25 Marzo 2019

La responsabilità penale dei membri del Collegio sindacale in concorso con gli Amministratori, elementi sintomatici e valutazioni giudiziali

MATTEO MANGIA

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Abstract

Il presente contributo ha lo scopo di valutare i possibili profili di responsabilità penale in capo ai membri del Collegio Sindacale, al fine di poter delineare le condotte attive richieste ai sindaci nell’esercizio della loro funzione.

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È opportuno rilevare in via preliminare come la responsabilità penale dei sindaci sorga nella maggior parte dei casi a titolo di concorso omissivo[1] con gli amministratori, risultando le ipotesi di concorso commissivo, tanto nella prassi, quanto nei riscontri giurisprudenziali, “eccezionali[2].

Presupposto normativo di tale imputabilità è l’articolo 40, cpv., c.p., il quale prevede la clausola di equivalenza tra il non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire ed il cagionarlo, tale per cui soltanto i soggetti gravati da un obbligo in tal senso, e dunque titolari di una posizione di garanzia, potranno essere ritenuti responsabili della propria condotta omissiva.

L’obbligo giuridico in capo ai membri del Collegio Sindacale è individuato nell’art. 2043 c.c., il quale sancisce il dovere di vigilanza sull’osservanza della legge, dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, e nell’art. 2407 c.c., che impone ai sindaci di adempiere a tale dovere con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico.

La giurisprudenza appare risoluta nel perimetrare tale onere: il vaglio non potrà limitarsi all’operato degli amministratori, dovendo invece riguardare “tutta l’attività sociale[3]”; controllo che inoltre, seppur non si possa estendere sino a valutazioni che riguardino l’opportunità e la rischiosità dell’attività di gestione (incarico strettamente riservato agli amministratori), non si deve comunque limitare ad un mero controllo contabile, ma dovrà anche attenere “al contenuto della gestione, ricomprendendo anche il cd. ‘controllo di legalità’ e cioè la rispondenza dei dati acquisiti ai parametri previsti dalla legge”[4].

Parallelamente ai doveri imposti dalla legge, è altresì necessario che i titolari di una posizione di garanzia siano dotati dei necessari poteri impeditivi dell’evento dannoso, che si rinvengono nelle previsioni degli artt. 2403 e 2403-bis c.c., nonché agli artt. 2446, 2484, 2447 e 2482-ter c.c.

Le modifiche introdotte dalla riforma del diritto societario (D.Lgs. 6/2003) hanno ristretto le responsabilità dei membri del Collegio Sindacale, eliminando il generale obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione” che è oggi sostituito da un meno stringente “obbligo di intervenire nel momento in cui siano stati debitamente informati di quanto sta per essere deciso dagli organi sociali[5].

Invero, ex art. 2381, comma 5, c.c. l’amministratore delegato ha il dovere di riferire al collegio sindacale, con periodicità[6] sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società e dalle controllate.

L’origine delle informazioni sulla base delle quali il sindaco dovrà fondare le proprie valutazioni ed azioni, non si limita alla passiva ricezione delle informazioni che giungono dagli amministratori.

Infatti, oltre al dover agire informati, sussiste in capo ai sindaci anche un attivo obbligo di richiedere informazioni, laddove venissero percepiti dei segnali di pericolo o i sintomi di patologia nelle operazioni da compiere (i c.d. “segnali d’allarme”).

La giurisprudenza[7] ritiene necessario che vi sia la prova della conoscenza di tali indizi, o della concreta conoscibilità degli stessi mediante l’attivazione del potere informativo in presenza di inequivocabili segnali, e solo in presenza di essi “è possibile intravedere l’obbligo giuridico degli amministratori non operativi e dei sindaci di intervenire per impedire il verificarsi dell’evento illecito; la mancata attivazione di tali soggetti in presenza di tali circostanze comporta l’affermazione della penale responsabilità avendo la loro omissione cagionato, o contribuito a cagionare, l’evento di danno[8]

Sicché, a titolo esemplificativo e non esaustivo, si consideri come siano ritenuti segnali sintomatici che imporrebbero l’attivazione dei poteri impeditivi, il carattere macroscopicamente distrattivo e dissipatorio di alcune operazioni compiute dagli amministratori della società, la manifesta evidenza dell’illegittimità delle condotte di questi ultimi, nonché la certa sussistenza dell’elemento soggettivo in capo ai soggetti agenti del reato proprio di bancarotta.

In breve quindi, i membri del Collegio Sindacale risponderanno ai sensi dell’art. 40, cpv., c.p., qualora, essendo a conoscenza di specifici segnali di pericolo o di patologia nelle operazioni da compiere (i c.d. “segnali d’allarme”) sulla base dei flussi informativi ricevuti, omettano di attivarsi, esercitando i poteri propri dell’organo, allo scopo di impedire l’evento dannoso.

La fondatezza di un addebito di mancato intervento presuppone, in secondo luogo, anche la prova della causalità dell’omissione, tale per cui è necessaria la dimostrazione che se i membri del collegio sindacale avessero attivato i propri poteri impeditivi, l’evento non si sarebbe certamente verificato.

Sarà quindi necessario dare la prova “che egli abbia dato un contributo giuridicamente rilevante – sotto l’aspetto causale – alla verificazione dell’evento e che abbia avuto la coscienza e la volontà di quel contributo[9]. In altre parole, “occorre dare la prova – che può essere data, come di regola, anche in via indiziaria – del fatto che la sua condotta abbia determinato o favorito, consapevolmente la commissione dei fatti di bancarotta da parte dell’amministratore[10].

Infine, per quanto attiene l’elemento soggettivo, è necessario che il sindaco abbia l’oggettiva e soggettiva possibilità di venire a conoscenza dei fatti pregiudizievoli, tale per cui il segnale d’allarme, per poter costituire sicuro indicatore del coefficiente doloso, dovrà essere tale da offrire la sicura conoscenza ovvero la concreta conoscibilità[11], da dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio, del fatto costitutivo di reato.

In altre parole, in presenza di evidenti segnali d’allarme (o qualora il sindaco sia stato informato dall’amministratore delegato o abbia comunque acquisto le informazioni aliunde), il mancato adempimento dei poteri-doveri di vigilanza deve fuoriuscire dalla dimensione meramente colposa, “per assurgere al rango di elemento dimostrativo di dolosa partecipazione, sia pure nella forma del dolo eventuale, per consapevole accettazione del rischio che l’omesso controllo avrebbe potuto consentire la commissione di illiceità da parte degli amministratori[12].

Solo alla sussistenza di questi requisiti, tra loro concorrenti, sarà possibile imputare un addebito ai membri del Collegio Sindacale.

In conclusione quindi, al giudice sarà richiesto di effettuare un giudizio prognostico ex ante e, considerando la posizione soggettiva dei sindaci nel momento storico in cui si è verificato il fatto pregiudizievole che avrebbero dovuto impedire, verificare se fossero a conoscenza o fossero conoscibili segnali di allarme, percepiti i quali, i sindaci si sarebbero dovuti attivare esercitando i poteri impeditivi loro attribuiti.

 

 

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