14 Maggio 2018

Revocabilità del compenso dei sindaci in seguito al fallimento della società

EMANUELA DE SABATO

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Abstract

Alla luce delle esenzioni previste all’art. 67 L.Fall., è possibile ritenere che i compensi dei soggetti che hanno svolto la funzione di sindaco di una società fallita siano esenti da revocatoria.

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Il principio secondo cui determinati pagamenti eseguiti in un certo periodo da una società poi fallita siano revocabili prevede alcune eccezioni (esenzioni) di cui all’art. 67 3° comma Legge Fallimentare la cui applicazione prescinde dalla conoscenza dello stato di decozione.

Valutiamo se sia possibile esonerare da revocatoria i compensi ricevuti dal collegio sindacale: la questione è stata affrontata in una interessante sentenza del Tribunale di Torino del 15 ottobre 2014 confermata dalla Corte d’Appello in data 18 agosto 2017.

L’esenzione di cui all’art. 67 3° co. lett. f) Legge Fallimentare

Tale ipotesi può essere ricondotta alla lettera f) della norma citata che attiene ai “pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati del fallito” per molteplici ragioni.

  1. Il termine collaboratori è estremamente ampio e in tale categoria possono essere annoverati anche i sindaci, che svolgono un’attività di consulenza, controllo e supervisione caratterizzata da connessione funzionale con quella dell’imprenditore, da continuità e da prevalente personalità.
  2. Il dettato normativo è ampio e non precisa la tipologia dei servizi di riferimento.
  3. Il ruolo svolto dal collegio sindacale è non una facoltà discrezionale ma un’attività doverosa in quanto i sindaci non possono esimersi dall’esercitare le proprie funzioni di vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto nonché sul rispetto dei principi di corretta amministrazione: il rischio di revocatoria dei compensi si tradurrebbe nell’obbligo per gli stessi di prestare la propria attività a titolo gratuito.
  4. La possibilità di dimettersi non è senza difficoltà visto che il regime della prorogatio si applica anche ai sindaci i quali, in caso di dimissioni senza giusta causa, potrebbero anche essere tenuti a risarcire il danno causato alla società.
  5. E del resto è difficile che un sindaco diligente, presa coscienza della crisi della società, decida sol per questo di dimettersi perché teme che il suo compenso venga poi revocato in caso di fallimento: egli valuterà prima se il suo contributo possa essere utile per consentire all’imprenditore di (tentare di) uscire dalla crisi.
  6. La mancata applicazione dell’esenzione ai compensi dei sindaci potrebbe quindi violare i principi costituzionali di uguaglianza e ragionevolezza nonché di tutela del lavoro in tutte le sue forme.

L’esenzione di cui all’art. 67 3° co. lett. a) Legge Fallimentare

L’esenzione da revocatoria dei compensi dei sindaci può essere ricondotta anche all’ipotesi prevista dalla lettera a) della norma citata secondo cui sono “esclusi i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività di impresa nei termini d’uso”.

La locuzione “termini d’uso”, negli anni, è stata interpretata con riferimento a:

  1. tempistiche di pagamento,
  2. modalità praticate nei rapporti commerciali di riferimento,
  3. possibilità di valutare anticipatamente se il bene o il servizio siano riconducibili al fabbisogno fisiologico e ordinario dell’imprenditore;
  4. servizi necessari a garantire la continuità della gestione, usuale e ordinaria, come praticata fino a quel momento.

A prescindere da tale questione, non è facilmente dubitabile che l’attività dei sindaci rappresenti un servizio reso da un professionista qualificato nell’interesse dell’impresa e come tale sia riconducibile anche a questa esimente.

Conclusioni

Scopo comune alle due esimenti è tutelare la sicurezza dell’imprenditore in difficoltà, ossia evitare che collaboratori, consulenti e fornitori interrompano i rapporti commerciali e professionali solo perché timorosi di una crisi e quindi di una possibile revoca dei pagamenti ricevuti, così determinando un isolamento forzoso del’imprenditore e l’impossibilità di ricorrere a modelli di soluzione della crisi alternativi al fallimento.

L’attività esercitata dai sindaci è tanto più delicata e fondamentale quanto più la crisi economica e finanziaria dell’ente si manifesta, con ciò rendendosi le ispezioni e le richieste di notizie sempre più essenziali, frequenti e utili. Una diligente attività di vigilanza non può che tradursi in un vantaggio per la società e avere senz’altro un collegamento funzionale con l’attività dell’impresa stessa: un adeguato controllo sulla conformità delle scelte degli amministratori e dei modi della loro realizzazione alle regole d’avveduta e prudente gestione può tradursi in un prezioso supporto tecnico-professionale e favorire l’uscita dalla crisi e la prosecuzione dell’attività gestionale.

E se la ratio dell’esenzione è favorire la prosecuzione dell’attività evitando che il timore di revocatoria diventi un disincentivo alla prestazione professionale, è utile proteggere i pagamenti in favore di tutti coloro che con la propria collaborazione assicurano un supporto indispensabile all’impresa, così incentivandoli nella propria attività.

Ricordiamo che, diversamente da quanto detto per i sindaci, i compensi degli amministratori e dei liquidatori non sembrano godere dell’esenzione, stante la natura gestoria dell’attività e quindi la non riconducibilità della stessa alle esimenti di legge. È evidente che tale impostazione si scontra con l’obiettivo di conservazione e salvataggio dell’impresa in quanto può portare all’allontamento di soggetti preparati e meritevoli. La Corte d’Appello di Milano, infatti, con sentenza del 9 luglio 2015, ha ricondotto all’esenzione sub lettera f) il compenso di un amministratore unico – professionista estraneo alla compagine societaria scelto proprio in relazione alla sua attività professionale – in quanto ha ricondotto la sua attività a un lavoro parasubordinato avente natura continuativa, coordinata e prevalentemente personale.

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