06 Aprile 2020

COVID-19: le misure a tutela dell’inadempimento nei contratti di fornitura internazionale

SARA ARMELLA

Immagine dell'articolo: <span>COVID-19: le misure a tutela dell’inadempimento nei contratti di fornitura internazionale</span>

Abstract

                                 Aggiornato al 02.04.2020

A fronte degli inevitabili inadempimenti o ritardi nelle consegne di beni oggetto di forniture internazionali, molti dei Paesi toccati dall’emergenza sanitaria stanno predisponendo, sull’esempio dell’esperienza cinese, norme e strumenti a tutela degli operatori che si trovano a dover dimostrare la situazione di forza maggiore per poterla invocare di fronte alla controparte estera.

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Nonostante l’emergenza sanitaria sia ormai diffusa a livello mondiale, il rischio di attivazione di penali e di futuri contenziosi a fronte di ritardi o inadempimenti determinati dalle misure contenitive governative, è tuttora alto. Ciò vale con particolare riferimento alle forniture internazionali extra-europee con Paesi che, al momento, hanno adottato misure restrittive di minore intensità, come ad esempio in Russia.

Al fine di consentire una maggiore tutela delle imprese italiane soggette a richieste da parte di imprese estere che minacciano penali e contenziosi per la mancata consegna o il ritardo nell’adempimento dei contratti, è attualmente al vaglio del Governo la possibilità di introdurre una norma specifica sul tema delle forniture internazionali. In particolare, si sta valutando se formulare una norma ad hoc o se predisporre un emendamento all’art. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”). Tale articolo, che secondo l’orientamento maggioritario sembrerebbe poter trovare applicazione anche al di fuori dell’ambito degli appalti pubblici (richiamati nella rubrica del medesimo articolo, forse però con riferimento alla sola disciplina di cui al secondo comma), chiarisce che il rispetto delle misure contenitive adottate dal Governo debba essere valutato ai fini dei rimedi contrattuali interni.

La norma di cui si sta ragionando, che non avrebbe alcun effetto automatico di interruzione dei rapporti contrattuali, avrebbe il merito di assistere le imprese che lavorano con l’estero, chiarendo, con valenza generalizzata, che la situazione di emergenza sanitaria e le restrizioni imposte dallo Stato italiano ai fini del contenimento della diffusione della pandemia rappresentano una causa di forza maggiore, idonea a escludere la responsabilità del debitore per inadempimento o ritardo nell’esecuzione del contratto.

Tale decisione deriva dalla necessità, sentita da più parti, di non lasciare che la prova dell’impossibilità dell’adempimento, che l’impresa è tenuta a fornire alla controparte estera, sia rimessa alla sola capacità di documentazione del singolo e di approntare, quindi, una tutela più generalizzata, come avvenuto precedentemente in Cina. Ciò in quanto non è insolito trovare clausole inserite in contratti di fornitura con l’estero che richiedano espressamente l’attestazione della situazione emergenziale al fine di invocare la clausola di forza maggiore.

Sulla scia dell’esperienza cinese, infatti, oltre alla possibile introduzione della norma o della specificazione di quella esistente, verrà previsto, per chi si trovi nella situazione di oggettiva impossibilità di adempiere, il possibile rilascio da parte delle Camere di commercio di un certificato in lingua inglese sullo stato di emergenza epidemiologica da Covid-19 e sulle restrizioni imposte dalla legge per il contenimento dell'epidemia, come confermato dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). Lo scorso 25 marzo, infatti, il MISE, preso atto delle molteplici richieste da parte delle Camere di Commercio e delle Associazioni di categoria, ha diramato una circolare a Unioncamere, CCIAA e Associazioni imprenditoriali che riconosce la possibilità per le stesse Camere di Commercio di rilasciare, alle imprese che ne facciano richiesta, dichiarazioni sullo stato di emergenza attuale, quali “documento a supporto del commercio internazionale”.

Sulla base di tale previsione, Unioncamere ha predisposto un modello di attestazione in lingua inglese per tali finalità, che è in corso di diffusione presso le singole CCIAA.

Come anticipato, l’esperienza italiana prende le mosse da quella cinese: la Repubblica popolare cinese, in quanto primo Paese colpito dall’epidemia, è stato anche il Paese precursore nell’approntare una tutela delle imprese nazionali a fronte di richieste di risarcimento danni da parte dei loro clienti dovute all’inadempimento o ritardato adempimento. Lo scorso 10 febbraio, infatti, la RPC ha adottato una norma mediante la quale ha precisato che le misure di prevenzione adottate dal Governo (limitazione del traffico, blocco o sospensione della produzione, creazione di zone rosse con interdizione agli spostamenti) rappresentano la causa di forza maggiore che ha determinato la mancata esecuzione dei contratti. Migliaia di aziende cinesi hanno, a oggi, ottenuto dal CCPIT (China Council for the Promotion of International Trade) un “certificato di forza maggiore”. Tale certificato costituisce un utile strumento in tutti i casi in cui è richiesto di fornire prova dell’incapacità di eseguire il contratto, quando questo sia disciplinato dalle leggi della RPC. Alla data dell’11 marzo scorso, secondo il China daily, la clausola di forza maggiore era stata invocata per contratti internazionali di valore superiore a 73 miliardi di dollari.

Sono anche frequenti le situazioni in cui la controparte è un’impresa statunitense e il contratto è regolato dalla legge degli Stati Uniti. Anche in questa ipotesi, il punto di partenza è rappresentato dal linguaggio utilizzato nella specifica clausola contrattuale. Nel diritto statunitense, la clausola c.d. “force majeure” solitamente copre diverse categorie di eventi, tra cui le calamità naturali, le minacce umane o gli atti di governo. Si osserva, tuttavia, che i tribunali statunitensi tendono a interpretare in modo restrittivo le clausole di forza maggiore e, in genere, considerano inclusi soltanto gli eventi espressamente elencati nel testo contrattuale. In situazioni come l’attuale, la presenza di annunci ufficiali diramati da agenzie governative o da organizzazioni non governative (come l’Organizzazione mondiale della Sanità) si ritiene che possa rappresentare una base per affermare la sussistenza di una situazione di forza maggiore.

Anche altri Paesi in Europa hanno compreso la necessità di prevedere strumenti a tutela delle imprese nazionali e, infatti, verso la direzione di Cina e Italia si stanno muovendo, attraverso le proprie Camere di Commercio competenti a rilasciare i certificati, anche Austria e Belgio.

In Spagna assistiamo alla standardizzazione della situazione emergenziale attuale quale “causa di forza maggiore” mediante l’emanazione del Real Decreto-ley 8/2020 del 17 marzo scorso, il quale prevede espressamente che la situazione di emergenza sanitaria in atto venga considerata tale, ma, al momento in cui si scrive, ciò vale con esclusivo riferimento ai contratti di lavoro.

In via generale, occorre rimarcare l’importanza di una tutela preventiva e di un’adeguata formazione interna per la gestione dei profili contrattuali del commercio internazionale. Rimane, quindi, consigliabile che le imprese rivedano attentamente le regole di forza maggiore presenti nei loro contratti, tuttavia, anche in assenza di tale clausola, l’ottenimento dello specifico certificato rilasciato dalla competente Camera di Commercio, attestante l’impossibilità di eseguire il contratto, rappresenta un valido strumento di ausilio ogniqualvolta sia necessario dimostrare la situazione di forza maggiore.

 

 

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