11 Maggio 2022

M&A: clausola "sandbagging" e "anti-sandbagging", intelligenza artificiale e "conoscenza aumentata" delle parti

GUIDO TESTA

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Abstract

Il presente articolo propone una breve panoramica circa l’allocazione dei rischi, tra acquirente e venditore, conseguenti alla violazione delle dichiarazioni e garanzie rilasciate dal venditore nell’ambito di un’operazione di acquisizione di partecipazioni sociali. La questione fondamentale è, quindi, la conoscenza delle parti in merito alle circostanze dalle quali è scaturito un danno per la società target e, indirettamente, per l’acquirente, alla luce dell’utilizzazione da parte di quest’ultimo, in fase di due diligence, di strumenti tecnologici fortemente innovativi e pionieristici in ambito legale, quali l’intelligenza artificiale e il machine learning.

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Clausole di Sandbagging e Anti-Sandbagging, cosa sono

Nel gioco del golf un “sandbagger” è una persona che finge di essere un giocatore peggiore di quello che effettivamente è, al fine di trarre vantaggio guadagnando ulteriori punti di handicap e aumentare così le sue chance di vittoria.

Nelle operazioni di M&A, il termine “sandbagging” è comunemente usato per riferirsi ad una clausola contrattuale in forza della quale l’acquirente ha il diritto di (i) contestare la violazione di una dichiarazione o garanzia contenuta in uno SPA (il contratto di compravendita di partecipazioni sociali), e (ii) richiedere il pagamento del relativo indennizzo al venditore, sebbene:

  1. l’acquirente stesso fosse a conoscenza – in conseguenza della due diligence – della circostanza che ha originato il danno e, quindi,
  2. del fatto che tale particolare dichiarazione o garanzia non fosse vera (e, dunque, fosse violata dal venditore) già al momento del signing o al momento del closing dell’operazione.

Le dichiarazioni e garanzie – e le correlate clausole di indennizzo – sono tra le disposizioni più strenuamente negoziate nelle operazioni M&A.

Il sandbagging rappresenta, pertanto, uno dei terreni principali di scontro tra venditore e acquirente: il primo cercherà di limitare la portata, la durata e l’ammontare dei propri obblighi di indennizzo; il secondo cercherà di espandere, il più possibile, i suoi diritti di indennizzo. Conseguentemente, l’acquirente propenderà per l’inclusione, nello SPA, di una clausola “sandbaggingo “pro sandbagging”, mentre il venditore per una clausola “anti sandbagging”.

A tal fine, l’acquirente cercherà di negoziare e ottenere un diritto all’indennizzo post closing per le eventuali violazioni delle dichiarazioni e garanzie rilasciate dal venditore, a prescindere dal fatto che l’acquirente stesso abbia avuto o meno conoscenza di tali violazioni o dal fatto che una particolare dichiarazione o garanzia non fosse vera al signing o al closing. A questo proposito, si potrebbe prevedere nello SPA una clausola dalla seguente portata:

I diritti dell’acquirente all’indennizzo o a qualsiasi altro rimedio ai sensi del presente contratto non saranno influenzati o limitati da qualsiasi conoscenza che l’acquirente ha acquisito o avrebbe potuto acquisire a seguito delle attività di due diligence condotte dall’acquirente stesso. Il venditore riconosce che, indipendentemente da qualsiasi indagine o attività di due diligence condotta da o per conto dell’acquirente e indipendentemente dai risultati di tali indagini o attività di due diligence, l’acquirente ha stipulato il presente contratto facendo esplicito affidamento sulle dichiarazioni e garanzie del venditore.”.

Il venditore cercherà, invece, di negoziare e ottenere una previsione che impedisca all’acquirente di essere indennizzato per la violazione di qualsiasi dichiarazione o garanzia di cui l’acquirente fosse a conoscenza prima del signing o del closing. A questo proposito, si potrebbe prevedere nello SPA una clausola dalla seguente portata:

L’acquirente riconosce e accetta di aver avuto l’opportunità di condurre, sulla società, un’indagine approfondita e una completa attività di due diligence e che il venditore non potrà essere, in nessun caso, considerato responsabile nei confronti dell’acquirente per la violazione di qualsiasi dichiarazione o garanzia prevista in questo contratto, nella misura in cui l’acquirente fosse a conoscenza di tale violazione al momento del signing o del closing.”.

 

La “conoscenza” delle parti

L’art. 1491 del Codice civile stabilisce che, ogniqualvolta l’acquirente sia a conoscenza dei vizi della res al momento della sottoscrizione del contratto, o i vizi siano comunque facilmente riconoscibili, non è dovuta la relativa garanzia da parte del venditore. È, quindi, evidente come la definizione di conoscenza assuma un’importanza fondamentale, nonostante in genere le parti tendano ad escludere l’applicazione dei rimedi di legge allo SPA.

Le attività di due diligence, del resto, contribuiscono alla definizione della “conoscenza” delle parti, in quanto è proprio a tali attività e alla portata che le stesse assumono (in termini di tempo e argomenti) cui l’acquirente e il venditore faranno riferimento per negoziare e delineare i livelli di conoscenza o conoscibilità al fine di delimitare o ampliare l’operatività delle dichiarazioni e garanzie.

Nelle operazioni di M&A, il diritto all’indennizzo è spesso limitato alla conoscenza di criticità acquisita dall’acquirente durante la fase di due diligence. Ne consegue che il contenuto e la definizione del termine “conoscenza” assume un ruolo dirimente nella distribuzione del rischio tra acquirente e venditore. Come noto, spesso gli operatori di M&A negoziano con molta attenzione e combattività i concetti e le definizioni di “conoscenza effettiva” o di “conoscenza presunta” o, ancora, di “conoscenza di un operatore esperto” e così via... La definizione di “conoscenza” nei contratti di acquisizione può circoscrivere la portata delle dichiarazioni e garanzie del venditore e, quindi, limitare i diritti di indennizzo dell’acquirente.

 

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella due diligence

I sistemi di intelligenza artificiale e le tecnologie di apprendimento automatico (il machine learning) stanno facendo il loro (in Italia, timido) ingresso anche nel mondo legale, dell’M&A e delle operazioni straordinarie in genere (come, ad esempio, le due diligence su “pacchetti” di UTP, NPL e via dicendo).

L’adozione di bot (e quindi di un sofisticato software ad hoc) nella fase di due diligence può essere efficiente e permettere la riduzione dei tempi di tale fase, molto delicata anche con riferimento agli iniziali rapporti tra le parti.

Cosa sono questi bot: si tratta di un sistema informatico che, grazie all’intelligenza artificiale e ad una tecnologia di apprendimento automatico, classifica e organizza i documenti per tipologia, diritto applicabile, lingua e numerosi altri criteri, come ad esempio presenza o meno di determinate disposizioni rilevanti per l’acquirente o comunque per l’operazione in questione.

I vantaggi nell’utilizzo di tali tecnologie sono svariati quali, ad esempio: maggiore efficienza/accuratezza e risparmio in termini di tempo.

Tuttavia, le criticità e i problemi non sono pochi. Infatti, il mercato italiano dell’M&A e del Private Equity, in particolare, è composto prevalentemente da piccole  e medie imprese che, ad oggi, non sono ancora aggiornate per quanto riguarda una perfetta digitalizzazione e uniformità di documentazione nei propri archivi, rendendo così difficoltoso l’utilizzo di tali tecnologie all’avanguardia.

 

La “conoscenza aumentata”

Grazie all’uso di tali tecnologie innovative si potrebbe parlare di “conoscenza aumentata” delle parti e, di tale particolare tipo di conoscenza si dovrebbe tener conto ai fini della redazione e dell’interpretazione di alcune clausole nei contratti di acquisizione, quali, ovviamente, quelle relative alle dichiarazioni e garanzie ed agli obblighi di indennizzo.

Riallacciandosi, quindi, a quanto si diceva in merito di “conoscenza” (cfr. punto 2), il risultato di un contenzioso su “effettiva conoscenza” o su “conoscenza presunta” potrebbe essere risolto, ad esempio, alla luce dell’uso di particolari tecnologie di analisi di dati e, in questo caso, la  “conoscenza aumentata artificialmente” potrebbe portare a decidere che una passività, che in passato poteva legittimamente sfuggire ad un “acquirente diligente”, ma non supportato da queste nuove tecnologie, sia invece una criticità nota (o presunta tale) da un “acquirente diligente” che abbia impiegato l’intelligenza artificiale a supporto delle attività di due diligence.

Nel prossimo futuro ci troveremo, quindi, sempre più spesso a dover affrontare situazioni in cui l’acquirente tenda a definire la sua conoscenza come la conoscenza di un “acquirente medio” (non dotato di una soluzione di intelligenza artificiale), mentre il venditore sostenga l’uso fatto dall’acquirente di strumenti basati sull’intelligenza artificiale al fine di allargare l’ambito di applicazione della conoscenza presunta dell’acquirente stesso.

Concludendo, siccome in molti SPA le parti non prendono posizione a proposito dell’impatto che la conoscenza può avere sui diritti di indennizzo, gli operatori saranno chiamati ad affrontare situazioni in cui la “conoscenza aumentata” potrebbe essere utilizzata dal venditore per dimostrare che l’acquirente avrebbe potuto ragionevolmente conoscere (o addirittura conosceva) una determinata passività, o ancora, che l’analisi automatizzata fatta nel corso della due diligence dall’acquirente è prova dell’effettiva conoscenza dello stesso al momento del signing o del closing.

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