19 Giugno 2020

La figura del dirigente e il difficile contemperamento fra tutele applicabili e trattamento economico

ANTONELLA CARBONE

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Abstract

Si analizzano in questo articolo le peculiarità della figura del “dirigente” tra i prestatori di lavoro subordinato e la rilevanza del vincolo fiduciario alla base del rapporto con il datore di lavoro che si riflette sia sul trattamento economico che sulla normativa applicabile in caso di licenziamento.

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Il rapporto fiduciario tra dirigente e datore di lavoro

La figura del dirigente ha sempre destato non pochi problemi interpretativi, sia per quanto concerne la caratterizzazione delle mansioni, sia per quanto concerne la disciplina e le tutele applicabili al rapporto di lavoro.

Il Codice Civile, pur menzionando la categoria dei dirigenti all’interno del più ampio genus dei prestatori di lavoro subordinato (art. 2095 c.c.), non ne offre un’espressa nozione legislativa, la quale, pertanto, può essere implicitamente ricavata dai Contratti Collettivi loro applicabili, oltre che dalla variegata giurisprudenza formatasi sul punto.

Da un’analisi comparatistica dei principali CCNL applicabili al comparto dirigenziale, emerge che possono essere considerati tali i prestatori di lavoro subordinati che ricoprono un ruolo apicale all’interno dell’organigramma aziendale e la cui attività sia caratterizzata da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale. Infatti, difformemente rispetto alle categorie degli impiegati, degli operai e dei quadri, figure professionali gerarchicamente subordinate ai dirigenti, questi ultimi svolgono le proprie funzioni con la finalità di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa, ricevendo dal datore di lavoro esclusivamente un indirizzo generale e mantenendo un elevato grado di autonomia sulle modalità di attuazione. Di conseguenza, ogniqualvolta si faccia riferimento alla figura dirigenziale è assolutamente affievolito il concetto classico di subordinazione nella sua accezione della etero-organizzazione e rispetto ai suoi canoni classici (ad es. rispetto dell’orario di lavoro, riporto a un superiore gerarchico, precisa indicazione delle proprie mansioni, ecc.).

Il dirigente, dunque, si pone all’interno dell’organizzazione aziendale come un vero e proprio alter ego del datore di lavoro, assumendo una serie di responsabilità sia di natura civile e penale nello svolgimento delle proprie mansioni e anche con riferimento al raggiungimento degli obiettivi aziendali. 

 

La disciplina in materia di licenziamento

È dunque evidente che la particolare posizione occupata dal dirigente all’interno dell’impresa comporti una un’assoluta rilevanza del vincolo fiduciario posto alla base del rapporto con il datore di lavoro, circostanza questa, che si riflette inevitabilmente sulla disciplina del licenziamento, derogatoria rispetto a quella generalmente applicabile al lavoratore subordinato, tanto in regime di “Statuto dei Lavoratori” che di “Jobs Act”.

In particolare, la regola generale per il licenziamento del dirigente è quella della libera recedibilità. Il Legislatore ha infatti escluso l’applicazione della disciplina sul licenziamento individuale dettata dalla L. 604/66 alla figura del dirigente, circoscrivendone l’applicazione - art. 10 L. 604/66 - ai soli impiegati ed operai. Ne consegue che la tutela del dirigente in materia di cessazione del rapporto di lavoro, disciplinata, di conseguenza, dai soli gli artt. 2118 e 2119 c.c., è senz’altro meno forte di quella di cui viceversa godono le altre categorie di prestatori di lavoro.

Posta la necessaria applicazione del procedimento ex art. 7 L. 300/70 (Cass. sent. n. 15204/17 del 20.06.2017) in caso di infrazioni rilevanti da un punto di vista disciplinare, la ratio della minor tutela risiede nella particolare rilevanza attribuita, come anzidetto, al vincolo fiduciario e caratterizzante il rapporto fra dirigente e datore di lavoro, che può essere considerato dissolto anche per comportamenti o azioni che non ne comporterebbero una rottura se posti in essere da operai, impiegati o quadri.

La possibilità di recedere liberamente dal rapporto di lavoro, tuttavia, viene limitata da alcune norme contrattuali previste nei CCNL dei categoria, all’interno delle quali i concetti di giusta causa e giustificato motivo lasciano spazio ad un più mite ma essenziale criterio della giustificatezza quale limite all’arbitrarietà dei licenziamenti dei dirigenti.

Secondo ormai costante giurisprudenza, il concetto di giustificatezza è del tutto differente e svincolato dai concetti di giusta causa e giustificato motivo. Rientra nel canone della giustificatezza qualsiasi motivo che escluda l’arbitrarietà del licenziamento, qualora la motivazione risulti coerente e fondata su ragioni apprezzabili sul piano del diritto. Non è dunque necessaria un’analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale, che escluda l’arbitrarietà del recesso, in quanto intimato con riferimento a circostanze idonee a turbare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, nel cui ambito rientra l’ampiezza di poteri attribuiti al dirigente.

Il concetto di giustificatezza può essere posto alla base non solo dei licenziamenti intimati in conseguenza di comportamenti ritenuti disciplinarmente rilevanti dal datore di lavoro, ma deve fungere da parametro anche per i licenziamenti fondati su ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale. Il licenziamento individuale del dirigente d’azienda può fondarsi anche su ragioni oggettive, che non devono tuttavia necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa detta continuazione (Cass. sent. n. 31526/2019 del 03/12/2019).

Ne consegue che la legittimità del licenziamento deve essere in questo caso misurata sulla base dei principi di correttezza e buona fede, che costituiscono il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento.  Il controllo del Giudice deve dunque limitarsi all’effettività delle scelte imprenditoriali poste alla base del recesso, senza poterne sindacare il merito, in quanto garantite dall’art. 41 della Costituzione.

Un’ulteriore differenza rispetto alle altre categorie di prestatori di lavoro subordinati risiede nelle peculiari conseguenze scaturenti dalla declaratoria di illegittimità del licenziamento del dirigente. Infatti, per espressa previsione legislativa (art. 4 L. 108/1990) ed al di là delle ipotesi contemplate dall’art. 18, co. 1, L. 300/70 (licenziamento discriminatorio, nullo o determinato da motivo illecito) è esclusa l’applicazione della tutela reale ai dirigenti il cui licenziamento sia dichiarato illegittimo in quanto non sorretto da motivazione rispondente ai canoni della giustificatezza.

Pertanto, anche nei casi di illegittimità del licenziamento la tutela accordata al dirigente è meramente risarcitoria, stante la presunzione che l’evento contestato nel licenziamento abbia in ogni caso incrinato in modo irreparabile il rapporto fiduciario fra datore e dirigente.

Anche in questo caso la contrattazione collettiva assume un ruolo di primario rilievo nella determinazione delle indennità risarcitorie in caso di declaratoria di illegittimità del recesso intimato, prevedendo delle misure minime e massime modulate sulla base dell’anzianità aziendale del dirigente.

Oltre alle indennità che il datore deve corrispondere al dirigente in caso di illegittimità del recesso, vengono previste dai CCNL di categoria delle indennità di preavviso di importo decisamente più elevato rispetto a quello previsto per le altre categorie di lavoratori dipendenti, pur se anch’esse determinate sulla base dell’anzianità aziendale.

Basti pensare che secondo le previsioni normative dettate dal CCNL Dirigenti Industria in vigore per il quadriennio 2019-2023, le indennità di preavviso sono le seguenti:

- 6 mesi per i dirigenti fino a sei anni di anzianità aziendale;

- 8 mesi fino a dieci anni;

- 10 mesi fino a quindici;

- 12 mesi di preavviso per i dirigenti con oltre 15 anni di anzianità.

 

Il trattamento economico

Da un punto di vista economico, è pleonastico sottolineare come i dirigenti godano di un trattamento salariale di ammontare decisamente superiore rispetto alle altre categorie di prestatori di lavoro subordinato, in ragione, ovviamente, non solo del più stretto rapporto di fiducia con il datore di lavoro, ma anche e soprattutto in virtù nelle responsabilità scaturenti dal ruolo ricoperto all’interno dell’impresa.

Risulta peculiare tuttavia l’istituto del trattamento minimo complessivo di garanzia (TMCG), particolare parametro della retribuzione, inserito in alcuni dei più importanti CCNL che regolano il rapporto di lavoro dei dirigenti. Il TMCG è un indicatore numerico, variabile sulla base dell’anzianità di servizio del dirigente, che l’impresa deve necessariamente prendere in considerazione il 31 dicembre di ogni anno: qualora la retribuzione annua lorda effettiva percepita dal dirigente nell’anno solare sia inferiore al TMCG predeterminato nel CCNL di riferimento, l’impresa dovrà corrispondere al dirigente la differenza in busta paga in unica soluzione.

 

Conclusioni

Dall’analisi svolta emerge come il particolare rapporto fiduciario che lega il dirigente all’imprenditore sia tale da rendere giustificato un licenziamento che risulterebbe del tutto illegittimo se irrogato nei confronti di un dipendente appartenente ad una diversa categoria gerarchicamente sotto-ordinata di prestatori di lavoro subordinato. Inoltre, la tutela reintegratoria nei confronti del dirigente riduce il proprio campo di applicazione esclusivamente alle ipotesi di licenziamento discriminatorio o nullo. D’altro canto, a fronte di una più debole tutela in materia di licenziamento, le indennità di preavviso in caso di recesso e le indennità risarcitorie in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento compensano la scarsa tutela accordata al dirigente. A ciò deve aggiungersi che l’istituto del trattamento minimo complessivo di garanzia non solo si configura come un istituto unico rispetto alle altre categorie di lavoratori subordinati, ma soprattutto garantisce al dirigente una retribuzione minima annuale.

 

Il presente contributo è stato redatto con la collaborazione del Dott. Giuseppe Olia, praticante dello Studio Legale Carbone in materia di Diritto del Lavoro.
Il Dottor Olia collabora anche al Master in "Diritto Sportivo e Rapporti di Lavoro nello Sport" presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca ed è Responsabile della Commissione Praticanti di AGAM Associazione Giovani Avvocati di Milano.

 

 

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