08 Novembre 2019

Il contratto di mutuo ipotecario stipulato con la banca ad estinzione di pregressi debiti chirografari

MARCO VISCONTI

Immagine dell'articolo: <span>Il contratto di mutuo ipotecario stipulato con la banca ad estinzione di pregressi debiti chirografari</span>

Abstract

Non produce effetto novativo il mutuo ipotecario stipulato in ripianamento di un pregresso debito perché la fattispecie viene a concretizzare la figura del “pactum de non petendo ad tempus “ prevista e disciplinata dall’art. 1231 c.c.

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E’ oltremodo frequente l’ipotesi in cui la banca inviti e/o imponga al proprio cliente di stipulare un contratto di mutuo ipotecario per ripianare una posizione debitoria precedente, quale potrebbe essere, ad esempio, un finanziamento od uno scoperto di conto corrente, di natura chirografaria.

Il mutuo, prototipo dei contratti di credito, è preso in esame dall’art. 1813 del codice civile, che così recita: “il mutuo è il contratto col quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e quantità”.

Il legislatore del 1942 definisce, quindi, il mutuo come contratto reale, conservando continuità con la tradizione romanistica, intaccata, invece, nella vigenza dei codici precedenti.

E’ di tutta evidenza, quindi, che allorquando il mutuo interviene solo e specificamente per ripianare un pregresso debito, viene a mancare la cd. “traditio”, ovvero la materiale consegna del denaro dal mutuante al mutuatario, che conseguentemente non ne può acquistare la proprietà, invece prevista dal successivo art. 1814 c.c. che, per l’appunto, dice: “le cose date a mutuo passano in proprietà del mutuatario”.

Quando, come nel caso in esame, le somme oggetto del mutuo non entrano mai nella effettiva disponibilità del mutuatario, ovvero, diversamente argomentando, non si muovono dal patrimonio del mutuante a quello del mutuatario, è di tutta evidenza il profilo di illegittimità del contratto, per cui non si può neppure ipotizzare la sussistenza dell’obbligo di restituzione previsto nella parte finale dell’art. 1813 c.c. che testualmente recita: “ l’altra (il mutuatario) si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e quantità”.

Sulla questione si è, di recente, occupata la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20896 del 5 agosto 2019, Presidente Di Virgilio, Relatore Dolmetta, che guarda al contratto di mutuo in questione come  “ ad una operazione di natura contabile (con una coppia di poste nel conto corrente – una in “dare”, l’altra in “avere”, per l’appunto intesa a dare corpo ed espressione ad una simile dimensione)”, perché l’assenza di erogazione di somme sul piano del fatto, porta inevitabilmente l’ operazione fuori dall’orizzonte che risulta proprio (tipologico, si potrebbe anche dire) del contratto di mutuo. Appare chiaro, in effetti, che senza il compimento di un simile passaggio, e senza, dunque, il conseguente trasferimento della proprietà delle somme (art. 1814 c.c.) con la connessa, acquisita loro disponibilità ex art. 832 c.c., non potrebbe neppure ipotizzarsi, in ogni caso, la sussistenza dell’obbligo di restituzione che la parte finale della norma dell’art. 1813 pone in capo al mutuatario”.

Le operazioni di consolidamento del debito poste in essere dalla banca con il cliente, quindi, non portando nessun trasferimento patrimoniale, sempre secondo il citato provvedimento della Corte di Cassazione “si mostrano, dunque, all’evidenza, come ipotesi che vengono a concretizzare la figura del “pactum de non petendo ad tempus”.

La qualificazione così data dagli Ermellini è estremamente importante perché, nel sistema vigente “il patto di modifica del termine di scadenza dell’obbligazione è accordo che non comporta novazione” (art. 1231 c.c.).

La Corte rileva che l’operazione di mutuo è senz’altro inefficace, essendo in violazione delle norme poste in funzione di protezione, se non altro, dei creditori del comune debitore, e comporta il venir meno del “non secondario vantaggio” di trasformare crediti chirografari in crediti ipotecari.

E’ anche vero, però, che il nuovo accordo, determinando (anche) un riposizionamento della scadenza dei debiti pregressi, porta a “spostare il là nel tempo l’esigibilità del pregresso debito”. 

Seppur molto brevemente, i Giudici di Piazza Cavour prendono in esame anche l’ipotesi in cui “la posta a credito sia di montante superiore al debito del cliente in essere sul conto”. E’ chiaro che in questi casi l’operazione, ovviamente per la sola parte del supero, “potrà iscriversi nel contesto tipologico del contratto di mutuo”, essendo per tale quota prevista e disciplinata dal nostro codice civile.

 

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