02 Maggio 2023

Comportarsi da Avvocato senza aver conseguito la relativa abilitazione è truffa e non anche abusivo esercizio della professione

ATTILIO VILLA

Immagine dell'articolo: <span>Comportarsi da Avvocato senza aver conseguito la relativa abilitazione è truffa e non anche abusivo esercizio della professione</span>

Abstract

Commento a Cass. Pen., Sez. II, sentenza 25.04.2023 n. 3111.

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione, accogliendo i relativi motivi di ricorso, delimitato il campo delle attività da considerarsi tutelate al compimento delle quali da parte di soggetto non abilitato si realizza la condotta del reato di abusivo esercizio della professione di avvocato.

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La fattispecie all’esame della Suprema Corte

Tizio, simulandosi avvocato ed associato allo studio legale del suo ex dominus e approfittando dell’esistenza di mandati professionali che le persone offese avevano in precedenza conferito al legale, continuava ad accreditarsi come avvocato nonostante la collaborazione fosse cessata e a tenere continuamente i rapporti con i clienti dai quali riceveva un compenso per l’instaurazione di procedimenti civili mai in realtà introdotti.

I Giudici di merito condannavano Tizio per il reato di truffa e di abusivo esercizio della professione; la Corte di Cassazione con la sentenza in commento riteneva non sussistente l’ipotesi di cui all’art. 348 c.p., conformemente ai relativi motivi di ricorso, ed annullava senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente a detto reato perché il fatto non sussiste.

 

Il ragionamento giuridico contenuto nella sentenza

A parere della Corte di Cassazione il reato di abusivo esercizio della professione pur comprendendo il reato anche gli atti professionali non strettamente riservati (quali appunto il patrocinio in giudizio), purché strumentalmente connessi ad essi a condizione che vengano compiuti in modo continuativo e professionale, non sussisterebbe giacché Tizio non avrebbe esercitato le prerogative riferibili alla professione di avvocato avendo egli tenuto quel comportamento al solo fine di avvalorare il raggiro inizialmente realizzato al fine di ottenere continui indebiti versamenti. Nel caso di cui si verte, secondo i Giudici di legittimità, non vi sarebbe stata la lesione dell’interesse pubblico all’impedire lo svolgimento di attività da parte di soggetti privi della necessaria ideoneità.

 

L’interpretazione della norma dell’art. 348 c.p.

L’articolo in esame punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da € 10.000,00 a € 50.000,00 chiunque esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato.

Trattasi quindi di reato comune collocato, nella sistematica codicistica, nell’ambito dei delitti dei privati contro la Pubblica Amministrazione: proprio per tale motivo la giurisprudenza ha rilevato come la stessa Pubblica Amministrazione, e non i singoli Ordini professionali, è la titolare del pubblico interesse ed è quindi la persona offesa del reato, salva la possibilità per gli Ordini ed i singoli danneggiati di potersi costituire parti civili nell’instaurato procedimento penale.

Quanto alla condotta materiale, la Giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “costituisce esercizio abusivo della professione il compimento senza titolo, anche occasionalmente e gratuitamente, di atti attribuiti in via esclusiva a una determinata professione così come il compimento di atti che pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione es eseguiti con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare le oggettive apparenze di un’attività professionale” (cfr. da ultimo Cass. Sez. VI, 28.02.2022 n. 7053 e Cass. SS.UU., 23.03.2012 n. 11545).

L’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico sicché è sufficiente la coscienza e volontà di porre in essere atti connessi ad una professione tutelata.

 

La novità della sentenza in questione e le osservazioni critiche che possono muoversi a tale interpretazione normativa

Esaminando la giurisprudenza di merito e di legittimità formatasi sull’art. 348 c.p., che ovviamente comprende la tutela di diverse professioni, si deve osservare come la stessa non paia particolarmente severa nell’analisi dei casi di abusivo esercizio della professione legale.

Ed anche la sentenza in esame si situa in tale particolare solco interpretativo.

I Giudici della seconda sezione penale della Corte di Cassazione fanno proprio ed adeguano ai principi della professione legale la sentenza delle Sezioni Unite del 15.12.2011 (resa in tema di abusivo esercizio della professione di commercialista) ove la condotta materiale del reato è stata ritenuta sussistente solo in relazione ad attività di “competenza” specifica di una professione.

Nel solco di tale esegesi normativa, la sentenza de quo esclude la sussistenza del reato in capo al ricorrente evidenziando come de attività svolte non fossero ricollegabili alle attività esclusive connesse alla professione di avvocato, tanto più che la volontà del soggetto agente escludeva il compito di atti legali –che infatti non aveva compiuto- avendo come solo fine il conseguimento dell’indebito vantaggio economico.

Sebbene la soluzione del caso concreto sia condivisibile, tuttavia alcune perplessità sussistono nell’iter argomentativo, sotto due profili.

La sentenza fa riferimento alla necessità di tutelare l’interesse pubblico a evitare che soggetti non idonei svolgano un’attività per la quale occorra il possesso di una abilitazione. Ed è proprio tale interesse a cui si deve far riferimento come parametro comportamentale per l’applicazione della norma: come evidenziato da una recente sentenza di legittimità (cfr. Cass. Pen., Sez. II, 17.06.2016 n. 38752), l’interesse tutelato dalla norma -l’esercizio di determinate professioni solo da chi, sulla scorta di qualità morali e culturali, ha conseguito una speciale abilitazione– si estende soltanto agli atti propri o tipici della professione, in quanto agli stessi riservati in via esclusiva.

In secondo luogo, proprio in ragione dell’esplicita modalità di tutela del bene giuridico come evidenziato, andava valorizzata l’assoluta assenza dell’elemento soggettivo: Tizio non solo non ha compiuto alcuno degli atti tipici della professione di avvocato, ma neppure ne aveva l’intenzione proprio in ragione dello scopo illecito che si era prefigurato nel momento della sostituzione all’originario dominus.

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