03 Settembre 2018

Morte e resurrezione del recupero di rifiuti in Italia

ALESSANDRO KINIGER

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Abstract

Il comparto italiano del recupero rifiuti è stato fortemente limitato dalla sentenza del Consiglio di stato n. 1229/2018, che ha di fatto escluso la possibilità di definire i criteri per aversi end of waste nelle autorizzazioni al recupero ordinarie, sperimentali ed integrate. Per scongiurare una crisi senza ritorno, si è in attesa di un intervento legislativo urgente, che si inserirà nel panorama comunitario oggi mutato, posto che la recente direttiva 2018/851/Ue, in prossimo recepimento, prevede espressamente la possibilità di definire caso per caso, nelle singole autorizzazioni, i criteri per aversi end of waste.  

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Principi generali

L’economia circolare e la realizzazione della società del riciclaggio sono i due mantra che caratterizzano maggiormente l’approccio del legislatore comunitario e nazionale in tema di gestione dei rifiuti. In questo contesto, al primario obiettivo della prevenzione, la gerarchia nella gestione dei rifiuti di cui all’art. 179 d.lg. 152/2006 affianca il concetto del recupero. Si tratta dell’attività, necessariamente autorizzata, che comprende il riciclaggio e che sottopone i rifiuti a trattamento per trasformarli in un materiale che ha perso quella qualifica e che è pertanto “tornato” ad essere un bene/prodotto liberamente utilizzabile. Il risultato dell’attività di recupero dal dicembre 2010 prende il nome di end of waste, ovverosia il rifiuto che ha cessato di essere tale, in conformità all’art. 184-ter d.lg. 152/2006.

La disciplina dell’end of waste

La disciplina generale dell’end of waste è contenuta nell’art. 6 della direttiva 2008/98/Ce e, come detto, nell’art. 184-ter del d.lg. 152/2006. Entrambe le disposizioni prevedono quattro condizioni, sulla base delle quali devono essere definiti criteri specifici per aversi un rifiuto che ha cessato di essere tale. In regime ordinario, la primaria fonte di definizione dei criteri specifici sono i regolamenti comunitari, seguiti dai decreti ministeriali. La disciplina generale prevede poi un regime transitorio da applicarsi caso per caso qualora non siano stati ancora emanati regolamenti europei o ministeriali. Fino all’inizio del 2018, si riteneva che questo regime facesse salva la disciplina in tema di recupero semplificato, nonché quanto previsto dalle autorità competenti nelle singole autorizzazioni al recupero (emanate e da emanare).

La sentenza n. 1229/2018 del consiglio di stato

Fino all’inizio del 2018, perché con la sentenza n. 1229 del 28.02.2018, il Consiglio di stato ha affermato che l’individuazione “caso per caso” dei criteri end of waste debba essere realizzata solo dallo Stato e non altri enti e/o organizzazioni interne a questo e ciò in un’ottica di uniformità di disciplina sull’intero territorio: «la stessa Direttiva UE, quindi, non riconosce il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro». In altre parole, a detta dei Giudici di Palazzo Spada, Regioni e Province da queste delegate non possono individuare criteri end of waste nelle autorizzazioni al recupero ordinarie, sperimentali ed integrate.

La sentenza ha determinato, di fatto, il fine vita di gran parte del sistema italiano del recupero, considerato infatti che dal 2010 ad oggi risultano emanati solo cinque tra regolamenti comunitari e ministeriali in tema di end of waste. Escludere la possibilità per le autorità competenti di stabilire, caso per caso, i criteri specifici per aversi un rifiuto che cessa di essere tale, ha comportato l’interruzione di tutte le istruttorie autorizzative in corso e l’incertezza degli operatori già autorizzati rispetto alla liceità delle attività che svolgono (fatta salva, ovviamente, la buona fede).

L’urgenza di un intervento legislativo

Considerato che l’interpretazione del Consiglio di stato poggia sul dato letterale della disciplina transitoria di cui all’art. 184-ter comma 3, il Governo, sollecitato dagli operatori del recupero e dalle amministrazioni locali, ha recentemente affermato l’intenzione di intervenire normativamente, disciplinando «le modalità – alternative all’emanazione di specifici decreti ministeriali e immediatamente utilizzabili sino alla data di entrata in vigore di questi ultimi – attraverso cui istituire meccanismi per la cessazione della qualifica di rifiuto «caso per caso» ed attribuendo «alle autorità competenti al rilascio delle autorizzazioni previste dagli articoli 208, 209 e 211 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché alle autorizzazioni disciplinate dal titolo IlI-bis della parte seconda del predetto decreto, la facoltà di stabilire – previo espletamento di adeguate istruttorie – i criteri specifici per la cessazione della qualifica di rifiuto, da adottare in conformità alle condizioni fissate al comma 1 dell’articolo 184-ter, del Codice dell’ambiente» (interrogazione 19 luglio 2018 del sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento).

La modifica normativa preannunciata, che si spera possa intervenire in tempi brevi, dovrebbe permettere la resurrezione del comparto italiano del recupero.

La direttiva 2018/851/ue

Che l’esclusiva rimessione a regolamenti comunitari e ministeriali della definizione dei criteri per aversi end of waste non fosse idonea a perseguire la circular economy, è risultato peraltro chiaro anche all’Unione Europea. Basti pensare che nella direttiva 2018/851/Ue, recentemente pubblicata, il Consiglio ed il Parlamento europei hanno previsto una considerevole modifica dell’art. 6 della direttiva 2008/98/Ce dedicato, come detto, al rifiuto che cessa di essere tale. In particolare, ai fini che qui interessano, è previsto espressamente che «laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione o a livello nazionale […] gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere […]».

Ciò significa che in assenza di regolamenti comunitari e/o nazionali, ogni Stato membro, o le amministrazioni locali da questo delegate, possono definire “caso per caso” (rectius “nelle singole autorizzazioni”) criteri specifici per aversi end of waste. Il tutto, con buona pace del Consiglio di stato e nonostante il rischio, comunque superabile (questa è la vera sfida), di aversi un rifiuto che una Regione considererà cessato e che un’altra Regione potrà non ritenere tale.

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