02 Dicembre 2019

“Spazzacorrotti”: il paradosso del mancato versamento dell’imposta di soggiorno punito come la Mafia

VALERIO ROCHIRA

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Abstract

L’imposta di soggiorno veniva introdotta dall’art. 4 d.lgs. n. 23 del 14 marzo 2011 recante “Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale”. Per ciò che concerne le modalità attuative del tributo, con particolare riguardo alle procedure di riscossione e versamento, detto decreto rinviava a un regolamento statale che doveva essere attuato nei 60 giorni successivi all’entrata in vigore del decreto. Tuttavia, il comma terzo art. 4 cit. riservava ai comuni la possibilità di adottare le misure di attuazione del decreto in caso di mancato intervento governativo nei termini sopra indicati. Infatti, proprio a seguito dell’inerzia del Governo, ogni Comune ha disciplinato autonomamente la materia dell’imposta di soggiorno, a discapito di un’omogeneità di regolamentazione tra le previsioni comunali. Inoltre, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 4 D.L. n. 50 del 24 aprile 2017, l’imposta di soggiorno non è più diretta in maniera esclusiva agli albergatori professionali, ma anche ai privati cittadini che diano in locazione, ancorché temporanea, i propri immobili adibiti (temporaneamente, lo si ripete) ad uso turistico.

In sostanza, come si dirà, la poca attenzione da parte del legislatore delegato all’uniformità nazionale della regolamentazione dell’imposta, unita all’aver trascurato la compatibilità con il sistema generale delle sanzioni tributarie (soprattutto penali), hanno comportato una grave (spesse volte ingiustificata) esposizione al rischio penale per l’operatore di attività ricettive. Come se non bastasse oggi la riforma bandiera dello scorso Governo, la c.d. “spazzaccorroti”, ha prepotentemente determinato un ingiustificato aggravio sanzionatorio, che si sintetizza in un’estensione tout court delle pene accessorie perpetue e nella impossibilità sostanziale di ricorso a strumenti premiali, o alternativi al carcere, anche per il privato cittadino (non albergatore professionale) che ometta una tantum il versamento dell’imposta di soggiorno (sic!).

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L’albergatore come agente contabile: l’omesso versamento configura il peculato

Dato per assodato che il responsabile sia dell’incasso che del versamento dell’imposta dovesse essere, all’esito dell’introduzione, il soggetto che percepisce il corrispettivo della locazione breve (ovvero l’albergatore professionale), il dibattito, che ha coinvolto sul piano politico gli operatori delle associazioni di categoria, verte principalmente sul ruolo da attribuirsi al gestore delle strutture ricettive. Invero, al momento dell’incasso dell’imposta di soggiorno, si è discusso se questi potesse essere responsabile del versamento a titolo di sostituto d’imposta, ovvero di ausiliario dell’Amministrazione Finanziaria.

Le differenze sostanziali tra le due figure hanno importanti implicazioni, soprattutto sul piano penalistico. Il sostituto d’imposta, in generale con riguardo a qualsiasi imposta, è soggetto passivo dell’imposizione fiscale, dunque obbligato al pagamento della medesima in luogo, in questo caso, dell’ospite eventualmente inadempiente; pertanto egli è responsabile penalmente solo nel caso in cui il mancato pagamento superi determinate soglie di punibilità, sempre che il d.lgs. 74 del 2000 preveda sanzioni penali a riguardo.

L’agente contabile, invece, in quanto ausiliario dell’A.F., ricopre il ruolo di incaricato di pubblico servizio; dunque, in caso di incasso dell’ammontare dell’imposta, il mancato versamento, ancorché parziale, configura la fattispecie di peculato.

Quest’ultima ipotesi è stata avallata sia dalla Giurisprudenza contabile, che da quella di legittimità civile e penale.

È pacifico, infatti, che il responsabile di strutture ricettive, in quanto incaricato alla riscossione e poi al versamento nelle casse comunali dell’imposta di soggiorno, corrisposta dagli alloggianti in dette strutture, assume la qualifica di agente contabile. (Sez. riun. Corte dei Conti, n. 22/2016 QM; Sez. Un. Civ. ord. n. 19654 del 24/07/2018)

Ne deriva che il gestore della struttura, poiché ausiliario dell’A.F., rivesta la qualità di incaricato di pubblico servizio, anche in assenza di un preventivo, specifico incarico da parte della P.A. circa la riscossione e successivo versamento dell’imposta. Infatti, è da escludersi, secondo una recentissima pronuncia della S.C., che tale attività sia tanto gravosa e complessa da sottostare alla riserva di legge espressa dall’articolo 23 Cost., trattandosi di obblighi facilmente gestibili per qualsiasi operatore del settore e che comportano, in estrema sintesi, una mera separazione contabile degli incassi a titolo d’imposta di soggiorno rispetto a quelli rinvenienti dall’esercizio dell’attività di impresa, ai fini della relativa rendicontazione e del versamento nei confronti del comune (cfr. Cass. pen. n. 6130 del 7/02/2019).

In pratica, anche il mero ritardo nel versamento dell’imposta di soggiorno è idoneo a configurare il reato di peculato, atteso che trattasi di fattispecie a consumazione istantanea, per cui l’agente che trattiene illegittimamente, ancorché per un breve ma considerevole lasso di tempo, delle somme di denaro per cui è gravato dall’obbligo di consegna immediata al legittimo proprietario (la P.A.), realizza una c.d. interversio possessionis. In quanto agente contabile, l’albergatore, come detto, non è soggetto passivo dell’imposta, dunque il mancato o ritardato versamento non costituisce un mero inadempimento, altresì un’illecita disposizione uti dominus di denaro pubblico, sussumibile pacificamente sotto la portata dell’art. 314 c.p. (ex multis, Cass. pen. n. 32058 del 12/07/2018).

 

Osservazioni critiche: il paradosso punitivo del carcere a priori per i privati cittadini

Così come il mero ritardo nel versamento costituisce peculato, allo stesso modo il reato viene contestato a prescindere dal quantum pecuniario illegittimamente trattenuto dall’albergatore.

Vista la forbice edittale prevista dall’articolo 314 c.p., poi, a tale fattispecie non è neppure applicabile la causa di non punibilità della c.d. particolare tenuità del fatto, in quanto l’art. 131 bis c.p. ne restringe l’operatività a fatti punibili con un massimo di anni 5 (si badi, il peculato – anche in caso di locazioni brevi – è punibile con un massimo di 10 anni e 6 mesi!).

L’extrema ratio applicabile in caso di semplice ritardo, e per qualsiasi somma, comporta evidentemente un enorme ampliamento della platea di soggetti che potrebbero essere chiamati a rispondere di tale grave reato, non soltanto gestori di grandi strutture ricettive, ma anche privati cittadini che concedono in locazione turistica la propria casa per brevissimi periodi.

Quest’eccesso punitivo è frutto della mancata concertazione legislativa tra disposizioni attuative governative e regolamentazione comunale. Proprio la sopra raccontata inerzia del governo dal 2011 ad oggi è causa della disomogeneità delle discipline comunali, che si concreta nel paradosso di un comune eccesso punitivo. Vi è da aggiungere che l’estensione della platea di potenziali soggetti attivi di peculato è figlia del D.L. n. 50 del 2017, che ha esteso l’imposta anche alle brevi locazioni dei privati cittadini.

Come se non bastasse, l’odierno legislatore con la tanto bramata legge “spazzacorrotti” ha incluso il peculato nei cosiddetti reati ostativi di cui all’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, per cui, in caso di mancata concessione della sospensione condizionale della pena, l’esecuzione della sanzione penale comporterà obbligatoriamente l’ingresso in carcere, a prescindere dalla gravità della condotta. C’è da sottolineare che l’ottenimento di una condanna inferiore a due anni, che possa importare il beneficio della sospensione condizionale, pare difficilmente raggiungibile, atteso il minimo edittale con cui è punito il peculato, ossia 4 anni.

Le misure alternative alla detenzione, su tutte l’affidamento in prova ai servizi sociali, sono concesse soltanto ai collaboratori di giustizia a norma degli artt. 58 ter O.P. ovvero 323 bis c.p.

Posto che il legislatore ha scientemente escluso il peculato dal novero dei reati per cui è applicabile l’attenuante ex art. 323 bis c.p., l’unica via di scampo dal carcere per l’albergatore (o per il privato cittadino) resta la collaborazione post poenam ai sensi dell’art. 58 ter O.P.; per cui le misure alternative posso essere concesse a coloro che, anche dopo la condanna, si sono adoperati per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero hanno aiutato concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati.

In sostanza, l’operatore di strutture ricettive (che sia albergatore professionale o privato cittadino) che omette o ritarda anche una sola volta il versamento dell’imposta di soggiorno, a prescindere dal quantum trattenuto, è passibile delle stesse modalità di applicazione della pena del mafioso: l’inevitabile ingresso in carcere!

Tale presupposto è sicuramente sintomatico di un’ingiustificata sproporzione del quadro sanzionatorio penale sistematicamente inteso, posto che, a differenza delle altre imposte, non è neppure prevista una soglia di punibilità che impedisca il ricorso aprioristico all’extrema ratio.

Non può che concludersi ancora una volta che tali paradossi punitivi siano certamente figli di un legislatore distratto, troppo impegnato a sbandierare in maniera sciatta e frettolosa lo spettro della sanzione penale, al solo fine di placare la sua sete di consenso, senza rendersi conto delle gravissime conseguenze - spesse volte irreparabili - che ricadono in capo ai privati cittadini.

 

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