07 Maggio 2020

Dividendi in uscita e presupposto della soggettività passiva d’imposta della holding estera

PAOLO VISCONTI

Immagine dell'articolo: <span>Dividendi in uscita e presupposto della soggettività passiva d’imposta della holding estera</span>

Abstract

L’ottimizzazione fiscale ha, da sempre, influenzato la scelta della localizzazione delle società holding di gruppi multinazionali. Tuttavia, negli anni, i legislatori, sia nazionali che europei, hanno messo a punto una serie di meccanismi aventi il fine di impedire che, attraverso ramificazioni meramente apparenti, prive di reale sostanza economica, le imprese potessero delocalizzare arbitrariamente i propri profitti verso giurisdizioni fiscali meno onerose.

In questo contesto, una recente sentenza della Corte di Cassazione è intervenuta a dirimere una delle varie problematiche connesse al regime di tassazione convenzionale dei dividendi distribuiti alla holding estera, materia, ad oggi, regolata da una fitta congerie di norme che, purtroppo, ancora scontano vari problemi di coordinamento con i principi Unionali.

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Nella pianificazione delle operazioni di ramificazione internazionale dei gruppi d’impresa, la scelta della localizzazione della holding company costituisce un importante driver delle operazioni stesse e l’errore nella scelta, frequente, se non adeguatamente ponderata, può rivelarsi fatale per la gestione e valorizzazione partecipazioni e, più in generale, per la lecita ottimizzazione del carico fiscale del gruppo.

Non v’è dubbio, infatti, che, tra gli obiettivi connaturati a tali operazioni, vi sia quello di consentire alla holding di allocare investimenti e flussi reddituali in maniera tale da minimizzare il più possibile i connessi oneri fiscali, a cominciare da quelli che, sotto forma di ritenute alla fonte e/o di imposizione nella giurisdizione della holding stessa, gravano sui dividendi distribuiti dalle società controllate.

Se, in passato, la scarsa attenzione riservata dai legislatori – nazionali e sovranazionali –al fenomeno della delocalizzazione, gestionale e/o produttiva, consentiva una scelta semplicemente orientata verso paesi a bassa fiscalità, ormai da molti anni non è più così, dovendosi fare i conti con regole, interne e convenzionali, capaci di sterilizzare del tutto i vantaggi derivanti da strutture connotate da scelte dislocative prive di reale sostanza, o dal coinvolgimento di giurisdizioni fiscali poco trasparenti.

In tale, ultima, prospettiva, i rimedi adottati dalle legislazioni tributarie nazionali sono stati spesso nel senso di prevedere, su base reciproca, una serie di benefici a favore di pratiche dislocative ritenute prive di lesività per i rispettivi interessi erariali, negandone, di contro, la fruibilità, nei casi in cui esse consentissero (o anche solo potessero perseguire) la mera defiscalizzazione di materia imponibile.

In materia di ritenute applicate sulle distribuzioni “in uscita”, ad esempio, l’art. 27, co. 3, del D.P.R. 600/1973, prevede, in generale, che i dividendi corrisposti a soggetti esteri siano assoggettati a ritenuta alla fonte, a titolo di imposta, con aliquota del 27%. Ma se tale aliquota resta quella di riferimento con riguardo alle distribuzioni verso paesi a fiscalità privilegiata e/o con i quali manchino accordi convenzionali in materia di reciproca imposizione e trasparenza, essa può invece beneficiare di significative riduzioni in molti altri casi, sia in applicazione delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (recanti regole da valutarsi, dunque, di volta in volta, a seconda della giurisdizione estera interessata), sia in forza delle regole nel frattempo coniate in ambito europeo (con efficacia “integrativa” cogente per le giurisdizioni dei paesi membri dell’Unione).

Negli anni, su impulso di procedure di infrazione[1], sentenze della Corte di Giustizia[2], e veri e propri interventi normativi comunitari, la  disciplina fiscale domestica sulla distribuzione di dividendi a soggetti esteri è stata oggetto di varie modifiche ed integrazioni, aventi lo scopo di allineare il sistema impositivo italiano ai principi di stampo comunitario, eliminando i vincoli alla libera circolazioni di capitali e le eventuali discriminazioni (intese come differenze nell’assoggettamento ad imposta) tra le imprese nazionali e quelle comunitarie.

Ne emerge, ad oggi, un regime di tassazione dei dividendi distribuiti ad enti residenti in stati membri, delineato, in estrema sintesi, come segue:

  1. in virtù dell’applicazione della nota direttiva n. 435/90/CEE, cd. Direttiva madre-figlia, i dividendi vanno esenti da imposizione qualora i soggetti percipienti detengano, da più di un anno, una partecipazione non inferiore al 10% del capitale del soggetto erogante e siano soggetti – senza fruire di regimi di opzione o esonero che non siano temporalmente o territorialmente limitati - ad un’imposta sul reddito delle società;
  2. in applicazione della sentenza CGUE, C-450/07, che ha portato all’introduzione del vigente art. 27, co. 3.ter del D.P.R. 600/1973, i dividendi corrisposti ad entità fiscalmente residenti in Europa e soggette ad un’imposta sul reddito delle società nel paese di residenza (che ovviamente non integrano i requisiti per l’esenzione di cui alla direttiva madre-figlia) sono sottoposti ad una ritenuta dell’1,2%;
  3. a norma dell’art. 27, co. 3 del D.P.R. 600/1973, i dividendi erogati a fondi pensione europei sono soggetti ad una ritenuta dell’11%.

Nella pratica, però, questa congerie di disposizioni agevolative presenta molteplici profili di criticità (in termini di valutazione e verifica dei relativi presupposti applicativi, oltre che di dubbi interpretativi e di compatibilità della disciplina interna con l’ordinamento unionale), dei quali, come si accennava all’inizio, occorre occuparsi con grande attenzione fin dai primi steps di qualsiasi progetto dislocativo.

Una di esse, ad esempio, riguardava, tipicamente, quale sia il significato di enti “soggetti ad un’imposta sul reddito delle società”, ai fini dell’applicazione dei regimi di cui alle summenzionate lett. a) e b).

E' chiaro, infatti, che lo spettro dei soggetti interessati, o meno, da tale regime varia notevolmente a seconda che si propenda per un concetto di assoggettamento a imposta:

  1. meramente potenziale, secondo la posizione dell’Agenzia delle Entrate, che - in linea con l’interpretazione tipica delle Convenzioni bilaterali e di altre disposizioni comunitarie di simile tenore[3] - nella circolare n. 32/2011 affermava l’irrilevanza di eventuali esenzioni oggettive di cui godesse il percipiente (quali quelle in materia di passive income, secondo la disciplina “Pex”); ovvero
  2. effettivo, secondo il diverso orientamento della nostra giurisprudenza di legittimità (a partire dalle note sentenze di Cassazione nn. 4164 e 4165 del 2013, per finire a Cass, n. 4568/2019), secondo cui il concetto di assoggettamento ad imposta dovesse essere tradotto in un’effettiva tassazione dei dividendi nel paese di destinazione, e non semplicemente, nella loro mera assoggettabilità ad imposta.

In questo contesto, va salutato con favore il recentissimo “ripensamento” della Suprema Corte, secondo cui – nella citata sentenza n. 1967/2020 – “possono usufruire della ritenuta ridotta tutte le società o enti ai quali è riconosciuta soggettività passiva ai fini delle imposte societarie, inclusi quelli che non pagano imposte in virtù di particolari esenzioni oggettive collegate alla tipologia del reddito da loro prodotto, o del luogo in cui è svolta l'attività[4].

Non v’è dubbio che, in questi termini, la ritrovata uniformità interpretativa, giurisprudenziale e di prassi, circa il presupposto della soggettività passiva di imposta del percipiente estero, costituisca, almeno in linea di principio, un problema in meno.

In realtà, le persistenti incertezze, soprattutto in ottica di conformità alle regole europee, restano ancora tante, a cominciare, ad esempio, da quelle che ruotano intorno alla qualità di “beneficiario effettivo”, che, secondo le note sentenze CGUE del 29 febbraio 2019, C- 116/16 e 117/16 (la cd. “Casi Danesi”), l’ente percipiente dei dividendi deve rivestire, onde poter beneficiare delle riduzioni di aliquota alla fonte o dell’esenzione prevista in forza della Direttiva “madre-figlia”, escludendo altresì l’ipotesi dell’abuso.

Su questo e su molti altri aspetti, le norme di volta in volta coinvolte sono tante e non sempre organicamente coordinate. E gli orientamenti di prassi e giurisprudenza sono ondivaghi e stratificati, in un disordinato collegamento gerarchico.

La localizzazione della holding continua cosi ad essere, vista la sua importanza nella strategia dei gruppi, un forte elemento di preoccupazione, con ampi margini di contestazione da parte delle Amministrazioni finanziarie. Il che impone analisi attente e non standardizzate delle concrete, specifiche, fattispecie, con coinvolgimento di specialisti che sappiano rendere solidamente opponibili al Fisco scelte e pratiche, da valutarsi alla luce di un quadro di riferimento che si presenta pieno di insidie.

 

 

[1] Si veda, ex aliis, la procedura n. IP/07/1152 del 23.7.2007, a seguito della quale il legislatore si è visto costretto, nel corso del 2009, a modificare la disciplina della ritenuta alla fonte dei dividendi distribuiti a fondi pensione europei, portandola dal 27 all’11%.

[2] Al riguardo si veda la nota sentenza CGUE del 19.11.2009, C-450/07, che ha statuito essere una illegittima restrizione della libertà di circolazione dei capitali la circostanza che i dividendi distribuiti ad enti soggetti ad IRES italiani fossero gravati da imposizione per solo il 5% del loro ammontare (ovvero, attualmente, ad un’aliquota del 1,2%), mentre scontavano una ritenuta alla fonte pari al 27% qualora percepiti da enti esteri.

[3] Si veda il D.Lgs. 143/2005 attuativo della direttiva n. 2003/49/CE, cd. Direttiva “interessi e canoni”, ove ad un simile requisito di soggettività passiva era stato lo stesso Legislatore, nella relazione di accompagnamento al decreto, a definirla come solo potenziale.

[4] ritenendo legittima, nel caso di specie sottoposto al suo esame, la ritenuta ridotta su dividendi percepiti da un soggetto passivo IRES che scontava un’imposizione, su detti dividendi, con aliquota pari a 0%.

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