30 Aprile 2020

Il COVID-19: un’occasione per la riorganizzazione aziendale in termini di sicurezza

DOMENICO BUCCOLIERO

Immagine dell'articolo: <span>Il COVID-19: un’occasione per la riorganizzazione aziendale in termini di sicurezza</span>

Abstract

                                  Aggiornato al 30.04.2020

La sicurezza sul lavoro è una branca del giuslavorismo che ha interessato l’ordinamento nostrano già dall’epoca pre-repubblicana, basti pensare al fatto che l’art. 2087 c.c. (oggi parzialmente modificato) risale al codice civile del ’42 in pieno regime corporativista. Tuttavia è proprio dal secondo dopoguerra che si è tipizzato l’interesse collettivo in materia, infatti, le tutele ordinamentali traggono innanzitutto origine nell’art. 32 Cost., passando per i vari D.p.r. degli anni ’50, per la nascita dell’Assicurazione contro gli Infortuni sul lavoro e le Malattie Professionali, sino allo Statuto dei Lavoratori (1970) e al celebre D.lgs. 626/94 (poi abrogato).  Infine, nel periodo recente si è manifestata la necessità di sistematizzazione della disciplina, concretizzatasi con il “tentativo” di codificazione rappresentato dal D.lgs. n. 81 del 9 Aprile del 2008, il c.d. Testo unico in materia di salute e sicurezza negli ambienti di lavoro.

Cionondimeno, sebbene la cogenza delle norme, le oltre 1000 morti bianche del 2019 rappresentino non poche sintomaticità, la materia è vasta, l’applicazione lo è molto meno.

Il contatto materiale con le problematicità diffuse, a volte croniche, nelle aziende dà la possibilità di comprendere ciò che è necessario per una corretta compliance delle imprese alle misure di prevenzione. Invero, se già prima lavorare in sicurezza richiedeva elevati costi (non solo economici), a volte difficilmente sostenibili, nell’epoca dell’emergenza sanitaria questi costi aumentano in maniera inversamente proporzionale alla loro sostenibilità.

***

Salute e sicurezza negli ambienti di lavoro

Come premesso, i costi che interessano la sicurezza sono economici, ma a volte soprattutto logistico-organizzativi, poiché necessitano di un parziale esautoramento del vertice aziendale in favore del responsabile della sicurezza, attraverso un complesso sistema di deleghe che, per un verso richiede altri costi, per altro richiede un ulteriore sforzo di perizia e professionalità, affinché si possa ottemperare al debito prevenzionistico del datore di lavoro nei confronti dei soggetti tutelati.

Sebbene con l’introduzione del T.U. 81/2008 siano stati rafforzati i concetti di prevenzione, formazione, partecipazione attiva e miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza, purtroppo, nella realtà dei fatti, alla figura aziendale del RSPP (interno o esterno), ancorché sia obbligatoria, continua a darsi poco spazio di manovra, stante le criticità strutturali, burocratiche e finanziarie. Spesso il flusso d’informazioni tra i vari soggetti annoverati nell’organigramma aziendale si dissolve divenendo espressione dell’inerzia della prassi burocratica.  Ragionando euristicamente tutto viene pesato in termini di tempo ed essendo il tempo denaro, quello dedicato alla sicurezza viene alle volte considerato uno spreco, commettendo l’errore (economico) di sottovalutare la prevenzione; infatti l’anticipo dei costi prevenzionistici, al contrario, garantisce un risparmio dei costi da dover sostenere come “cura”, successivamente al verificarsi degli incidenti sul lavoro.

Poche imprese hanno seminato prevenzione in modo da raccogliere risultati tangibili, tante invece sono in fase di adeguamento e tantissime non lo faranno mai efficacemente, poiché vittime di questo processo di sottovalutazione del problema che li spinge a tutelarsi solo sulla carta, credendo che l’importante sia far fronte agli impegni burocratici, non anche all’effettività delle tutele.

Siamo stati abituati a mitigare l’entità del danno (PROTEZIONE) piuttosto che proporre soluzioni sull’eliminazione o la riduzione del rischio di verificazione dell’evento (PREVENZIONE).

Il rispetto del processo di garanzia e conformità dettato dagli obblighi di compliance può essere effettivamente esercitato e monitorato da pochi fortunati. I provvedimenti tecnico-procedurali devono essere attuati in modo da evitare i problemi “a monte”, gestire i rischi ineliminabili e infine minimizzare i danni “a valle”.

Il risultato ottimale di questi provvedimenti lo avremmo con un mantenimento, un controllo (documentale ed efficace) e un continuo miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tante piccole imprese che hanno offerto un significativo contributo al processo di diffusione della cultura della sicurezza, garantendo l’incolumità dei loro prestatori di lavoro, sono state premiate anche con finanziamenti economici o riduzione del tasso di premio INAIL. Inoltre,  le scoperte scientifico-tecnologiche hanno portato a un’evoluzione dei metodi lavorativi, agevolando la crescita nel settore “sicurezza sul lavoro” soprattutto nella riduzione degli eventi dannosi.  Per nostra fortuna, anche il tema della sensibilizzazione inizia a prendere piede già nelle scuole primarie nel tentativo di assicurare una presa di consapevolezza sin da subito.

Nonostante le esposte e innegabili difficoltà strutturali, possiamo confermare che gli strumenti e le possibilità di crescita esistono e sono anche accessibili. Ciò che serve è una corretta formazione che possa determinare nei soggetti legalmente responsabili la convinzione che affidarsi a professionisti garantiti in materia di prevenzione costituisce un investimento, il cui profitto consiste nel miglioramento delle condizioni di lavoro (maggiore produttività ed efficienza) e nella minimizzazione del rischio di perdite future (dovute ad esempio a vertenze di sorta).

 

Salute e sicurezza ai tempi del Covid-19

La pandemia ha coinvolto indiscriminatamente tutto l’indotto lavorativo  (commercio all’ingrosso e al dettaglio, industria manifatturiera, costruzioni, settore terziario e quello dei servizi alla persona)  trascinandolo in un’imminente recessione. Le aperture delle varie industrie, esercizi e attività di genere avverranno in ordine scaglionato distribuito nel tempo, senza che tuttavia la ripresa della produzione di offerta sia garantita in termini di domanda.

Prescindendo dalla manifesta confusione degli indirizzi del Governo - troppo preoccupato a non commettere errori politici per concentrarsi sulle necessità del tessuto economico (sic!) - il settore della sicurezza e prevenzione (sicuramente grazie ad una maggiore perizia dei professionisti, probabilmente superiore anche a quella delle famigerate task force presidenziali) era già pronto nel periodo febbraio/marzo ad implementare efficacemente le procedure già in atto per far fronte al rischio contagio.

Le “nuove” direttive prevenzionistiche devono dunque fondarsi sull’importanza della sanificazione, predisposizione di DPI e riassetto del layout aziendale, garantendo l’igiene in senso lato all’interno di tutti gli ambienti di lavoro. Per attuare tali misure, e permettere un passaggio dalla FASE1 alla FASE2 (in cui verranno coinvolti circa 4,5 milioni di lavoratori),  il primo intervento suggerito dal Governo  è la creazione di una task force di professionisti. Trattandosi però di uno scenario che si evolve velocemente, è necessario anche poter attuare una procedura semplificata. In assenza di “tempi congrui”, laddove non si riesca nella revisione della procedura integrativa di misura emergenziale, bisogna attenersi direttamente alle indicazioni ministeriali e governative, ove ritenute già esaurienti (!). Tuttavia la prassi si scontra con la lentezza burocratica dei delegati governativi a dettare linee guida e a scaglionare efficacemente le riaperture, di modo da evitare ulteriori perdite di profitti che potevano investirsi proprio nella sicurezza di lavoratori e clienti.

Se da un lato le “misure semplificate” richieste dal Governo sono l’unico modo per far ripartire il sistema-lavoro Italia, dall’altro possono celare anche dei pericoli dovuti a procedure approssimative se non valutate scrupolosamente. Il rischio più grossolano sarebbe fare un passo falso che causi nuovi contagi e vanifichi la ripresa della FASE2, verso un ritorno al lockdown. Ottemperare alle linee del DPCM del 26/04/2020 e precedenti, sarà a tratti “burrascoso” e l’applicabilità dei protocolli anticontagio nelle specifiche attività (pensiamo ai centri commerciali, ristorazione, centri estetici, negozi di abbigliamento etc.) avrà poco riscontro in mancanza di monitoraggi e controlli da parte delle autorità competenti.

Tuttavia questi controlli devono fungere da deterrente alla mancata attuazione di misure di sicurezza da parte delle imprese e non sfociare, come avvenuto nella FASE 1, in un ipersanzionamento. Difatti la mancanza di risorse economiche unite alla sanzione, non farà altro che, in molti casi, spingere i datori di lavoro a risparmiare sulle misure di prevenzione per sostenere poi in futuro i probabili costi delle sanzioni.

In alcuni ambienti di lavoro, gli adempimenti richiesti otterranno poca rispondenza in termini di efficacia, sia per l’impossibilità materiale dei singoli imprenditori, sia per la scarsa attendibilità dei report aziendali. Onde ottenere un tornaconto collaborativo dovrebbero, semmai, agevolarsi ulteriormente (con sussidi o crediti d’imposta) gli investimenti in sicurezza e non, al contrario, sventolare poliziescamente lo spettro sanzionatorio.

 

Osservazioni finali

In conclusione, chi scrive ritiene che insistendo la crisi emergenziale sulle varie sfaccettature dell’economia e del lavoro, questa deve essere l’occasione per investire e rinnovare strutture e infrastrutture. Adeguarsi alle nuove esigenze significa in un certo senso implementare le vecchie prescrizioni, con lo scopo di raggiungere l’ottima attuazione degli obiettivi che più o meno consapevolmente ci si era (teoricamente) già prefissati. Si necessita uno snellimento delle procedure che possa però avere una reale efficacia; nel periodo del rischio contagio (probabilmente un altro anno) maturerà profitti solo chi garantirà maggiore sicurezza. Sebbene questa dovrebbe essere la prima prerogativa del Governo, l’imprenditore - per definizione non avverso al rischio -  non potrà esitare ad investire in riorganizzazione, aspettando l’aiuto dall’alto (anche se sarebbe davvero auspicabile), ma dovrà capire finalmente che quanto investito oggi in prevenzione costituisce un esponenziale risparmio in termini di perdite future.

 

Il presente articolo è stato redatto con la collaborazione dell'avvocato Valerio Rochira, Associate presso Rochira&Partners - Studio Legale Commerciale e Tributario.

 

 

Altri Talks