26 Giugno 2018

Il caso Foodora. Autonomia e subordinazione ai tempi della Gig Economy

EZIO MORO

Immagine dell'articolo: <span>Il caso Foodora. Autonomia e subordinazione ai tempi della Gig Economy</span>

Abstract

Pubblicate le motivazioni della sentenza del Tribunale di Torino nella causa intentata da alcuni riders nei confronti di Foodora.

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Il 7 maggio 2018 sono state pubblicate le motivazioni della sentenza del Tribunale di Torino sul caso Foodora, che tanta eco ha avuto nelle cronache nazionali e che ha acceso i riflettori sulle condizioni di lavoro degli addetti alla cosiddetta Gig Economy (o sharing economy).

Il Giudice del Lavoro ha ritenuto che i riders della nota società, che gestisce un’applicazione che consente di ordinare pasti ai ristoranti e di farseli comodamente recapitare a domicilio, sono a tutti gli effetti lavoratori autonomi e non subordinati.

Immancabili le polemiche circa le condizioni di lavoro di questi fattorini 2.0 e la loro precarietà, posto che la società può, di fatto, estrometterli dal lavoro semplicemente “bannandoli” dalla piattaforma multimediale utilizzata per l’organizzazione del servizio.

Ma la sentenza del Tribunale di Torino merita le critiche ricevute (la maggior parte peraltro giunte ancor prima che se ne potessero leggere le motivazioni)?

Prima di cercare di dare delle risposte a tali interrogativi ripercorriamo i motivi del contendere.

Il caso

Alcuni riders di Foodora, deducendo di avere prestato la propria attività lavorativa a favore della società con mansioni di fattorino in forza di contratti di collaborazione coordinata e continuativa a tempo determinato prorogati fino al 30.11.2016 hanno, tra le altre domande, contestato la natura autonoma del rapporto di lavoro effettivamente intercorso tra le parti ed hanno chiesto l’accertamento della costituzione tra le parti di un ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa

Il Tribunale, alla luce della documentazione agli atti e dell’attività istruttoria svolta, ha ricostruito l’organizzazione del lavoro e le modalità di svolgimento della prestazione da parte dei riders:

  • i lavoratori avevano sottoscritto dei contratti di “collaborazione coordinata e continuativa” nei quali si è dato atto che “il collaboratore agirà in piena autonomia, senza essere soggetto ad alcun vincolo di subordinazione, potere gerarchico o disciplinare, ovvero a vincoli di presenza o di orario di qualsiasi genere nei confronti della committente”;
  • era previsto che il lavoratore fosse “libero di candidarsi o non candidarsi per una specifica corsa a seconda delle proprie disponibilità ed esigenze di vita”;
  • il lavoratore si impegnava ad eseguire le consegne avvalendosi di una bicicletta di sua proprietà;
  • quanto alle concrete modalità di svolgimento dell’attività, il lavoratore, una volta candidatosi per una corsa, si impegnava ad effettuare la consegna tassativamente entro 30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo, pena applicazione a suo carico di una penale di 15 euro;
  • il compenso era stabilito in € 5,60 al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali per ciascuna ora di disponibilità;
  • la committente doveva affidare al collaboratore in comodato gratuito un casco da ciclista, un giubbotto e un bauletto dotato dei segni distintivi dell’azienda a fronte di un versamento di una cauzione di € 50;
  • la gestione del rapporto avveniva attraverso la piattaforma multimediale ed un applicativo per smartphone, per il cui uso venivano fomite da Foodora delle apposite istruzioni;
  • l’azienda pubblicava settimanalmente sulla piattaforma gli “slot”, con indicazione del numero di riders necessari per coprire ciascun turno;
  • ciascun rider poteva dare la propria disponibilità per i vari slot in base alle proprie esigenze personali, ma non era obbligato a farlo;
  • raccolte le disponibilità, il responsabile confermava tramite la piattaforma ai singoli riders l’assegnazione del turno;
  • ricevuta la conferma del turno, il lavoratore doveva recarsi all’orario di inizio del turno in una delle tre zone di partenza predefinite, attivare l’applicativo inserendo le proprie credenziali per effettuare il login ed avviare la geolocalizzazione (GPS);
  • il rider poteva anche revocare la propria disponibilità su un turno già confermato dalla società utilizzando la funzione c.d. “swape potevano anche non presentarsi a rendere la prestazione senza alcuna comunicazione preventiva (c.d. “no show”): in tali casi l’azienda non adottava alcuna sanzione disciplinare;
  • il rider riceveva quindi sulla app la notifica dell’ordine con l’indicazione dell’indirizzo del ristorante;
  • accettato l’ordine, il rider doveva recarsi con la propria bicicletta al ristorante, prendere in consegna i prodotti, controllarne la corrispondenza con l’ordine e comunicare tramite l’apposito comando dell’app il buon esito della verifica;
  • A questo punto, posizionato il cibo nel box, il rider doveva provvedere a consegnarlo al cliente, il cui indirizzo gli era stato nel frattempo comunicato tramite la app.; doveva quindi confermare di avere regolarmente effettuato la consegna.

Lavoro autonomo o subordinato?

Sulla base di quanto accertato circa le concrete modalità di svolgimento della prestazione e di organizzazione del servizio il Tribunale ha, dunque, ritenuto la natura genuina e non fittizia dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.

E ciò per la fondamentale e di per sé dirimente considerazione che il rapporto di lavoro intercorso tra le parti era caratterizzato dal fatto che i lavoratori non avevano l’obbligo di effettuare la prestazione lavorativa e il datore di lavoro non aveva l’obbligo di riceverla.

I riders, infatti, potevano liberamente decidere quando dare la propria disponibilità per uno dei turni indicati da Foodora, ma non erano obbligati a farlo; a sua volta Foodora poteva accettare la disponibilità data dai ricorrenti e inserirli nei turni da loro richiesti, ma poteva anche non farlo.

Ciò esclude, secondo la sentenza, la sottoposizione dei ricorrenti al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro perché è evidente che se il datore di lavoro non può pretendere dal lavoratore lo svolgimento della prestazione lavorativa non può neppure esercitare il potere direttivo e organizzativo.

A tale riguardo il Tribunale richiama un risalente, ma univoco, insegnamento della Corte di Cassazione, quando si era pronunciata in merito ai pony express, qualificati come lavoratori autonomi, i quali si occupavano, utilizzando mezzi di trasporto di loro proprietà, della consegna di plichi: la Corte aveva allora affermato che proprio la “non obbligatorietà” della prestazione lavorativa escludeva in radice la subordinazione perché “la configurabilità della “eterodirezione” contrasta con l’assunto secondo cui la parte che deve rendere la prestazione può, a suo libito, interrompere il tramite attraverso il quale si estrinseca il potere direttivo dell’imprenditore ” (Cass. 7608/1991 e 811/1993).

Nel caso di specie, così ha ritenuto il Tribunale di Torino, il datore di lavoro esercitava solamente funzioni di coordinamento e non vi era, al contrario, subordinazione intesa quale “vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di ordini specifici, oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative” (tra le tante, Cass. 8.2.2010 n.2728).

Il Tribunale non ha poi mancato poi di analizzare la portata dell’art. 2 del D.Lgs. 81/2015 (c.d. jobs act) secondo cui “a far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.

Tale norma, a detta del Tribunale, non ha un contenuto capace di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro. La norma dispone, infatti, che sia applicata la disciplina del rapporto di lavoro subordinato qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro: è quindi necessario che il lavoratore sia pur sempre sottoposto al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro e non è sufficiente che tale potere si estrinsechi soltanto con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro perché deve al contrario riguardare anche questi ultimi.

Così come è stata formulata, conclude il Tribunale, la norma viene quindi ad avere addirittura un ambito di applicazione più ristretto di quello dell’art.2094 c.c..

Il Tribunale ha, quindi, rigettato le domande svolte dai ricorrenti.

Conclusioni

È lo stesso Giudice del Lavoro a premettere in sentenza di non avere preso in considerazione, a fondamento della propria decisione, le questioni relative all’adeguatezza del compenso e al presunto sfruttamento dei lavoratori da parte dell’azienda, né tutte le altre complesse problematiche della c.d. Gig Economy.

Da un punto di vista prettamente giuridico mi pare si tratti di una sentenza che, per quanto motivata con estrema chiarezza e linearità, non sia particolarmente innovativa.

Mi spiego meglio: la sentenza di Torino si pone in linea con i generali criteri di distinzione tra autonomia e subordinazione, da tempo declinati dalla giurisprudenza anche di Cassazione.

Non a caso il Giudice ha richiamato sentenze della Cassazione che si erano pronunciate sull’analoga questione dei pony express, risalenti a tempi in cui (anni ‘80 e ‘90) molti degli attuali riders con i caschi rosa neppure erano nati.

A mio sommesso avviso, però, il problema sta a monte: “lavoretti” che dovrebbero essere svolti da giovani studenti che per le prime volte si affacciano sul mondo del lavoro nei ritagli di tempo tra un esame e l’altro per arrotondare la paghetta settimanale elargita dai genitori, troppo spesso costituiscono l’unico sbocco di lavoro e sostentamento per lavoratori, ormai adulti e che da tempo sono usciti dal loro ciclo di studi.

Una risposta al più che legittimo senso di insicurezza ed incertezza di questi lavoratori non la potranno dare i Tribunali con le sentenze, ma tutti quei soggetti (politica, istituzioni, parti sociali) che dovrebbero avere la responsabilità di realizzare o favorire le condizioni per un mercato del lavoro sano e dinamico in cui le possibilità di lavoro create dalla Gig Economy si aggiungano, senza sostituirsi, ai lavori più tradizionali e meglio retribuiti e tutelati.

Il tema è stato posto tra le priorità del nuovo Governo; alcune Regioni (Lazio) hanno approvato proposte di legge ragionali a tutela dei riders; vedremo se tali iniziative raggiungeranno il dichiarato obiettivo di meglio tutelare i riders oppure se faranno “scappare” le aziende da poco sbarcate in Italia.

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