero aperto al pubblico, a gestione unitaria, composto da una o più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie complessiva non può superare il 40% del totale della superficie netta destinata alle camere.

Dunque, perché una struttura alberghiera possa essere definita condhotel, la stessa deve soddisfare determinate condizioni, ovverosia:

  • possibilità di coesistenza delle camere e delle unità abitative nello stesso immobile, oppure ubicazione delle stesse in una o più unità immobiliare inserite in un contesto unitario, collocate nel medesimo comune, e aventi una distanza che non sia superiore a 200 metri lineari dall’edificio alberghiero in cui si esegue il check-in;
  • presenza di almeno 7 camere, oltre alle unità abitative ad uso residenziale. La superficie netta di queste ultime non deve eccedere il 40% del totale della superficie destinata alle camere;
  • gestione unitaria e integrata con i servizi del condhotel e delle camere/unità abitative ad uso residenziale, per la durata specificata nel contratto di trasferimento delle unità abitative ad uso residenziale e comunque non inferiore a 10 anni dall’inizio dell’esercizio del condhotel;
  • portineria unica per tutti coloro che usufruiscono del condhotel, sia come ospiti dell’albergo, sia in qualità di proprietari delle unità abitative a uso residenziale, con la possibilità di prevedere un ingresso specifico e separato ad uso esclusivo di dipendenti e fornitori.

 

L’acquisto di unità abitative ad uso residenziale collocate nel condhotel

Come anticipato, le unità abitative all’interno di un condhotel possono essere vendute ai privati.

L’art. 6 del D.P.C.M.  n. 13/2018, fornisce una lista dei contenuti che devono essere necessariamente presenti, a pena di nullità, nei contratti di trasferimento della proprietà:

  • condizioni di godimento e modalità relative all’uso di eventuali strutture comuni;
  • descrizione accurata dell’immobile;
  • descrizione appropriata di tutti i costi connessi e imputabili ai proprietari delle unità abitative ad uso residenziale ubicate nel condhotel e delle modalità con le quali tali costi sono ripartiti;
  • clausola secondo la quale l’unità abitativa a uso residenziale, ove non utilizzata dal proprietario, con il suo consenso, possa essere adibita da parte del gestore a impiego alberghiero.

Elemento caratterizzante i contratti di trasferimento della proprietà delle unità abitative ad uso residenziale situate all’interno dei condhotel è la compresenza di un contratto di trasferimento della proprietà verso un privato, da un lato, con un mandato di gestione dal privato all’impresa alberghiera, dall’altro lato. Quest’ultima, peraltro, conserva il diritto di affittare l’unità residenziale nei periodi in cui il proprietario non la utilizza, previo il suo consenso.

La domanda che ci si deve porre, a questo punto, è: che rapporto si pone tra il gestore della struttura alberghiera e il proprietario dell’unità residenziale? Secondo la dottrina maggioritaria la disciplina destinata a trovare applicazione non potrà che essere di fonte negoziale, descritta, quindi, nel regolamento concordato dalle parti al momento della vendita dell’unità abitativa a destinazione residenziale. Ci troviamo pertanto di fronte ad una fattispecie negoziale atipica, nella quale confluiscono aspetti propri della vendita e dell’appalto di servizi.

 

Rimozione del vincolo di destinazione alberghiera

Il vincolo di destinazione alberghiera non può essere rimosso oltre il limite della percentuale massima di superficie netta destinabile ad unità abitative (40% del totale della superficie destinata alle camere). Il vincolo di destinazione può essere rimosso su richiesta del proprietario della struttura alberghiera in cui viene ad essere esercitato il condhotel, previa restituzione dei contributi, nonché delle agevolazioni pubbliche eventualmente concesse, ove lo svincolo venga realizzato prima della scadenza del finanziamento agevolato cui ha diritto chi si propone di realizzare un condhotel.

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