31 Ottobre 2023

La diffamazione a mezzo email: punire l’offesa oltre il tempo e lo spazio. Commento a sentenza Cass. pen., Sez. V, Sent., 18/09/2023, n. 38144

ANDREA STIGLIANO

Immagine dell'articolo: <span>La diffamazione a mezzo email: punire l’offesa oltre il tempo e lo spazio. Commento a sentenza Cass. pen., Sez. V, Sent., 18/09/2023, n. 38144</span>

Abstract

L'articolo in questione affronta la complessa questione giuridica della diffamazione tramite email e l'identificazione del luogo e del momento di consumazione del reato in situazioni in cui centinaia di destinatari ricevono il messaggio in tempi diversi. Vengono esaminati vari criteri proposti dalla dottrina e dalla giurisprudenza per stabilire la competenza territoriale in tali casi. Il suggerimento è quello di un approccio basato sull'analisi dettagliata delle circostanze specifiche sia per la diffamazione via web che per quella via email, evitando l'adozione di criteri rigidi e predefiniti, al fine di garantire una valutazione equa e appropriata in ciascun caso.

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La diffamazione a mezzo email ha da sempre caratteristiche peculiari nel panorama giurisprudenziale: anche se una medesima offesa è realizzata attraverso separati invii, tale condotta si ritiene configurare una comunicazione a più persone tale da integrare gli estremi del reato; tuttavia, pur se tale offesa è immessa nella rete per giungere al suo destinatario, non si ritiene che la stessa integri un “altro mezzo di pubblicità” tale da rendere il reato aggravato, come invece avviene in caso di offesa postata via social.

 

Il momento e il luogo di consumazione del reato: la diffusione su vasta scala e i criteri per la competenza territoriale

Come determinare, allora, il momento e il luogo di consumazione del reato in caso di centinaia di destinatari della mail, disseminati su tutto il territorio nazionale che prendono cognizione del messaggio in momenti diversi?

Per identificare i termini della questione, in tema di competenza territoriale in casi di diffusione tramite Internet di contenuti diffamatori, sono stati suggeriti criteri piuttosto eterogenei e variegati. In particolare, le opzioni proposte da dottrina e giurisprudenza, senza alcuna pretesa di esaustività, possono essere sintetizzate nel modo seguente:

  • sulla scia del criterio utilizzato in caso di diffamazione a mezzo stampa, far coincidere la commissione del reato con il luogo in cui ha sede il fornitore di hosting ed applicare il criterio posto dall’art. 9 primo comma c.p.p. (il luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione). Appare tuttavia una forzatura sostenere che la diffamazione si consuma nel luogo in cui ha sede il fornitore di host o il server, che altro non è che un "locatore di spazio web" (ad es. Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 31677/15)
  • aderire alla concezione che pone l'accento sulla natura psicologica della diffamazione e dà, quindi, rilevanza al luogo in cui si trovano le prime due persone che abbiano appreso la notizia, rintracciando, sia pure con l'ausilio dei sistemi a disposizione dei fornitori dello spazio web, chi abbia effettuato il primo (e poi il secondo) accesso. Quest’ultimo è il criterio utilizzato nel caso di specie (Cass. pen., Sez. V, Sent., 18/09/2023, n. 38144);
  • optare per un criterio residuale ex art. 9, secondo comma c.p.p., svincolato dalla condotta oggettiva del reato, ossia il domicilio o residenza dell'imputato – che svincola la competenza territoriale dal locus commissi deliciti e la radica, a priori, in uno dei fori residuali (ad es. Cass. pen. Sez. I Sent., 21 dicembre 2010, n. 2739) – o, in caso di impossibilità o di imputato che vive all’estero, determinare la competenza presso il Tribunale ove ha sede la prima procura che ha formalmente avviato le indagini.

A fronte del ricorso dell’imputato, che sosteneva l’applicazione del criterio residuale, ritenendo che non fosse possibile determinare l'effettivo luogo di consumazione del reato dal momento che il messaggio diffamatorio era stato inviato a 450 destinatari, la Corte distingueva il caso di diffamazione commessa via e-mail rispetto al caso in cui la stessa sia commessa tramite scritti, immagini o file vocali caricati su siti web o diffusi sui social media, casi nei quali riteneva di radicare la competenza secondo i criteri di cui all’art. 9.  In particolare, si riteneva che la mail fosse una "comunicazione diretta a destinatario predefinito ed esclusivo (anche quando plurimi siano i soggetti cui viene indirizzata), al quale viene recapitata informaticamente presso il server di adozione, collegandosi al quale attraverso un proprio dispositivo e utilizzando delle chiavi di accesso personali, questi può prenderne cognizione". Di modo che, perché possa dirsi integrato il reato, "il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell'inserimento del contenuto offensivo nella rete (e cioè, nel caso di specie, della loro spedizione), ma è necessaria quantomeno la prova dell'effettivo recapito degli stessi, sia esso la conseguenza di un'operazione automatica impostata dal destinatario ovvero di un accesso dedicato al server".

La Corte concludeva con la considerazione che nel caso di specie la prova fosse stata raggiunta "quantomeno con riguardo a due dei destinatari del messaggio", e questa era giudicata come condizione sufficiente a considerare il luogo di consumazione del reato quello in cui la ricezione del messaggio è avvenuta, identificato nella città di Palermo.

 

Differenze tra diffamazione via email e social media: necessità di analisi specifica dei casi

La sentenza in commento si presta ad alcune considerazioni di carattere sia giuridico sia pratico.

In primo luogo, non pare condivisibile la distinzione netta che viene operata tra diffamazione a mezzo social e diffamazione operata tramite l’invio massivo della stessa email: ed infatti, in entrambi i casi il messaggio è diramato verso una amplissima platea di soggetti, parte dei quali potenzialmente determinabili. Non vi sono, infatti, sostanziali differenze tra un post pubblicato su una bacheca Facebook da parte di un utente che ha quattrocentocinquanta contatti e l’invio di altrettante email. La prova della percezione del messaggio è in entrambi i casi tecnicamente complessa, ma possibile da raggiungere (per esempio attraverso l’audizione di tutti i quattrocentocinquanta potenziali destinatari per verificare se, quando e dove il messaggio è stato letto).

Peraltro, nel mondo social sarebbe forse anche più immediata una (parziale) verifica di tale date potendo fare riferimento alle reazioni o ai commenti posti in prossimità dello stesso, non avendo invece nel mondo della corrispondenza email la possibilità di vagliare pubblicamente eventuali riscontri.

In secondo luogo, ancorare a monte a profili strettamente probatori la scelta del criterio giuridico da applicare si presta a potenziali abusi da parte di vittima ed autore del reato, i quali potrebbero scientemente fare emergere talune circostanze fattuali a discapito di altre al sol fine di operare un forum shopping.

In tale contesto, giuridico e tecnologico, l’opzione che appare preferibile è quella di rifuggire da prese di posizione di principio (criteri “classici” in caso di diffamazione via email e criteri residuali in caso di utilizzo dei social) ed effettuare una concreta analisi fattuale sia in caso di diffamazione via web sia in quello di diffamazione via email: laddove appaia tecnicamente possibile identificare l’effettivo luogo della prima percezione dell’offesa – ad esempio se immessa via social ma verso un ristretto numero di utenti ovvero se trasmessa via email ad un numero limitato di soggetti – si ritiene doversi applicare il criterio del locus commissi delicti del reato, identificabile nel primo luogo di percezione dell’offesa; laddove, invece, in ragione delle specifiche modalità della condotta, tale criterio non sia oggettivamente utilizzabile, appare preferibile utilizzare i criteri di cui all’articolo 9, così da evitare che specifiche attività (o inattività) investigative possano assurgere ad autonomo criterio di determinazione della competenza. 

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