22 Febbraio 2019

Autorizzazioni paesistiche nel rapporto tra Stato e Regioni

FRANCESCO PAOLO FRANCICA

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Abstract

L’evoluzione della normativa in materia di autorizzazioni paesistiche nel rapporto tra Stato e Regioni, un progressivo processo di decentramento di competenze.

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Il paesaggio rappresenta un interesse primario e assoluto, prevalente rispetto a qualunque altro. Benedetto Croce lo stimava come un valore caratterizzato dalla «particolare relazione con la storia civile e letteraria»[1] del Paese, considerando la sua tutela come «un altissimo interesse morale e artistico»[2].

Su questa tradizione s’innesta l’articolo 9, principio fondamentale della Costituzione italiana. Esso dispone che: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».

La tutela del paesaggio è, dunque, principio guida, a fondamento dell’azione dei poteri dello Stato; la stessa Corte Costituzionale le ha conferito «un valore di straordinario rilievo»[3], profondamente connesso con la «conservazione dell’ambiente»[4].

Tra i diversi strumenti previsti a tutela del paesaggio rientrano senz’altro le autorizzazioni paesistiche, introdotte nell’ordinamento dalla c.d. legge Bottai (L. 1497 del 29 giugno 1939). L’autorizzazione è oggi definita, ai sensi del comma 4 dell’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42 del 22 gennaio 2004), un atto autonomo ed un presupposto ineludibile rispetto al permesso di costruire o a qualsiasi altro titolo che legittimi un intervento urbanistico e edilizio, preordinato, dunque, alla verifica della compatibilità tra interesse paesaggistico tutelato ed intervento progettato.

In materia di domande di autorizzazioni paesistiche sussiste un intreccio di competenze legislative tra lo Stato e le Regioni, la cui genesi è dovuta al processo di decentralizzazione dei poteri che ha interessato il Paese.

Fino al 1977, infatti, solo lo Stato era titolare della potestà di accogliere o di respingere la domanda di autorizzazione paesistica, senza alcun margine di diverse valutazioni regionali o da parte di enti locali territoriali.

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 616 del 1977, il legislatore ha inteso valorizzare la competenza regionale, prevedendo al primo comma dell’art. 82 che: «sono delegate alle Regioni le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato per la protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione, alla loro tutela e alle relative sanzioni». In particolare, la lettera b) del secondo comma del sopramenzionato art. 82 specifica che la delega comprende: «la concessione di autorizzazioni o nulla osta […]» per la modificazione delle bellezze naturali tutelate.

Dunque, la materia è stata delegata alle Regioni, alcune delle quali, peraltro, hanno a loro volta subdelegato ai Comuni il potere di rilasciare le autorizzazioni paesistiche. Nel proprio territorio soltanto la Regione, o l’eventuale ente subdelegato, poteva rilasciare l’autorizzazione, senza alcuna possibilità per lo Stato di consentire la realizzazione di opere. Tuttavia, il Ministro per i beni culturali restava titolare di un incisivo potere interdittivo nel caso in cui, secondo una valutazione discrezionale, le autorizzazioni concesse avrebbero potuto recare «pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali»[5].

Con l’introduzione del sopracitato Codice dei beni culturali e del paesaggio, la materia è stata ulteriormente riformata, con un’ulteriore riduzione dei poteri dello Stato in materia di autorizzazioni paesistiche. Le nuove disposizioni, infatti, prevedono che «la competenza per il procedimento autorizzatorio, ai sensi dell’art. 146, spetta alla Regione, previo parere della Soprintendenza statale (comma 5)».[6]

La Regione, dunque, è l’amministrazione competente alla gestione dell’autorizzazione paesaggistica; in capo al Ministero, invece, permane solo la prerogativa di rilasciare un parere preventivo il quale, peraltro, pur essendo obbligatorio, non sempre è vincolante. Infatti, se l'area interessata dall'intervento è assoggettata a specifiche prescrizioni d'uso dal piano paesaggistico, approvato ai sensi del Codice, il parere del soprintendente non è inderogabile.

La tutela del paesaggio è compito primario della Repubblica, dunque, in primo luogo dello Stato, il quale ha legittimamente stabilito di delegarne le relative funzioni amministrative alle Regioni, mantenendo il solo potere di esprimere un parere preventivo sulla compatibilità dell’autorizzazione con il tutelato contesto paesaggistico.

 

 

 

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