24 Maggio 2022

Si fa presto a dire co-branding…

IVAN DIMITRI CALAPRICE

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Abstract

Uno dei trend del momento è l’implementazione di operazioni di partnership che puntano a presentare un prodotto assicurativo con il brand di un soggetto che non opera in questo comparto oppure con quello di un intermediario. Questa operazione implica, però, particolari cautele giacché, se da un lato al cliente deve sempre essere chiarissimo chi sia il soggetto che assume il rischio, dall’altro, quand’anche ai fini della fabbricazione del prodotto partecipi un intermediario o un’altra impresa, occorre che il suo apporto soddisfi taluni requisiti fissati da norme di matrice comunitarie e nazionali. Imprescindibili e chiarissime.

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Co-branding: i perché di una scelta

Senza ombra di dubbio è una delle tendenze del momento.

Esplorare una collaborazione con un’impresa assicurativa per poter associare il proprio marchio al suo, indipendentemente dal fatto che chi lo faccia sia un’altra impresa, un intermediario o addirittura un soggetto del tutto estraneo all’universo distributivo.

La ratio di operazioni del genere è di intuibile evidenza.

Al crescere della consapevolezza sociale sull’utilità delle assicurazioni una comunicazione imperniata sul messaggio “stiamo ampliando il novero di servizi che ti offriamo” oppure “siamo ancora più efficaci perché facciamo quello che sappiamo fare con chi fa la stessa cosa in modi diversi o con ruoli diversi” costituisce un quid pluris particolarmente attrattivo.

 

Problematizzare e non semplificare

In un’ottica di massima parcellizzazione delle componenti del fenomeno è possibile dire che esso si profila - almeno in potenza - secondo tre diverse declinazioni:

  1. un’impresa assicurativa intende realizzare un prodotto in associazione con altra impresa assicurativa
  2. un intermediario assicurativo intende realizzare un prodotto in associazione con un’impresa assicurativa
  3. un soggetto che opera in comparti economici-merceologici distinti da quello assicurativo intende associare il proprio marchio a quello di impresa/intermediario

Da qualunque prospettiva si guardi al fenomeno esso afferisce – comunque – a uno di quelli che – per essere affrontati con serietà e cognizione di causa (oltre che entro elementari perimetri di liceità) – necessitano di essere problematizzati e non semplificati.

Ciò equivale a dire che, definire una sbrigativa comunicazione ad un bacino potenziale di clienti che contempli la combinazione di due marchi assicurativi o di due marchi eterogenei senza spiegare chi fa cosa è operazione che collide – oltre che con il buon senso – con taluni chiarissimi referenti normativi di matrice comunitaria e regolatoria.

 

Su cosa riflettere prima di avviare queste operazioni

Volendo implementare un’operazione del genere occorre, infatti, guardare – quantomeno – alle regole di dettaglio che offre il Regolamento delegato UE 2017/2358 (che, a sua volta, rimanda alla art. 25 della nota direttiva IDD 2016/97) e poi porre mente ai criteri che offre il nostro assetto regolatorio nazionale.

 

Le operazioni di co-branding fra imprese

Si guardi alla prima delle casistiche enucleate al precedente paragrafo 2. Quali norme applicare?

Una indicazione di fulminante linearità la rende anzitutto la nostra Autorità di Vigilanza all’art. 34 del Regolamento Ivass 41/2018.

Questa progettualità implica e presuppone un accordo fra le imprese che impegni espressamente a richiamare il novero di norme del Regolamento stesso, redigere un set informativo unico per ciascuna tipologia di prodotto commercializzato, ossequiare oneri di comunicazione via web.

Nulla che possa essere fatto “a cuor leggero”, dunque.

Va da sé che al cliente deve essere chiaro, in ragione di generali regole di trasparenza che informano l’intero complesso di norme codicistiche e di secondo livello, che il prodotto è stato effettivamente realizzato da più Imprese. Non da una ma da più imprese, a diverso titolo.

Nessuna trascuratezza sul punto se non si volesse incappare in una censura di scarsa trasparenza.

 

Le operazioni di co-branding fra distributori di diversa natura

Il discorso si fa sensibilmente più complesso nei casi in cui a sedersi al tavolo per discutere di opportunità del genere siano intermediari e imprese.

Il mio personalissimo angolo visuale mi porta a ritenere che – ove ciò accada – spesso non sia dia alcun peso alla lettera dell’art. 3 commi 1 e 2 del precitato Regolamento comunitario.

E’ lì che si legge – ad esempio – che “gli intermediari assicurativi sono considerati soggetti che realizzano prodotti assicurativi laddove un’analisi globale della loro attività mostri che gli stessi svolgono un ruolo decisionale nella progettazione e nello sviluppo di un prodotto assicurativo per il mercato” e che “un ruolo decisionale viene assunto in particolare laddove gli intermediari assicurativi determinino in modo autonomo le caratteristiche essenziali e gli elementi principali di un prodotto assicurativo, compresa la relativa copertura, le tariffe, i costi” (omissis).

Le tariffe, in primis, aprono la porta ad una bruciante riflessione: ma quanti e quali intermediari sul mercato sono davvero così ben strutturati da poter mettere a fattor comune solide competenze attuariali tali da poter profilare un effettivo ruolo decisionale al filtro di un’analisi globale postuma che effettivamente lo comprovi ?

Di certo – è una constatazione molto banale – si tratta della minoranza degli operatori, coincidente con quella che ha i numeri e le alte professionalità interne o in outsourcing deputate a poter offrire l’antecedente logico, il prerequisito giuridico, e il parametro di tecnica assicurativa per poter dare l’abbrivio a questo genere di negoziazioni.

 

Le operazioni di co-branding fra soggetti eterogenei

Si è detto, precedentemente, che il tema di cui qui si tratteggiano solo alcuni spunti per una riflessione va sempre problematizzato e mai sbrigativamente semplificato.

E questo perché le norme ci sono e – con riguardo a questa specifico tema - sono tutto fuorché poco chiare.

E allora, che fare, quando un soggetto che opera in un comparto estraneo a quello assicurativo intenda valorizzare propri prodotti o servizi enfatizzando una componente assicurativa ?

La risposta, banalissima nella teoria e più complessa e sofisticata nella pratica è: porsi primariamente il problema di rendere chiarissima al proprio bacino di clientela la distinzione dei ruoli.

Non è l’impresa xyx, ad esempio, che “offre l’assicurazione”…ma è l’impresa xyz che – attraverso una collaborazione con una Compagnia assicurativa/ in collaborazione con una Compagnia assicurativa/ in forza di una convenzione con una Compagnia assicurativa - è in grado di offrire ai propri clienti un prodotto o servizio nuovo e distinto rispetto a quello che ne costituisce il core business.

Il tema è – in tutta evidenza – in prima battuta di carattere assicurativo: tutelare sempre e comunque la trasparenza e la chiarezza nei confronti del potenziale assicurando deve costituire un imperativo categorico.

Deve essere chiaro chi assicura il rischio e chi fa altro, insomma. Nessuno spazio per amorfismi creativi.

Ma c’è – e mi pare che il tema venga molto spesso sottovalutato – anche altra questione: chi si accosta a questa così accattivante prospettiva di comunicazione pubblicitaria - dopo aver compreso le griglie normative assicurative qui cennate - dovrebbe poi leggersi e rileggersi con particolare zelo, il portato dell’art. 21 comma 1 lett. f) del D.Lgs. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo) ove, fra le pratiche commerciali ingannevoli, (e dunque scorrette ai sensi del precedente art. 20) vengono sussunti anche i comportamenti idonei a indurre ad assumere una decisione sulla scorta di un falso convincimento sulla natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l'identità, il patrimonio, le capacità, lo status

E se mi atteggio a fornitore di una copertura assicurativa quando faccio altro...

Problematizzare appunto. Mai semplificare. Questa è la regola prima.

 

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