14 Febbraio 2019

L’Extended Producer Responsibility (EPR): trasposizione nel Codice ambientale e linea di confine con altre forme di responsabilità

DANIELE CARISSIMI

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Abstract

Il diritto europeo ha enucleato a livello di principio la responsabilità estesa del produttore con la Direttiva 2008/98, precisandola poi nel contesto dell’economia circolare. Tale forma di responsabilità si intreccia e si completa con i principi di corresponsabilità e di responsabilità condivisa che presiedono alla gestione dei rifiuti. Al fine di districarsi al meglio tra tali concetti, che se male interpretati possono comportare anche l’applicazione di penetranti sanzioni, appare quanto mai opportuno tracciarne i relativi confini ed i rispettivi ambiti di applicazione.

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La previsione di un sistema incentrato sulla responsabilità estesa al produttore appare quale logica trasposizione del principio di chi inquina paga[1] e dei principi sottesi alla gerarchia dei rifiuti e, in chiave odierna, è lo strumento che promuove l’economia circolare.

Nel diritto dell’Unione europea l’art. 8 della Direttiva 2008/98 enucleava l’Extended producer responsibility (EPR), ma lo faceva in forma estremamente generica, lasciando ampi margini alla discrezionalità degli Stati membri.

Occorre giungere alla circular economy perché le cose cambino. Al considerando 21-22 della nuova Direttiva 2018/851[2] si legge, infatti, che poiché i regimi di responsabilità estesa del produttore variano notevolmente da uno Stato membro all’altro, si rende necessario definirne i requisiti minimi di funzionamento, che dovrebbero applicarsi ai regimi di responsabilità estesa del produttore nuovi ed esistenti.

A tal fine, viene predisposto un nuovo art. 8-bis, finalizzato a sopperire proprio alla genericità dell’art. 8, prevendo i requisiti minimi di funzionamento dei regimi EPR, al fine di ridurne i costi, migliorarne l’efficacia, garantirne pari condizioni di concorrenza.

Nel medesimo si prevede che laddove i regimi di responsabilità estesa del produttore siano istituiti, gli Stati membri:

  • definiscono in maniera chiara i ruoli e le responsabilità;
  • definiscono, in linea con la gerarchia dei rifiuti, obiettivi di gestione dei rifiuti, volti a conseguire almeno gli obiettivi quantitativi rilevanti per il regime di responsabilità estesa del produttore;
  • garantiscono la presenza di un sistema di comunicazione delle informazioni per raccogliere i dati sui prodotti immessi sul mercato dello Stato membro dai produttori di prodotti assoggettati al regime di responsabilità estesa del produttore e i dati sulla raccolta e sul trattamento di rifiuti risultanti da tali prodotti;
  • assicurano un trattamento equo dei produttori di prodotti indipendentemente dalla loro origine o dimensione, senza imporre un onere regolamentare sproporzionato sui produttori.

Si prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che i detentori di rifiuti interessati dai regimi di responsabilità estesa del produttore siano informati circa:

  • le misure di prevenzione dei rifiuti;
  • i centri per il riutilizzo e la preparazione per il riutilizzo;
  • i sistemi di ritiro e di raccolta dei rifiuti e la prevenzione della dispersione dei rifiuti.[3]

Quindi, che gli Stati membri adottino misure per incentivare i detentori di rifiuti ad assumersi la responsabilità di conferire i rifiuti ai sistemi esistenti di raccolta differenziata, in particolare, se del caso, mediante norme o incentivi economici.

Si forniscono, inoltre, le indicazioni cui gli Stati devono attenersi al fine di adottare misure idonee al corretto funzionamento del regime della responsabilità. Ed, infine, indicazioni riguardo ai contributi finanziari.

La novità della modifica introdotta con la Direttiva 851/2018 risiede proprio nel fatto che si va oltre l’affermazione del principio delle responsabilità estesa, stabilendo in concreto i requisiti minimi di funzionamento dei regimi di responsabilità estesa del produttore.

Venendo all’ordinamento nazionale, l’art. 178-bis del d.lgs n. 152/06 prevede la responsabilità estesa del produttore, trasponendo l’art. 8 della Direttiva 2008/98 e peccando perciò della stessa genericità.  

Si tratta di una responsabilità concorrente con quella in tema di gestione di rifiuti e con quella prevista per prodotti specifici e si estende per l’intero ciclo di vita delle merci.

Diversamente, la responsabilità del produttore del rifiuto[4] vincola i soggetti concretamente implicati nel circuito della gestione dei rifiuti, in regime di corresponsabilità. “Tutti i soggetti che intervengono nel circuito della gestione dei rifiuti sono responsabili non solo della regolarità delle operazioni da essi stessi posti in essere, ma anche di quelle dei soggetti che precedono o seguono il loro intervento mediante l’accertamento della conformità dei rifiuti a quanto dichiarato dal produttore o dal trasportatore, sia pure tramite la verifica della regolarità degli appositi formulari, nonché la verifica del possesso delle prescritte autorizzazioni da parte del soggetto al quale i rifiuti sono conferiti per il successivo smaltimento”.[5]

Quindi, il soggetto coinvolto nella filiera del rifiuto, risponde non solo del suo operato, ma anche di eventuali comportamenti illeciti del soggetto cui conferisce o trasferisce immediatamente il rifiuto, qualora non adempia a determinati obblighi di controllo, alla stregua dell’ordinaria diligenza.

Possiamo dire, quindi, che tale forma di responsabilità è correlata al corretto svolgimento delle operazioni di gestione del rifiuto e si limita ad una sola fase dell’intero ciclo di vita del prodotto.

Altro discorso va fatto per la c.d. responsabilità condivisa, prevista in relazione alla gestione degli imballaggi, quando l’art. 217 del TUA impone agli operatori delle rispettive filiere l’obbligo di garantire un impatto ambientale minimo degli imballaggi durante tutto il ciclo della loro vita e l’art. 219, comma 2 postula il principio chi inquina paga nonché la cooperazione degli stessi secondo i princìpi della responsabilità condivisa.

Una tale forma di responsabilità non sembra poter essere considerata un regime applicativo dell’EPR[6],  anzi appare profondamente disallineata in quanto coinvolge tutti gli operatori della filiera (non solo i produttori).

Al momento lo scenario nazionale è in movimento. Il diritto europeo rivendica i requisiti minimi dell’EPR e l’Italia come membro dell’Unione si conformerà, modificando la normativa interna e-quindi – declinando l’EPR nel contesto dell’Economia circolare. Sarà interessante tracciare nuovamente le linee di confine dell’istituto in relazione alla responsabilità condivisa, oggi disallineata all’EPR europea.

 

 

 

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