05 Marzo 2018

La riduzione del rischio di impresa quale causa del contratto di affiliazione commerciale

ANTONIO PAVAN

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Abstract

La riduzione del rischio di impresa in capo all’affiliato, lungi dal costituire una mera agevolazione economica conseguente alla stipulazione dell’accordo, identifica piuttosto un elemento essenziale del contratto, innervandone la causa.

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La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza 21 dicembre 2017, n. 30671, ha nuovamente focalizzato la propria attenzione sul contratto di franchising, affrontando il delicato profilo della causa insita in tale tipologia di accordo.

Prima di affrontare il ragionamento offerto dalla Corte, tuttavia, sembra opportuno svolgere una breve disamina della normativa interessata, sì da comprendere appieno le eventuali ricadute pratiche delle riflessioni proposte.

Punto di riferimento è la legge 6 maggio 2004, n. 129, recante “Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale”.

Tale è il provvedimento normativo, ascrivibile al nostro Ordinamento, che ha avuto il merito di predisporre una disciplina del fenomeno comunemente noto come “franchising”, alla cui ampia diffusione nella prassi commerciale si era sino a quell’istante affiancata la sorprendente assenza di qualsivoglia regolamentazione.

Con l’entrata in vigore della legge citata, pertanto – composta, peraltro, di soli nove articoli – il frachising è stato ufficialmente investito di quell’alone di tipicità che già connotava – e connota tutt’ora – i principali contratti previsti e disciplinati dal codice civile.

Nel preferire l’espressione in lingua italiana “affiliazione commerciale”, l’articolo 1 della legge 6 maggio 2004, n. 129, rubricato “Definizioni”, descrive al comma 1 tale figura come “ […] il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”.

Il fine ultimo di tale accordo, pertanto, consiste, per il c.d. franchisor o affiliante, nel consolidare un’efficace rete distributiva dei propri prodotti e servizi senza doverne affrontare i correlati oneri aggiuntivi; per il c.d.  franchisee o affiliato, diversamente, nella possibilità di partecipare ad una dimensione imprenditoriale collaudata, mantenendo contestualmente la propria indipendenza economica e giuridica (1) all’atto di promuovere la vendita dei beni e dei servizi contrassegnati con il nome dell’affiliante.

L’affiliato, nel giovarsi della partecipazione ad una rete distributiva pressoché precostituita, funzionante e, soprattutto, sperimentata in precedenza dall’affiliante, ha la possibilità di intraprendere un’attività commerciale usufruendo di una sostanziale riduzione del rischio d’impresa, che si dimostra tanto più attenuato quanto più il contesto di inserimento si manifesti finanziariamente solido e territorialmente capillare.

Tale riduzione del rischio d’impresa rappresenta un requisito di primaria importanza: secondo l’orientamento giurisprudenziale dominante ribadito anche dall’ordinanza citata, infatti, “La causa […] di un simile contratto è ravvisabile nella possibilità […] per il franchisee […] di intraprendere un’attività commerciale dai rischi ridotti, facendo affidamento sul marchio del franchisor e […] conseguentemente, di inserirsi sul mercato”.

Le argomentazioni avanzate dalla Corte di Cassazione sembrano dunque confermare l’assunto per cui la riduzione del rischio di impresa in capo all’affiliato, lungi dal costituire una mera agevolazione economica conseguente alla stipulazione dell’accordo, identifichi piuttosto un elemento essenziale del contratto, innervandone la causa.

Quali le conseguenze giuridiche prospettabili, pertanto, nell’ipotesi in cui all’affiliazione consegua, quale esito in capo all’affiliato non una diminuzione bensì un aggravamento del rischio di impresa?

La causa, secondo la teoria accolta dalla Corte di Cassazione, rappresenta la funzione economico-individuale che le parti intendono concretamente realizzare mediante la conclusione dell’accordo.

Considerata quale elemento essenziale del contratto in virtù dell’articolo 1325 cod. civ., la sua mancanza ne determina la nullità in forza dell’articolo 1418, comma 2, cod. civ.

Tale esito, tuttavia, non deve reputarsi sì radicale e automatico.

Possibilità di risoluzione del contratto per l’affiliato

Relativamente all’ipotesi in cui, in un momento cronologicamente successivo alla stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, tale affiliazione abbia determinato in capo all’affiliato un aggravamento del rischio d’impresa, si potrebbe ragionevolmente sostenere che la causa del contratto, dapprima esistente, sia venuta meno per ragioni temporalmente sopravvenute.

Quale sia l’impatto provocato da tale difetto dell’elemento funzionale, è tema che ha suscitato anche l’interesse della Corte di Cassazione, la quale, con la Sentenza 24 luglio 2007, n. 16315, ha avuto modo di pronunciarsi in merito.

Nel dettaglio, i Giudici di legittimità si sono chiesti a quale sorte sia destinato un contratto nel caso in cui, per effetto di vicende sopravvenute, la possibilità di realizzare la causa concreta dello stesso risulti pregiudicata.

Ebbene, coniando l’innovativa espressione “impossibilità sopravvenuta di utilizzazione della prestazione da parte del creditore”, la Corte di Cassazione ha affermato che la causa in concreto non solo qualifica il contratto, ma si connota anche quale criterio di adeguamento, assumendo rilevanza nel momento in cui occorra verificare l’effettiva incidenza di quegli eventi sopravvenuti che hanno incrinato lo svolgimento del rapporto.

Conseguentemente, qualora la prestazione sia ancora possibile, ma il creditore della stessa non possa, attraverso di essa, realizzare lo scopo per il quale aveva originariamente concluso il contratto, spetterà a costui decidere in ordine alla vitalità dell’accordo, scegliendo se usufruire ugualmente delle prestazioni da esso derivanti, ovvero invocarne – non la nullità, bensì e diversamente –  la risoluzione.

Calando tale indirizzo giurisprudenziale nella fattispecie in esame, si potrebbe allora affermare che, qualora in un momento cronologicamente successivo alla stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, tale affiliazione abbia determinato in capo all’affiliato un aggravamento del rischio d’impresa, il contratto stesso non dovrà considerarsi automaticamente nullo, rendendosi piuttosto necessario un esame approfondito dei rapporti instauratesi tra i soggetti coinvolti, sì da comprendere se sia possibile salvaguardare l’accordo a suo tempo raggiunto scongiurando, in siffatta maniera, l’esclusione dell’affiliato dalla rete distributiva a cui aveva inteso aderire.

Qualora l’aggravamento del rischio d’impresa sia tale da compromettere il prosieguo di una proficua collaborazione tra le parti, la risoluzione del contratto si prospetta, per l’affiliato, quale soluzione più opportuna per tutelare la propria dimensione imprenditoriale.

Tale rimedio esplicherà i propri effetti per il futuro; per quanto immediato possa essere lo scioglimento del rapporto, tuttavia, i principi della buona fede oggettiva e della correttezza sanciti dal codice civile lasciano presupporre che l’affiliato sia comunque tenuto a preavvisare l’affiliante, con un congruo anticipo, in merito alla propria intenzione di sospendere qualsivoglia collaborazione.

 

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(1) Si veda, a tal proposito, Corte di Cassazione, Sezione III, Sentenza 15 gennaio 2007, n. 647, secondo cui “[…] una simile organizzazione non prevede affatto la completa identificazione del franchisor con il franchisee, i quali, sebbene legati contrattualmente, restano indipendenti ed autonomi sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista economico”. Conseguentemente, al di là delle connessioni strutturali sorte a seguito della stipulazione del contratto, l’affiliante e l’affiliato rimangono due entità distinte.

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