25 Settembre 2023

Assoggettamento a TARI dei magazzini: la parola al Consiglio di Stato

Roberta Tomassetti

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Abstract

Arriva al massimo grado della giurisdizione amministrativa l’annosa questione della nuova nozione di rifiuti urbani - di cui all’art. 183, lett. b ter) del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 – con particolare riguardo all’assoggettabilità a TARI delle aree della lavorazione industriale.

Ed infatti, con la sentenza del 26 giugno 2023 n. 6266 la sezione V del Consiglio di Stato si sofferma nello specifico sul perimetro di legittimità dei regolamenti comunali in materia di TARI nella parte in cui disciplinano i presupposti di riconoscimento dell’esclusione dall’assoggettamento a tassa delle aree industriali e delle aree connesse alle industriali (tra cui i magazzini).

L’articolo, ricostruiti i tratti fondamentali della questione, si sofferma sulla recentissima sentenza del Consiglio di Stato e sui principali assunti in diritto dalla stessa formulati.

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PREMESSA

Approfondiamo il tema dell’assoggettamento a TARI dei magazzini di semilavorati e prodotti finiti per vedere per la prima volta confermato in Consiglio di Stato un principio in via di consolidamento a livello di giurisprudenza TAR: l’illegittimità dei regolamenti TARI che prevedono sic et simpliciter l’assoggettamento a TARI dei magazzini contenenti semilavorati e prodotti finiti.

Nondimeno, l’occasione è utile anche per ragionare sugli esiti del primo pronunciamento del supremo consesso amministrativo sulla nuova nozione di rifiuti urbani con particolare riguardo ai cd. rifiuti urbani provenienti da altre fonti, nozione che, potenzialmente, porta con sé diverse problematiche interpretative con particolare riguardo ai rapporti con la disciplina in materia di TARI.

Ma procediamo con ordine partendo dalla motivazione della sentenza.

La sezione V del Consiglio di Stato nella sentenza 26 giugno 2023 n. 6266 tratta congiuntamente diversi motivi di impugnazione sottoposti alla sua attenzione – per connessione e stretta interdipendenza – affrontando sostanzialmente due questioni:

  1. La prima riguarda la legittimità del regolamento TARI nella parte in cui richiede ai fini dell’esclusione del tributo, anche per le aree industriali e le aree connesse a queste, la dimostrazione della produzione di rifiuti speciali;
  2. La seconda riguarda la legittimità del regolamento nella parte in cui dispone che sono comunque assoggettati a TARI i magazzini di semilavorati e prodotti finiti.

 

SULLE AREE INDUSTRIALI E LA DIMOSTRAZIONE DI PRODURRE RIFIUTI SPECIALI

Per ciò che concerne il primo profilo il Consiglio di Stato, a seguito di una breve analisi del contenuto del regolamento, in via preliminare conferma una serie di assunti interpretativi sulla nuova nozione di rifiuti urbani, per il vero di grande interesse, sottolineando come:

  1. “E’ da ritenersi corretta (e, invero, in sé pacifica) la deduzione dell’appellante in ordine al fatto che le aree o locali destinate specificamente alla produzione e attività di lavorazione industriale siano generative di rifiuti speciali e, come tali, sottratte al prelievo Tari”.
  2. “Può dunque ritenersi pacifico (e, peraltro, incontestato) che le aree e locali destinate ad attività di lavorazione industriale sfuggono ex se al prelievo Tari, in quanto produttive di rifiuti speciali”.
  3. “Il che non toglie, come pure pacifico fra le parti, che le parti di aree o locali, pur riconducibili a sede di un’industria, che siano destinate ad attività diverse dalle «lavorazioni industriali» ex art. 184, comma 3, lett. c), cit. (quali, ad es., mense, uffici, spogliatoi, o locali a questi connessi), in quanto produttive di rifiuti urbani ben soggiacciono al prelievo Tari, integrando il presupposto di cui all’art. 1, comma 641, l. n. 147 del 2013 (e art. 238, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006), e non già quello dell’esclusione di cui al successivo comma n. 649, primo periodo (rileva, a tal fine, l’art. 184, comma 3, lett. c), cit., ove definisce i rifiuti speciali quali rifiuti prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali «se diversi da quelli di cui al comma 2», e cioè da quelli urbani”.

Nondimeno, secondo il Supremo Consesso è proprio in ragione di questi assunti che emergerebbe come le doglianze proposte dall’appellante siano in parte infondate, giacché il Regolamento impugnato, a una corretta lettura, non risulterebbe discostarsi dai principi e regole sopra richiamati.

In tale quadro la parte certamente più rilevante – e problematica – della sentenza è quella dedicata al rapporto tra la nuova nozione di rifiuti urbani con particolare riguardo all’esclusione delle attività industriali dalle aree capaci di produrre rifiuti urbani e l’onere di dimostrazione di produzione e avvio a smaltimento di rifiuti speciali previsto dalla legge TARI ai fini dell’esclusione dell’area da quelle assoggettabili a tributo.

Nella specie, i Giudici richiamano l’art. 8, comma 7 del Regolamento impugnato il quale prevede che “Nella determinazione della superficie dei locali e delle aree scoperte assoggettabili alla TARI non si tiene conto di quella parte delle stesse dove si formano, in via continuativa e nettamente prevalente (o esclusiva), rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che gli stessi dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente”.

La regola così fissata secondo i Giudici è ben sovrapponibile a quella di cui al citato art. 1, comma 649, primo periodo, l. n. 147 del 2013, in sé non superata dalla nuova normativa secondo cui «Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente»), inclusa la condizione, prevista dalla stessa legge, che per fruire dell’esenzione i produttori di rifiuti speciali debbano «dimostr[arne] l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente» (art. 1, comma 649, ultima parte del primo periodo).

Invero, secondo il Consesso dal sistema regolamentare oggetto di analisi “Se ne ricava un regime positivo che, a una lettura sistematica e teleologicamente orientata, non viola di suo le norme primarie, assoggettando a prelievo - per come il Regolamento va letto - le sole aree e locali che generano rifiuti urbani, con esclusione di quelle produttive di rifiuti speciali (fra cui rientrano quelli «prodotti nell’ambito delle lavorazioni industriali»)”.

Per le ragioni su esposte il ricorso viene considerato parzialmente infondato.

Ebbene, alcune osservazioni risultano allo stato doverose. Infatti, alla luce di una normativa di legge che, come osservato dal Consesso, prevede una impossibilità ex lege per le aree industriali e connesse di produrre rifiuti urbani ci si domanda se non sarebbe più corretto considerare - a differenza di quanto sostenuto in sentenza - la disposizione di cui all’art. 1 comma 649, ultima parte del primo periodo della L. TARI sostanzialmente non più applicabile alle aree industriali.

Ed infatti, in primo luogo non si comprende quale sia il senso di attestare l’effettiva produzione di rifiuti speciali per aree che non sono più normativamente capaci di produrre rifiuti diversi da quelli speciali.

Ulteriormente, sembrerebbe opportuna la positivizzazione nei regolamenti della non obbligatorietà della dimostrazione di produzione di rifiuti speciali quantomeno in considerazione del fatto che, come noto, la normativa TARI si basa su di una presunzione di produzione di rifiuto urbano, presunzione che nel caso di specie non dovrebbe operare.

 

SULL’ASSOGGETTAMENTO A TARI DI MAGAZZINI DI SEMILAVORATI E PRODOTTI FINITI

Sotto diverso profilo la sentenza del Consiglio di Stato in commento arriva invece ad un accoglimento del ricorso. Il riferimento corre alla disciplina del regolamento impugnato con riferimento ai magazzini di semilavorati e di prodotti finiti.

Più nello specifico, il provvedimento locale in contestazione dispone che “L’esclusione si estende alla porzione di superficie dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali; resta fermo l’assoggettamento alla tassa delle restanti porzioni superfici e dei magazzini destinati allo stoccaggio di prodotti finiti e di semilavorati e comunque delle superfici produttive di rifiuti urbani”.

Invero, secondo i giudici alla luce della nozione di rifiuto speciale ormai accolta dal legislatore (art. 184, comma 3, lett. c), d.lgs. n. 152 del 2006), anche il magazzinaggio di prodotti finiti e semilavorati nell’ambito di lavorazioni industriali ben può farsi rientrare nel quadro delle attività sottratte al prelievo Tari (pertanto secondo gli stessi “risulta illegittima la limitazione delle esenzioni in tal senso ai soli magazzini di materie prime o merci, nei termini suindicati, con esclusione sic et simpliciter di quelli relativi a prodotti finiti e semilavorati”.

Nondimeno, resta fermo secondo i giudici che “anche per i locali di magazzino devono trovare applicazione i presupposti dichiarativi e dimostrativi dell’esenzione, ai sensi dell’art. 8, comma 9 nei termini suindicati (i.e., indicazione del locale e dimostrazione del corretto smaltimento del rifiuto speciale prodotto)”.

In tale prospettiva, il Regolamento e relativi atti approvativi vengono dichiarati illegittimi e annullati.

 

CONCLUSIONI

Il Consiglio di Stato conferma l’orientamento, espresso ormai da diversi tribunali Amministrativi secondo cui sono contrari alla normativa di legge i regolamenti TARI che – a seguito dell’introduzione della nuova nozione di rifiuti urbani - assoggettano comunque a tassa i magazzini di stoccaggio, sia quelli utilizzati per le materie prime e le scorte, sia quelli per i prodotti finiti, sebbene strettamente connessi al “ciclo produttivo”, essendo gli stessi idonei a produrre rifiuti (solo) industriali.

Invero, il Consesso ribalta uno dei pochi pronunciamenti sull’argomento che finora avevano avuto segno contrario rispetto al descritto orientamento ovvero la pronuncia del TAR Campania 2928/2022.

Rimane tuttavia necessario, secondo il Consiglio di Stato, per il contribuente che voglia usufruire dell’esenzione, non solo dichiarare le aree della lavorazione industriale e le aree connesse ma anche dimostrare in concreto la produzione di rifiuti speciali e ciò nonostante il fatto che la normativa del Codice dell’Ambiente non lasci spazio ad una possibile produzione di rifiuti urbani nelle aree industriali e nelle aree connesse.

Ebbene, proprio in ragione di tale presunzione ex lege, a giudizio di chi scrive potrebbe considerarsi sufficiente sul punto la dimostrazione della tipologia di area – più che della tipologia di rifiuti prodotti.

 

APPROFONDIMENTI [ADV]

La disciplina sulla TARI ha subito sostanziali modifiche a seguito della riforma alla definizione di rifiuti urbani per opera del D.lgs. 116 del 2020. Diversi i contrasti interpretativi tra operatori pubblici e privati che ne sono scaturiti. Chiarimenti normativi e istruzioni pratiche per verificare la correttezza dell'applicazione della tariffa, le regole per l'uscita dal servizio e gli orientamenti forniti dalla giurisprudenza e dall'AGCM verranno forniti in un webinar gratuito organizzato da Ambiente Legale e Unirima.

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