07 Settembre 2022

L’obbligo della buonafede in pendenza di condizione applicato nel caso di vendita speciale di immobile

KATJA BESSEGHINI

Immagine dell'articolo: <span>L’obbligo della buonafede in pendenza di condizione applicato nel caso di vendita speciale di immobile</span>

Abstract

Con ordinanza n. 21427 dello scorso 6 luglio 2022, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione – a conclusione della vertenza insorta nel 2002 tra promissaria acquirente e promittenti venditori, avente ad oggetto il risarcimento del danno per la mancata conclusione del contratto definitivo attribuibile, subordinata al verificarsi di una condizione sospensiva:

“In caso di inadempimento dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza della condizione sospensiva ai sensi dell’art. 1358 c.c., il momento dell’inadempimento – utile ai fini della determinazione del danno risarcibile e della sua decorrenza – va individuato in quello (ultimo) in cui risulta che la parte non si sia attivata per consentire il verificarsi della condicio facti e non già nel successivo momento della proposizione ad opera della parte in malafede della domanda giudiziale di risoluzione del contratto (già inefficace per mancato avveramento della condizione).”

***

I gradi di merito

La vicenda giudiziaria ha avuto impulso dall’atto di citazione con il quale la Società, nonché ricorrente in sede di legittimità, esponeva le proprie ragioni dinanzi al Tribunale di Palermo, al fine di ottenere la risoluzione dei due contratti preliminari di vendita, uno risalente al 18 febbraio 1988 (avente ad oggetto un locale ad uso abitativo) e l’altro risalente al 12 febbraio 1981 (avente ad oggetto un locale adibito a posto auto), nonché la riconsegna degli immobili oltre al risarcimento del danno derivante da occupazione sine titulo degli stessi ovvero, in subordine, il pagamento di un indennizzo a titolo di ingiustificato arricchimento.

L’efficacia del preliminare del 1988 era stata subordinata dalle parti alla erogazione – in favore del promissario acquirente – di un mutuo a tasso agevolato, entro sette mesi dalla sottoscrizione.

La parte convenuta nel costituirsi in giudizio eccepiva che la mancata sottoscrizione del contratto definitivo fosse da imputare alla società promissaria alienante per non aver questa fornito all’ente creditizio la documentazione amministrativa essenziale ai fini dell’erogazione del mutuo, impedendo in tal modo il verificarsi della condizione.

Il Tribunale siciliano rigettava le domande di risoluzione del preliminare e di risarcimento del danno, dichiarava improponibile la domanda di arricchimento ingiustificato, rigettava la domanda riconvenzionale di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare del 18 febbraio 1988, dichiarava inefficaci entrambi i preliminari e condannava parte convenuta al rilascio dei locali; successivamente, con sentenza definitiva, lo stesso Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento del danno, ritenendo la società attrice responsabile della mancata conclusione del Contratto per mancata consegna della documentazione amministrativa necessaria all’erogazione del mutuo, qualificando tale condotta come violazione dell’obbligo di buona fede, ai sensi dell’art. 1358 c.c. Su tali basi, condannava l’attrice e promissaria acquirente al risarcimento del danno, individuando quale parametro di liquidazione la differenza tra il valore commerciale dell’immobile al momento della proposizione della domanda di risoluzione del contratto e il prezzo pattuito.

La decisione veniva impugnata dalla promissaria acquirente avanti alla Corte d’Appello.

La Corte palermitana respingeva tutti i motivi di gravame, ritenendo generiche e infondate le doglianze di parte appellante. In particolare, riteneva non condivisibile l’argomento secondo cui la liquidazione del danno andasse determinata non alla data di introduzione del giudizio, bensì al momento in cui il promissario alienante aveva reso impossibile l’avveramento della condizione.

 

Il giudizio in Cassazione. Censure e motivazione.

La decisione veniva nuovamente impugnata dalla Società, la quale poneva alla base della censura di legittimità due motivi di ricorso, articolati ciascuno in due profili.

Sotto il primo profilo la ricorrente e promissaria acquirente si doleva rispetto al mancato esame, da parte della Corte palermitana, circa l’effettivo possesso da parte della Società della documentazione amministrativa necessaria all’erogazione del mutuo, nonché, per quanto connesso al secondo profilo, l’omesso esame del comportamento “complessivamente tenuto nella vicenda de qua” che avrebbe invece fatto deporre la Corte per la piena rispondenza ai parametri di correttezza e buonafede.

Per quanto forma oggetto di specifico interesse in questa sede, deve essere ripercorso l’iter argomentativo sotteso ai precedenti gradi di giudizio.

Sia il Tribunale, sia la Corte distrettuale di Palermo avevano condiviso l’impostazione per la quale il momento in cui doveva ritenersi essersi concretizzato l’inadempimento fosse quello coincidente con la proposizione della domanda per la risoluzione del Contratto.

Tale impostazione portava seco la conseguenza per cui la liquidazione del danno sarebbe coincisa con la differenza tra il valore commerciale dell’immobile al momento della proposizione della domanda e il prezzo pattuito.

Al riguardo, la ricorrente evidenziava l’erroneità dell’applicazione dell’art. 1453 c.c., avente ad oggetto la risoluzione del contratto, in luogo della corretta applicazione dell’art. 1358 c.c., il quale riferisce in merito alla specifica ipotesi di violazione dell’obbligo della buonafede in pendenza della condizione sospensiva.

La Corte ha condiviso l’orientamento della ricorrente, argomentando che “l’art. 1358 c.c. sancisce una specifica applicazione del generale principio di correttezza in materia contrattuale per ogni tipo di condizione alla quale le parti subordinano la produzione o l’eliminazione degli effetti della pattuizione (con esclusione della sola condizione meramente potestativa, che non conferisce all’altra parte alcuna aspettativa tutelabile o coercibile), imponendo alla parte condotte tali da conservare integre le ragioni dell’altra”.

 

E pertanto, la violazione dell’obbligo di buonafede - che permea tutta la disciplina contrattuale - nel caso di un contratto condizionato, genera un obbligo risarcitorio per lesione della situazione di aspettativa della parte e, in casi specifici, permette anche il rimedio risolutorio. Del resto, la stessa Corte ha cura di rilevare come la dottrina sia unanime nel considerare l’illecito contrattuale derivante da violazione dell’obbligo di correttezza e buonafede in maniera autonoma rispetto al generale principio del neminem laedere, centrandosi su una concezione non più formale e statica, bensì sostanziale e dinamica.

Con riferimento alla vicenda de qua, la Corte ha dovuto individuare il parametro di liquidazione del danno con riferimento all’inadempimento verificatosi durante la pendenza della condizione, perciò ravvisabile unicamente nel momento in cui la stessa condizione diveniva irrealizzabile, ossia la scadenza del termine per l’ottenimento del mutuo.

Una diversa conclusione determinerebbe la negazione di quell’autonomia riconosciuta dalla dottrina all’illecito contrattuale e, dunque, all’art. 1358 c.c.

Per tali ragioni, La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso limitatamente a tale circostanza ed enunciato il principio di diritto riportato in calce, rimettendo la decisione al Giudice di seconda istanza, chiamato ad applicare lo stesso principio di diritto in ordine alla determinazione del danno.

 

Commento

Non sorprende l’orientamento della Corte rispetto al principio di diritto enunciato. Infatti, a ben vedere, sia da un punto di vista meramente logico-formale, sia da un punto di vista strettamente sistematico, la Corte di legittimità ha dato applicazione dei noti principi di legge, sia per l’accertamento dell’an sia per l’individuazione del quantum.

Già in diverse occasioni, infatti, la Corte aveva accertato l’inadempimento dell’obbligo di buonafede in pendenza della condizione con riferimento all’art. 1358 c.c., senza tuttavia evidenziare esplicitamente l’autonomia riconosciuta ai rimedi esistenti all’interno della disciplina contrattuale.

Ed infatti, da ultima, già la stessa Cassazione del 2011 – con riferimento ad una vicenda avente ad oggetto il compenso inerente ad un contratto di opera professionale con la P.A. - aveva così disposto:

In caso contrario, dalla violazione del suddetto dovere comportamentale conseguono il diritto della controparte di chiedere sia la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, ai sensi dell'art. 1358 cod. civ., sia, in alternativa, il diritto di chiedere l'adempimento del contratto e, quindi, il pagamento del compenso pattuito, in base alla "fictio" di avveramento della condizione di cui all'art. 1359 cod. civ..

L’ordinanza in commento non differisce nell’enunciazione del principio, coerente anche alle precedenti determinazioni, piuttosto ha il merito di segnare un passo in più nelle conseguenze derivanti da tale impostazione, ossia il corretto parametro per la determinazione del danno che non potrà non essere individuato nel momento in cui il comportamento non conforme a buonafede determina il mancato avveramento della condizione sospensiva, con conseguente “mortificazione” dell’aspettativa e dell’affidamento maturati dal contraente.

Altri Talks