19 Novembre 2018

Usura del tasso di mora, qual è il tasso soglia?

EMILIO FRANCESCO POSSIDENTE

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Abstract

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27442/2018 ha stabilito che il tasso soglia da prendere a confronto per definire usurario il tasso applicato per gli interessi moratori è quello della L. 108/96 e non quello delle Istruzioni della Banca d’Italia.

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Il principio (ri)affermato dalla S.C.

Con l’intento dichiarato di voler sgombrare il campo di analisi da espressioni sfuggenti ed abusate che hanno finito per divenire dei mantra ripetuti all'infinito senza una preventiva ricognizione e condivisione di significato, il quale resta oscuro e serve solo ad aumentare la confusione e favorire l’ambiguità concettuale nonché la pigrizia esegetica”, con la pronuncia in esame la S.C. ribadisce che è nullo il patto con il quale si convengano interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all'articolo 2 della Legge 7/3/96 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali”. Il principio era già stato reiteratamente affermato dalla Corte, sia civile che penale, ed anche dalla Corte Costituzionale ma, ciononostante, la S.C. vi ha dedicato ben oltre 20 pagine di motivazione, avendo constatato come esso resti non infrequentemente trascurato da parte dei giudici di merito ed incompreso dagli organi amministrativi preposti a dare attuazione alle prescrizioni di cui all’art. 2 della L. 108/96.

Anche gli interessi moratori sono remunerazione del capitale

La pronuncia muove dalla presa d’atto che nessuno dei quattro tradizionali criteri di ermeneutica legale (l’interpretazione letterale, l’interpretazione sistematica, l’interpretazione finalistica e quella storica), consente di distinguere tra le varie categorie di interessi e perciò afferma, probabilmente in maniera definitiva, l’equiparazione della funzione degli interessi corrispettivi e moratori: i primi, infatti, rappresentano la remunerazione del capitale di cui il creditore si sia privato volontariamente; i secondi, invece, rappresentano la remunerazione di un capitale di cui il creditore sia stato privato involontariamente. Anche gli interessi moratori, pertanto, costituiscono la remunerazione di un capitale e rientrano nella previsione degli interessi “promessi o dovuti in corrispettivo di una prestazione in denaro”. La pretesa diversità strutturale tra i due tipi di interesse, ampiamente affermata da una non insignificante parte dei giudici di merito, costituisce, secondo la S.C., oggetto di un aforisma scolastico non giustificato né sul piano storico, né su quello sistematico, perché contrastante con una esperienza giuridica millenaria e con la ratio della L. 108/96. 

Il tasso soglia da prendere a confronto è quello della L. 108/96 e non quello delle istruzioni della Banca d’Italia

La S.C., poi, non manca neppure di bacchettare la Banca D’Italia, quando dice che è “impossibile, in assenza di qualsiasi norma in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 L. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso, talora definito nella prassi di “mora-soglia” ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia”, intendendo, così, chiaramente e definitivamente, fermare la prassi “suggerita” dalla Banca d’Italia con le istruzioni emanate il 3 luglio 2013, secondo le quali i TEG medi pubblicati trimestralmente andrebbero aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.  

Tasso di mora usurario: il mutuo non diventa gratuito

Dopo aver dedicato la quasi totalità delle motivazioni alla riaffermazione del principio che sancisce l’equiparazione degli interessi moratori a quelli corrispettivi, la pronuncia in esame in poche righe liquida una problematica certo di non secondaria importanza: l’applicazione del secondo comma dell’art. 1815 c.c. agli interessi moratori. La norma, come è noto, stabilisce che se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi. In altre parole il mutuo diventa gratuito.

Pur premettendo che era precluso, perché coperto da giudicato interno, l’esame della questione concernente l’applicabilità della previsione di cui all’art. 1815 c.c. agli interessi moratori che superino il saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 L. 108/96, la Corte, al fine di “prevenire ulteriore contenzioso, afferma che “nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, l’applicazione dell’art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme generali al danneggiato gli interessi al tasso legale”.

La ragione che conduce a tale conclusione probabilmente può essere rinvenuta in un passaggio della motivazione ove si richiama la giurisprudenza della Corte formatasi sull’art. 1224 c.c. (Danni nelle obbligazioni pecuniarie).

Nell’interpretare tale norma la Corte ha evidenziato che il danno da inadempimento di una obbligazione pecuniaria si identifica nella perduta possibilità per il creditore di investire la somma dovutagli e trarne un lucro finanziario. Questo danno è presunto dal legislatore iuris et de iure nel suo ammontare minimo, che non può essere inferiore al saggio legale (art. 1224, 1° co. c.c.).

In conclusione

Alla luce della pronuncia in esame, quindi, un contratto di finanziamento con i soli interessi moratori superiori al tasso soglia come determinato ex art. 2 L. 108/96 (e quindi usurari) è un contratto valido che non deve essere convertito a titolo gratuito. In tale ipotesi il mutuatario dovrà corrispondere gli interessi corrispettivi pattuiti mentre dovrà essere dichiarata la sola nullità della clausola che prevede il tasso degli interessi di mora che andranno riconosciuti al tasso legale.

Tale notazione finale avrebbe, probabilmente, meritato una puntuale motivazione e non è irragionevole supporre che, almeno sull’applicabilità del secondo comma dell’art. 1815 c.c., nonostante gli auspici della S.C., la questione sia tutt’altro che chiusa. 

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